Oscuro come una notte senza luna, dove l’unica luce è quella rossa del sangue, Jean-Christophe Grangé torna al pubblico con un nuovo thriller.
“Karma rosso sangue” non si svolge ai giorni nostri, ma nel passato, esattamente nel 1968. Ambientato nella prima parte parte in Francia e poi in India, non è solo un thriller ma un romanzo che racconta la storia e soprattutto le filosofie induiste, in tutte le sue diramazioni, mostrando al lettore i deliri degli ideali, dalla politica alla religione, per conseguenze molto terrene di chi tende al divino ma non si allontana mai dal fango della terra.
All’inizio del romanzo ci troviamo a Parigi, in pieno maggio del ’68, dove le rivolte studentesche, seguite dagli scioperi indetti dai sindacati, hanno messo a ferro e fuoco la capitale francese. È un mese di deliri, di tumulti, di manifestazioni e assemblee. Teatro perfetto per la violenza. Tra chi chiede un miglioramento c’è chi si muove solo per picchiare, distruggere, schiacciare il tedio della noia dando sfogo agli istinti più bassi. La polizia è impegnata a tentare di contenere le folle e in questo mese complicato un assassino uccide giovani donne con omicidi spettacolari quanto brutali, che richiamano allo yoga e al tantrismo. Dall’oriente non è arrivata solo un’idea di socialismo diversa, ma anche le filosofie religiose che, specie quelle diversificate dell’India, trovano nei giovani tanti adepti alla ricerca di qualcosa che riempia un buco interiore. In questo teatro si muove il poliziotto Jean-Louis e suo fratello Hervé. Quando poi lo stesso Hervé scompare, per ritrovarlo e salvarlo, Jean-Louis intraprende un viaggio che non avrebbe mai immaginato, alla ricerca della verità.
La penna di Grangé è affilata, dura, cruda ed esplicita. L’autore non ha mezze misure quando deve descrivere la follia umana e lo conferma in questo romanzo. La ricostruzione storica è accurata e il quadro che riceviamo dalle pagine è tridimensionale. La ribellione la viviamo, ne vediamo i disagi e le pecche, perché raccontando la sua storia, Grangé non fa mistero di quale sia il suo pensiero. Lo mostra, lo dimostra e il lettore lo coglie in pieno. Il romanzo è corposo, non perché sia complesso il thriller in senso stretto, ma per rendere al meglio il tempo in cui si svolge, i pensieri, le azioni e le motivazioni. Non solo. Grangé spiega le religioni, i riti, parla di guru e santoni, di adepti e di sette, di ascetismo e barbarie, di esoterismo e realtà. L’opera è per molti versi informativa e i capitoli volano, interessanti, profondi, così sfaccettati che attirano la curiosità. Quando arrivano i delitti, sembrano quasi delle intrusioni che deformano il ritmo della trama, donandole peraltro il dinamismo, il brivido e l’azione che in un thriller si ricerca.
I personaggi sono tutti anti eroi. Nessuno è perfetto, sono pieni di macchie, di debolezze, a partire da Jean-Louis il poliziotto protagonista, che è violento, dipendente dalle anfetamine, sempre sopra le righe. Ha un retaggio difficile, a partire dall’infanzia, con traumi che la guerra in Algeria ha acuito. Eppure ha un suo ruvido carisma, è realmente affezionato al fratellastro Hervé, sa prendersi cura ed è tenace nelle indagini che lo portano ben oltre i confini della sua autorità. Anche Hervé ha i suoi disagi: intelligente, si innamora di ragazze che non lo considerano; guarda film dell’orrore per imparare ad affrontare la paura che i sogni gli regalano ogni notte, soffre di dolorosi spasmi muscolari e ha una particolare voglia sul braccio che, a pochi anni dalla grande guerra, ha un aspetto inquietante. Poi c’è Nicole, la ragazza borghese, sempre vissuta negli agi, che studia filosofia, è una passionaria, pronta alla rivolta per un mondo migliore, capace con le parole, ma senza veri contatti con le differenze che denuncia. Insieme ad altri ragazzi è il simbolo di una rivoluzione fatta non da chi è vittima, ma da chi s’innamora di un’idea. Questi sono i tre soggetti principali, ma attorno a loro ruotano tantissime altre figure tragiche, dissonanti, discordanti, che raccontano un’umanità scissa tra luce e ombre, difficili da collocare tra i buoni o i cattivi, perché a volte le motivazioni sono così nascoste che ci vuole tempo per comprenderle e vederli nella giusta ottica.
Grangé non si risparmia nemmeno nella descrizione dell’India di allora. Un paese miserabile perché gli abitanti non si curano del qui e ora, ma sono oltre, tesi al divino, a porre fine al ciclo delle rinascite, a ripulire un karma macchiato in partenza. Un popolo che appare indifferente, capace di gentilezza e brutalità insieme, narrato con scene che non stonerebbero nell’inferno dantesco.
Tinte fosche scritte a colori vividi, questo è “Karma rosso sangue”. L’autore ha fatto un lavoro immenso e se si pensa che ha raccolto due mondi in una sola storia ricca di particolari e di temi, allora le 640 pagine del testo non sono tante. Ci consegna poi un monito importante: per quanto si tenda al trascendente, ogni profeta è pur sempre un uomo, preda di vizi, desideri e ossessioni.
“Karma rosso sangue” trasporta il lettore in una dimensione ascetica, vasta, immensa, lontana e poi torna nel piccolo, chiuso, ristretto, mondo della famiglia, il luogo dove il bene o il male lasciano la loro profonda impronta. Per quanto un caso sia complesso, i motivi per uccidere sono sempre i soliti e sempre negli stessi nidi nasce la violenza.
Jean-Christoph Grangé è un giornalista, scrittore e sceneggiatore francese. Laureato in lettere alla Sorbona è vincitore del premio Grinzane Cinema 2007 per il miglior libro da cui è stato tratto un film. Con “Karma rosso sangue” ha all’attivo diciassette romanzi, pubblicati in trent’anni.
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