Cari avventori del Thriller Café, ricordate che alla fine della recensione de “La rete porpora” avevo dichiarato che non lascio mai le cose a metà, figurarsi a due-terzi? Eccomi, dunque, prontissima a raccontarvi dell’ultimo capitolo della trilogia dell’ispettrice Elena Blanco dal titolo “La bambina senza nome“, del collettivo di sceneggiatori spagnoli che si cela sotto lo pseudonimo di Carmen Mola (Salani – Le stanze).  

“Perché no? Non vuoi essere mia amica?”

“No”.

“Perché?”

“Perché se diventiamo amiche, poi ci rimarrò molto male quando ti uccideranno”.

Francisca Chesca Olmo è diventata la responsabile della Brigada de Análisis de Casos da quando l’ispettrice Elena Blanco ha deciso di rassegnare le dimissioni, all’indomani dall’aver sgominato la Rete porpora ma aver perso l’unico figlio Lucas.

Chesca è una donna estremamente forte e indipendente, anche se sta soffrendo per la relazione che ha intrapreso con il collega Angel Zárate. Una giornata stressante al lavoro, un litigio di troppo con il suo uomo ed ecco che invece di farsi trascinare dall’euforia dei festeggiamenti per il capodanno cinese del maiale, si rifugia in un bar dove conosce un ragazzo molto avvenente.

Chesca è sorpresa dai racconti di Julio: si sta appropriando di una scena di Michelle Pfeiffer in Pensieri pericolosi. Potrebbe persino recitare la battuta del film: “Non mi nasconderò dalla morte, quando finirò nella tomba ci andrò a testa alta e spirito forte, si può sempre scegliere”. Però la fa ridere, forse questo bel ragazzo un tantino pedante pensa che ripetere la battuta di un film sia un buon modo per rimorchiare. Le farà bene distrarsi un po’, dimenticandosi del lavoro alla BAC, del processo di domani e del litigio con Zarate. Ha bisogno di svuotare la mente e questo tipo sembra un buon candidato per un bello sfogo, così che interrompe il suo sproloquio con un bacio.

Ma quella che aveva tutta l’aria di essere un’avventura spensierata si trasforma nel peggior incubo: la mattina successiva si ritrova nuda, polsi e caviglie legate a un letto in un seminterrato buio. Ha vaghi ricordi della notte precedente, notte popolata da olezzi insopportabili e grugniti animaleschi. Chesca capisce di essere stata drogata e rapita.

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Per i colleghi della BAC inizia la ricerca disperata della collega scomparsa, ricerca alla quale non può non far parte anche Elena Blanco, che in altri casi sarebbe stata restia a farsi sconvolgere il fragile equilibrio della sua nuova vita fatta di eventi e pubbliche relazioni, ma non se la sente di voltare le spalle ad un’amica.

“Non sapevo nemmeno che non fosse di Madrid” ammette Elena. “Dicono tutti che alla BAC sono stata una brava capa, ma non è vero, non mi sono mai preoccupata dei problemi di nessuno all’infuori dei miei”.

Non è un’indagine facile perché in realtà di Chesca Olmo tutti sanno ben poco, men che mai sospettano che ci sia un enorme segreto che la riguarda che ne ha avvelenato la vita.

Lei, dal canto suo, cerca di sopravvivere e rimanere lucida, anche per la presenza di una bimba che non conosce neanche il proprio nome, ma è felice di giocare con lei.

Come si esce da un inferno così dipinto? Non se ne esce mai.

‘Ogni caso… è come se ci strappasse un pezzo di anima’. E se lui l’avesse già persa? Se fosse questo il motivo per cui nelle sue parole non c’è la minima traccia di rimorso o senso di colpa? Nessuno torna indenne dall’inferno.

I thriller di Carmen Mola (Jorge Díaz Cortés, Agustín Martínez e Antonio Santos Mercero) sono costruiti magistralmente. Il mio grande divertimento è quello di cercare qualche falla nella loro costruzione ma non ce ne sono mai!

Questo giochino mentale mi aiuta anche a non rimanere sconvolta quando arrivano le descrizioni crude delle quali, bisogna ammetterlo, i loro thriller abbondano.

Crudi o no, sanguinolenti o violenti, un aggettivo su tutti che si attaglia meglio ai loro romanzi è ipnotici. Le pagine volano via come il vento e si arriva alla fine senza neanche accorgersene!

Come ho già avuto modo di sottolineare in altre occasioni, la straordinarietà della loro scrittura è duplice: grande tecnica nel costruire gli intrecci della storia e grande analisi psicologica dei personaggi, Chesca e Zárate su tutti, questa volta, con la Blanco in secondo piano ma a tratti comprimaria, complice la struttura a spirale della storia, che narra parallelamente le vicende della donna rapita e la disperata corsa verso il tempo dei suoi colleghi per liberarla.

Niente sottotrame che distolgono ma solo investigazione serrata, come piace a me.

Bene, debbo proprio dire che sono soddisfatta di tutta la trilogia, composta da romanzi che tutto sommato si equivalgono come valore.

Il che non è mai scontato.

Quello che mi ha sempre incuriosito è il come si possa lavorare addirittura a sei mani per costruire un romanzo (cosa che penso non mi riuscirebbe mai, abituata come sono a lavorare da sola, con i miei ritmi, assorta nei miei pensieri…) ma, andandomi a leggere qualche loro intervista, ho trovato quello che cercavo: hanno stabilito il soggetto, redigendolo nei minimi particolari per mezzo di una scaletta immodificabile; poi si sono divisi il lavoro per tre e ognuno, alla fine, ha corretto le parti scritte dagli altri due per omogeneizzare lo stile.

Sembra facile, vero?

La loro grande umiltà sta nel riconoscere che nessuno di loro singolarmente sarebbe stato mai in grado di scrivere dei romanzi di tale valore e che quindi, messo via l’ego personale, il loro esperimento di creatività collettiva si è rivelato vincente!

E volete sapere perché si sono attribuiti proprio un nome femminile? Perché Carmen è il più conosciuto e quello che si pronuncia nello stesso modo in tutte le lingue e Mola, in spagnolo, significa “qualcosa di figo”, dunque… uno pseudonimo azzeccato!

Who is who?

Carmen Mola è lo pseudonimo di tre scrittori e sceneggiatori spagnoli, Jorge Díaz Cortés, Agustín Martínez e Antonio Santos Mercero.

La bambina senza nome è il terzo atto della trilogia che vede come protagonista l’ispettrice Elena Blanco, preceduto da La sposa gitana e La rete porpora, sempre editi da Salani – Le Stanze. Nel 2021 con il romanzo “La Bestia” hanno ottenuto il Premio Planeta.

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Articolo protocollato da Monica Bartolini

Monica Bartolini (Roma 1964) si afferma nel mondo della scrittura gialla con i romanzi della serie del Maresciallo Nunzio Piscopo (Interno 8 e Le geometrie dell'animo omicida, quest'ultimo finalista al Premio Tedeschi nel 2011). Nel 2010 vince il Gran Giallo Città di Cattolica per il miglior racconto italiano in ambito mystery con il racconto Cumino assassino, compreso nell'antologia 10 Piccole indagini (Delos Digital, 2020). Autrice eclettica, per I Buoni Cugini Editori pubblica nel 2016 Persistenti tracce di antichi dolori, una raffinata raccolta di racconti gialli storici che ha per filo conduttore le vicende legate al ritrovamento di alcuni reperti storici, che ancora oggi fanno bella mostra di sé nelle teche dei musei di tutto il mondo, e nel 2019 la terza investigazione del suo Maresciallo dal titolo Per interposta persona. Collabora con i siti www.thrillercafe.it e www.wlibri.com per le recensioni ed è membro dell'Associazione Piccoli Maestri - Una scuola di lettura per ragazzi e ragazze che si occupa di leggere i classici nelle scuole italiane. Bibliografia completa in www.monicabartolini.it Contatti: [email protected]

Monica Bartolini ha scritto 102 articoli:

Libri della serie "Elena Blanco"

La bambina senza nome – Carmen Mola

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