Alcuni giorni fa ho visto Oppenheimer, fresco vincitore all’ultima notte dei premi Oscar. Un film bellissimo in cui, per tutte le quasi tre ore di durata, si respirano l’inquietudine e il tormento provati dagli scienziati del Progetto Manhattan al cospetto della potenza devastante e fuori controllo dell’ordigno nucleare da loro sviluppato.
Destino ha voluto che, poco dopo, mi toccasse in sorte la recensione de La biblioteca dei fisici scomparsi, l’ultimo romanzo della scrittrice siciliana Barbara Bellomo.
Torino. Anni ’50. Ida Clementi è sposata al noto chirurgo Raffaele Breschi, ma è un matrimonio fallito in partenza, frutto dell’imposizione del padre di lei. A Ida non rimane che tornare con la mente alla fine degli anni ’20 quando, disobbedendo alle consuetudini del tempo che imponevano a una donna già in giovane età di maritarsi, trova lavoro presso la biblioteca dell’Istituto di Fisica di Roma. Qui avrà modo di conoscere gli scienziati che doneranno un contributo determinante allo studio della chimica e della fisica: Oscar D’Agostino, Emilio Segrè. Edoardo Amaldi, Franco Rasetti, Bruno Pontecorvo, Enrico Fermi ed Ettore Majorana, meglio conosciuti come i “Ragazzi di Via Panisperna”.
Per Ida Clementi saranno anni di emancipazione, in cui avrà l’occasione di essere testimone degli albori di quella rivoluzionaria teoria della fisica moderna, la meccanica quantistica, che pochi decenni prima Albert Einstein aveva solo ipotizzato e che, secondo lo stesso eminente scienziato tedesco, avrebbe potuto originare, attraverso l’applicazione della scissione nucleare, un’energia tale da innescare una irreversibile distruzione di massa.
Nonostante sia una libertà poco più che effimera, dato l’incombere all’orizzonte delle leggi razziali e dell’incubo nazifascista, Ida Clementi vivrà un intenso periodo di notevole impatto culturale, di sfida contro ataviche e marginalizzanti convenzioni e di maturità personale. Saranno anni contraddistinti, in particolare, dalla forte amicizia instauratasi con Ettore Majorana, terminata di punto in bianco nel 1938 dall’improvvisa scomparsa del fisico e ancora oggi non del tutto chiarita, e dalla profonda conoscenza con l’ingegnere Alberto Guarneri, il suo unico, vero, grande amore, anch’egli scomparso poco dopo in circostanze altrettanto enigmatiche. Sparizioni il cui mistero aleggerà per tutto il romanzo e, seppur in maniera impercettibile, condizioneranno la vita di Ida.
Barbara Bellomo ci regala un romanzo affascinante, in cui le vicende e i personaggi di fantasia convivono alla perfezione con il contesto storico, le fondamentali scoperte dell’epoca e gli scienziati realmente esistiti. E’ una storia sulla forza dei ricordi e sull’impulso decisivo che possono generare per infondere il coraggio necessario a intraprendere cambiamenti cruciali per se stessi. E’ una storia sulla forza della lettura, della speranza e dell’importanza, per una donna, di lottare per la propria libertà di scelta. E’ una storia sull’infinitamente piccolo, che si tratti della più minuscola particella subatomica o di quanto più prezioso e intimo custodiamo dentro di noi. L’infinitamente piccolo che, grazie alla fisica quantistica, abbiamo cominciato a considerare il vero motore dell’intero universo, micro o macro che sia; teoria in gran parte sconosciuta e per la quale ancora oggi ci sfugge un’enunciazione definitivamente appropriata.
La biblioteca dei fisici scomparsi è una storia che parla di misteri insoluti, alcuni di essi con dei tentativi di risposta dalla fulgida portata.
Nel film Oppenheimer, quando la moglie gli chiede cosa sia veramente questa “sconcertante” fisica quantistica, lui le risponde: Questo bicchiere, questa bevanda, questa superficie, i nostri corpi, tutto quanto è per lo più spazio vuoto, agglomerati di piccole onde di energia legati insieme da forze di attrazione abbastanza potenti da convincerci che la materia è solida e impedisce al mio corpo di attraversare il tuo.
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