Cari appassionati di thriller, avete mai notato quanti film si aprono sulla panoramica di una città o di una cittadina o di un qualsivoglia centro abitato che fa da ambientazione allo svolgimento dei fatti? Senza esagerare direi la maggioranza. È un effetto molto più cinematografico che letterario, chiaramente comprensibile perché a beneficio della visualità anziché dell’immaginazione.
Raramente mi sono trovato al cospetto dell’incipit di un romanzo in cui si descrive dall’alto una città, peraltro in maniera egregia, attraverso una vivida sequenza di metafore e similitudini davvero calzanti, riuscendo a crearne un’inquadratura come su uno schermo.
Una città come tante, di provincia, d’arte e di mare, città comunque di nobili tradizioni. Un agglomerato urbano dove la vita brulica frenetica al centro, per poi diradarsi verso le periferie e infine sparpagliarsi a macchia di leopardo nella campagna circostante. Una sorta di gironi danteschi in cui si intrecciano le esistenze di migliaia di persone, ciascuna alle prese con la specifica biodiversità della cerchia d’appartenenza e che, in virtù di ciò, per una ragione o l’altra, si ritiene in dovere di rivendicare i propri diritti e fare la voce più grossa rispetto alle altre. Come si suol dire, tutto il mondo è paese.
Sto parlando de La bomba, pubblicato da Baldini&Castoldi e scritto da Alberto Cassani, autore ravennate classe 1965.
In questa città troviamo Carlo Fabbri, single cinquantenne, professore di italiano, disilluso come può esserlo una persona nata in un’epoca che poco ha a che spartire con la presente e, di conseguenza, si sente fuori posto un po’ ovunque. Il suo, però, è un disincanto dolceamaro, dai sentimenti contrastanti, perché alla base c’è comunque un bagaglio culturale non indifferente, uno spiccato senso critico e un’arguzia frutto solo di chi ha veramente imparato e fatto tesoro delle esperienze di vita.
Carlo è anche il segretario locale del partito di maggioranza di cui fa parte la sindaca in carica, una giovane donna figlia di immigrati albanesi, e quando è la stessa prima cittadina a chiedere il suo aiuto perché divenuta oggetto di pesanti minacce e misteriose accuse, peraltro a pochi mesi dalle elezioni, avvia un’indagine personale per scoprire l’identità che si cela dietro questi avvertimenti che hanno tutta l’aria di intimidazioni autentiche ed attendibili.
Alberto Cassani ha ricoperto per diversi anni la posizione di Assessore presso il Comune di Ravenna, e se è vero, come ha detto qualcuno, che lo scrittore è un esploratore allo stesso tempo di sé e del mondo, lui non fa eccezione. E infatti ci dischiude il mondo a dir poco burocratico e intricato dell’ente pubblico per antonomasia: il Comune, il terminale ultimo dello Stato, in prima linea a fronteggiare le esigenze e le recriminazioni della popolazione, con tutto quello che ne consegue. Non meno importante, la vicenda è inoltre un’ottima disamina di ciò che rappresenta oggigiorno un avvenimento di vasta risonanza mediatica: una carcassa da spolpare. I mezzi di informazione piombano come avvoltoi sull’evento in cerca dello scoop e del torbido a ogni costo; le varie personalità politiche ed economiche che gravitano attorno alla “stanza dei bottoni”, nonché la stessa cittadinanza, cavalcano la tigre e ciascuno tenta di sfruttare l’occasione per i propri interessi. Insomma, un tutti contro tutti all’insegna del più bieco arrivismo.
Fortunatamente c’è Carlo Fabbri, “un uomo di un altro tempo, che vive con fiera consapevolezza il proprio anacronismo”, che senza mai abbandonare una certa rassegnazione decadentista, assecondato in questo dalle letture dei romanzi del controverso scrittore francese Michel Houellebecq, fa del suo meglio per conferire alla vita una sana dose di equilibrio e pragmatismo.
E in fin dei conti, a pensarci bene, chi, aggirandosi intorno al mezzo secolo di vita, non si ritrova un po’ in Carlo?
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