La maison dujuge è stato scritto a Nieul-sur-Mer nel gennaio del 1940. Fu pubblicato per la prima volta in volume da Gallimard nel 1942. In Italia arrivò solo nel 1961, nella collana Mondadori “I romanzi di Simenon”. Nel 1998 il romanzo è stato ripubblicato presso Adelphi con il titolo La casa del giudice.
TRAMA
Maigret, caduto in disgrazia per problemi legati ad una passata indagine, è stato allontanato da Parigi e confinato, almeno per il momento, nel paesino di Lucon, in Vandea. Nel paese, le giornate trascorrono lente e noiose. Fortunatamente, una mattina, una bizzarra vecchietta chiede di parlare espressamente con il commissario.
Questo signore mi ha detto che forse oggi lei non sarebbe venuto, ma io ho capito che voleva solo liberarsi di me… Mio marito mi aveva raccomandato: «Dì al commissario che sono il doganiere di Concarneau, quello che ha un piccolo difetto all’occhio… Digli che ho guardato il cadavere con un binocolo da marina e che è un uomo che non si è mai visto in paese… Per terra c’è una chiazza, sicuramente di sangue…».
La vecchia si chiama Didine Hulot e sostiene di aver visto, insieme al marito, un cadavere nella camera da letto della casa del giudice Forlacroix.
Per quanto le rivelazioni dell’anziana signora appaiano del tutto improbabili e fantasiose, Maigret, pur di sfuggire alla noia, decide di seguirla a l’Aiguillon-sur-Mer, un piccolo paese di pescatori di cozze. Quella stessa notte, Maigret e Justin Hulot sorprendono il giudice mentre sta tentando sbarazzarsi di un sacco nero contenente un corpo senza vita.
Maigret inizia così ad indagare, vagando per il piccolo paese di pescatori, interrogando chiunque abbia avuto a che fare con il giudice: sua figlia Liseninfomane e malata di mente; suo figlio Albert, ragazzo robusto e burbero; il pescatore Marcel Airaud, amante di Lise; Thérèse gelosa di Marcel.
Intanto si scopre che il corpo della vittima apparteneva al dottor Émile Janin, medico a Nantes. Le indagini si complicano ulteriormente, quando il giudice Forlacroix confessa al commissario di avere ucciso un’amante della moglie, quindici anni prima, a Versailles.
Superando bugie e false piste, Maigret, alla fine, giungerà a scoprire una verità amara quanto dolorosa…
Perché leggere La casa del giudice?
Il romanzo fu scritto a Nieul-sur-Mer, nell’inverno 1939-1940. Esso costituisce, insieme a Les caves du Majestic, scritto qualche mese prima, e a Cécile est morte, terminato un anno dopo, la rinascita del commissario Maigret. I tre romanzi furono, infatti, pubblicati in un unico volume nel 1942 da Gallimard. Come abbiamo già accennato in I sotterranei del Majestic, nel 1934, Simenon aveva mandato in pensione il suo commissario, ma già tra il 1936 e il 1938 aveva composto ben 19 racconti tutti dedicati a Maigret.
Quattro anni dopo aver scritto «…è l’ultima volta», Simenon fece rivivere Maigret nel luglio 1938 in una serie di racconti-giochi a premio commissionati dal quotidiano “Paris-Soir”. L’anno seguente, la Société Parisienne d’Éditions richiama la sua presenza nelle collane dei fascicoli “Police-Films” e “Police-Romans”. Infine, nel corso dell’inverno 1939-1940, Simenon non poté che acconsentire al desiderio del suo nuovo editore, Gallimard, di approfittare anch’esso della notorietà di Maigret. Simenon dovette arrendersi all’evidenza: il destino di Maigret non gli apparteneva più.
(Lacassin Francis, La vera nascita di Maigret, Medusa Edizioni 2013, p. 114)
Dei tre romanzi, La casa del giudice è sicuramente il meno riuscito. La trama sembra un puzzle di vecchie storie già lette: il rapporto tra Lise e il padre Forlacroix, ad esempio, ricorda quello di Ducrau e sua figlia in La chiusa n. 1; il figlio di Thérèse messo a balia in un’altra città ricorda un episodio de Il pazzo di Bergerac; Marcel Airaud, ragazzo semplice e robusto, sospettato dell’omicidio che si nasconde alla polizia, è una copia di molti personaggi simili già visti in altri romanzi di Maigret.
Deboli sono anche le caratterizzazioni dei personaggi, che sembrano quasi essere trascurate o abbozzate in modo poco convincente. Simenon, diversamente dagli altri polizieschi, preferisce concentrarsi sulle indagini della polizia. Maigret segue, infatti, ogni traccia, muovendosi confuso tra Versailles e Lucon, tra presente e passato, tanto che la trama risulta troppo complicata e priva di nessi concreti. Il romanzo si sviluppa su due trame principali: la prima riguarda l’indagine sull’omicidio del dottor Émile Janin; la seconda si concentra sul passato del giudice e la sua confessione di aver ucciso l’amante della moglie.
Il personaggio meglio definito è sicuramente quello del giudice. La casa del giudice è, infatti, la storia del dramma personale di un malinconico vecchio giudice in pensione, che vive ritirato in provincia. Egli dedica la propria esistenza alla figlia Lise, una ragazza con problemi mentali e affetta da ninfomania. Pur di farla felice, il giudice è disposto ad accettare come genero anche Marcel Airaud, un rozzo e ingenuo pescatore, che però sembra amarla veramente.
All’inizio del romanzo, Maigret, e così anche il lettore, è colpito dallo strano comportamento del giudice. Quando il commissario lo blocca mentre sta cercando di disfarsi del cadavere, il giudice sembra quasi sollevato dal fatto di essere stato scoperto e felice che sia stato Maigret a farlo.
Pur essendosi avvicinato, Maigret non vedeva ancora bene il viso dell’uomo. I suoi piedi toccavano quasi il corpo, che sembrava avvolto in un sacco. E la reazione del giudice, del tutto inattesa in un momento simile, fu di esclamare con uno stupore venato di ammirazione:
«Il Maigret della Polizia giudiziaria?»…
«Mi ritengo fortunato ad avere incontrato un uomo come lei. Ma c’è una cosa che non mi è chiara. La credevo a Parigi e …».
«Sono stato assegnato a Lucon…».
«Meglio per me. Sarebbe stato senz’altro difficile farmi capire da un qualsiasi poliziotto… Permette?».
La situazione diviene ancora più bizzarra, quando il commissario entra in casa del giudice. Maigret si ritrova ospite di un presunto assassino, seduto comodamente su una poltrona, le gambe distese accanto al fuoco del caminetto, mentre sorseggia un Armagnac. Maigret stesso si rende conto di quanto bizzarra sia la situazione. E il rapporto tra luie il presunto assassino non è certo quello classico che ci si aspetta in un poliziesco.
Fu in quel preciso momento che Maigret si rese conto della situazione. Vide se stesso sprofondato in una poltrona, le gambe allungate verso il fuoco, a riscaldare il suo armagnac nel cavo della mano. Si accorse di non essere lui a parlare, a fare domande, bensì quell’ometto minuto e calmo, lo stesso che, pochi istanti prima, stava trascinando un cadavere verso il mare.
«Le chiedo scusa, signor Forlacroix, ma forse sarebbe il caso che le facessi qualche domanda…».
Con espressione mista di sorpresa e rimprovero, il giudice volse su di lui l’azzurro cielo dei suoi occhi.
Sembrava voler dire:
«Perché? La credevo diverso dagli altri. In ogni modo! … Come vuole…».
Il personaggio del giudice colpisce, perché pur essendo stato colto mentre cercava di occultare un cadavere, è molto tranquillo, e lo è, non tanto perché essendo giudice ha fiducia nella legge, ma perché le indagini sono affidate a Maigret. Peccato che il personaggio perda forza, pagina dopo pagina, sino a quasi scomparire nella seconda parte del romanzo.
Meritano un cenno anche gli anziani coniugi Hulot. Si tratta di due personaggi meschini e rancorosi, che sembrano uscire da qualche romanzo di Balzac o capolavoro di Charles Dickens. Soprattutto la vecchia Didine che sa tutto di tutti, e segue ovunque il commissario come un’ombra oscura, pronta a suggerirgli dove si nasconde il male o a rivelargli perfidamente i segreti più nascosti di quel piccolo paese di provincia.
«A proposito, lo sai perché la vecchia Didine e il suo Hulot hanno giurato un odio così feroce al giudice? … Ho scavato indietro nel tempo e là verità è lì chiarissima, come questo paese, come quel faro nella luce del sole… Quando gli Hulot sono andati in pensione e hanno visto che il giudice si era trasferito a L’Aiguillon, Didine si è presentata in casa sua, gli ha ricordato che si erano conosciuti da bambini e gli ha proposto di prenderli a servizio tutti e due, lei come cuoca e lui come giardiniere… Forlacroix, che doveva conoscerla bene, ha rifiutato… Tutto qui…».
Buona l’ambientazione. Simenon coglie con pochi tratti il vivere quotidiano di un piccolo villaggio, del porto e dell’attività dei mitilicultori, tutto cadenzato dall’alternarsi delle maree.Fin dall’inizio, la Vandea ci appare piovosa e quieta, mente le sue case e le sue barche sembrano appartenere ad un mondo lontano e fuori dal tempo, proprio come lo vede Maigret alla fine del romanzo:
L’Aiguillon, che per lui sarebbe divenuto uno di quei paesaggi racchiusi in una sfera di vetro: lontani, minuscoli, ma di una precisione estrema.
Voyeurismo di Simenon/Maigret…
Ad un certo punto del romanzo, Maigret irrompe nella stanza di Lise, la figlia del giudice e la trova mezza spogliata: “Maigret era imbarazzato: non riusciva a distogliere lo sguardo da quel seno e Albert se n’era accorto.”
Da quel momento, la ragazza con il seno nudo ossessiona la mente del nostro commissario. La immagina persino suonare il pianoforte a seno nudo, o ancora distesa sul suo letto, come l’ha vista la prima volta: “Lise nel suo letto, con le labbra carnose, le pupille cosparse di pagliuzze dorate e il seno turgido…”.
Non è la prima volta che Maigret rimane impressionato dal nudo femminile.
Mentre parlava, Fernande inzuppava il pane imburrato nel caffè, e dal pigiama un po’ aperto si intravedeva il suo seno appuntito. Doveva essere sui ventisette o ventotto anni, ma aveva un corpo da ragazzina, con i capezzoli rosa pallido, come appena formati.
(Georges Simenon, Maigret, Adelphi, 1998)
Ma è soprattutto, in Il Crocevia delle Tre Vedove, che abbiamo notato come lo sguardo del commissario indugi morbosamente più di una volta sul bellissimo corpo di Elsa, sul suo vestito attillato e sul “seno piccolo e tondo”. Si tratta di un tema morboso che attraversa molta letteratura francese e che Simenon, uomo ossessionato dalla sessualità, non poteva non far suo. È curioso notare che gli amici più vicini a Simenon, ossia Henry Miller, Federico Fellini e Charlie Chaplin (escludendo André Gide che era omosessuale e che probabilmente provava per Simenon più attrazione che amicizia), furono tutti artisti affascinati fortemente dal mondo femminile. A questo punto, qualcuno potrebbe accusare Simenon, ancora una volta e superficialmente, di misoginia e di essere stato un maniaco sessuale. La questione non è così chiara.
Bisogna ricordare, per prima cosa, che Simenon, tra il 1925 e il 1929, sotto lo pseudonimo di Gom Gut, scrisse parecchi racconti erotici, caratterizzati da voyeurismo ed esibizionismo (Cfr. Stanley G. Eskin, George Simenon, Marsilio 2003, pp. 80-81), ed egli stesso ammise di essere un voyeur, come ricorda Stanley G. Eskin:
“Si eccita guardando le coppie abbracciate nelle sale dei cinematografi. Le sagome di un uomo e una donna, che a volte intravede dietro una tenda, suscitano in lui il desiderio e, nello stesso tempo, una frustrante sensazione di esclusione”
(Stanley G. Eskin, George Simenon, Marsilio 2003, p. 48)
È interessante notare anche che Lorenzo Montano, nel febbraio 1932, esprimendo il primo “parere di lettura” sui polizieschi di Simenon, per la casa Editrice Arnoldo Mondadori, dichiarò che nei suoi gialli non mancava mai l’elemento erotico.
Constatato il fatto che effettivamente Simenon amava descrivere il nudo femminile, tanto quanto amava spiarlo, dobbiamo anche accettare l’evidenza che il confine tra normalità” e “malattia” è ampio e flessibile, per non dire poco chiaro.
Che il desiderio e il piacere sessuale si attivino attraverso i sensi e soprattutto la visione, non credo ci possano essere dubbi. Che l’immaginazione sia uno degli afrodisiaci sessuali più potenti lo è forse ancora di più. È ormai accertato, inoltre, che la narrativa della seconda metà del XIX secolo, sia quella naturalista che quella decadente, fu fortemente attratta dal voyeurismo, influenzata probabilmente anche dai molteplici studi filosofici e psicologici sull’argomento (Cfr. Discussioni, in Simbolismo e naturalismo: un confronto, a cura di Sergio Cigada,Marisa Verna, Vita e Pensiero, 2006, pp. 579-580). Le spiegazioni che sono state proposte, nel corso degli anni, non sono sempre convincenti, come ad esempio quella troppo negativa di Aldo Carotenuto:
Ciò che viene visto, spiato, racchiude in sé quanto di più desiderabile e appagante possa esistere per chi osserva e, al contempo, permette al voyeur di sentirsi ben protetto dai pericoli insiti nell’esperienza diretta. In effetti, vivere la sessualità significa anche correre dei rischi perché, così come può accadere nel caso dei sentimenti, se ne può rimanere travolti, sino al punto di non riuscire più a destreggiarsi tra le loro imprevedibili dinamiche. Il valore del voyeurismo, pertanto, è soprattutto di tipo difensivo, giacché lo spiare in silenzio pensando di non essere scoperti, di rimanere nascosti nell’ombra, protetti dall’anonimato, invisibili, implica la sicurezza di non doversi confrontare, e tantomeno contaminare, in modo diretto con l’oggetto sessuale.
(Cfr. Carotenuto Aldo, Il gioco delle passioni Dinamiche dei rapporti amorosi, Bompiani 2002 p. 182).
Non credo che il caso descritto da Carotenuto abbia a che fare con Simenon/Maigret. Esistono sicuramente diversi tipi di voyeurismo, e ritengo che quello legato alla letteratura e soprattutto ai romanzi di Simenon sia da collegarsi al fascino del mistero, all’attrazione che esercita il corpo nascosto e poi svelato della donna. E Simenon, lettore accanito negli anni giovanili, dovette sicuramente rimanere impressionato da alcuni passi dei suoi scrittori preferiti. Per limitarci alla grande letteratura francese, il tema della bellezza femminile spiata, osservata, guardata si limita quasi sempre a brevi passi, sempre però di estrema sensualità.
“Coralie… quando ella eccitava gli sguardi con le braccia rotonde e lisce, con le dita affusolate, le spalle indorate, il seno, simile a quello celebrato dal Cantico dei Cantici, un collo mobile e ricurvo, con le gambe, di una eleganza adorabile, fasciate di seta rossa?… ”
(Balzac, Illusioni perdute, edizione Garzanti – traduzione di Argia Micchettoni)
“Il seno pieno, accuratamente velato, attirava lo sguardo e faceva sognare”
(Balzac, Eugénie Grandet, edizione Garzanti – traduzione di Giorgio Brunacci)
“Quando cadde l’ultimo velo, la osservai con curiosità. Aveva un seno verginale che mi abbagliò; alla luce delle candele, attraverso la camicia, il suo corpo bianco e roseo scintillò come una statua d’argento che brilla sotto un velo trasparente”
(Balzac, La pelle di zigrino, edizione Garzanti – traduzione di Cosimo Ortesta)
“Milady, che si era alzata, si adagiò nuovamente sulla poltrona, con la testa rovesciata indietro, i bei capelli sciolti e sparsi, il seno per metà nudo fra i merletti scomposti, con una mano sul cuore e l’altra penzolante”
(Dumas, I tre moschettieri, Newton Compton editori – traduzione di Luca Premi)
“Marius guardò l’affascinante braccio nudo di Cosette e quel che di roseo si intravedeva vagamente attraverso i pizzi del suo corsetto, e Cosette, vedendo lo sguardo di Marius, arrossì fino al bianco degli occhi”
(Victor Hugo, I miserabili, edizione Garzanti – traduzione di Liù Saraz)
“Gli si ripresentava infine l’immagine della fanciulla in camicia, con la corda al collo, le spalle nude, i piedi nudi, quasi completamente nuda, come l’aveva vista l’ultimo giorno. Quelle scene di voluttà gli facevano stringere i pugni e correre un brivido lungo le vertebre”
(Victor Hugo, Notre-Dame de Paris, edizione Garzanti – traduzione di Sergio Panattoni)
“Un fremito percorse la sala. Nanà era nuda. Era nuda con tranquilla audacia, certa dell’onnipotenza della sua carne. Soltanto un tenue velo l’avviluppava; le spalle tornite, il seno da amazzone i cui capezzoli rosei stavano dritti e rigidi come lance, i larghi fianchi che roteavano con un dondolio voluttuoso, le cosce di florida bionda, tutto il suo corpo s’indovinava, si vedeva in ogni particolare sotto il tessuto leggero, bianco come la spuma”
(Émile Zola, Nanà, Newton Compton editori – traduzione di Luisa Collodi)
“Lui la guardò e un leggero tremito tradì, su quel viso duro e chiuso di uomo d’ordine, il morso d’un segreto dolore. L’accappatoio lasciava scoperte le spalle e il seno della donna: delle spalle e un seno di Pomona indorata dall’autunno; d’una bellezza sontuosa e, per quanto matura, desiderabile ancora.”
(Émile Zola, Germinale, Einaudi – traduzione di Camillo Sbarbaro).
Potremmo allargare il discorso al romanzo europeo e all’arte pittorica e scultorea, e citare centinaia di esempi, ma non vi è lo spazio e sarebbe, alla fine, alquanto tedioso. Ciò che mi importa sottolineare è come anche questo lato “negativo” di Simenon/Maigret possa essere inserito in un contesto molo più ampio e in valori artistici assoluti (Hugo, Dumas, Balzac), che non è pensabile poter criticare.
Curiosità
Nell’autunno del 1939, pochi mesi prima che Simenon iniziasse a scrivere La maison du juge, in casa Simenon accadde un episodio molto divertente e poco conosciuto, che ci rivela un Simenon inconsueto e una Tigy (la sua prima moglie) ironica e pronta a cogliere l’attimo…
In autunno, sono venuti a trovarci i Pautrier, con la figlia Marie-France e Bob, il fidanzato. La cena di fidanzamento si è svolta a casa nostra, con champagne e discorso di Georges ai ragazzi:
«Mio caro Bob, non dimenticare che uno sposo deve essere sempre ai piedi di sua moglie e ai suoi ordini. Se lei lascia cadere qualcosa, allora tu precipitati…».
A quel punto, senza esitazioni, butto per terra la mia forchetta.
«Allora, Georges, precipitati, ho lasciato cadere qualcosa.»
A questo segnale, tutti gli invitati buttano in terra le loro posate, ed è un parapiglia. Tutti gli uomini si precipitano e Pautrier si mette in ginocchio per presentarmi la mia forchetta, dopo averla raccolta.
Georges, rimasto sbalordito per un attimo, è scoppiato a ridere. Quanto a Bob Druikle, non ha mai dimenticato quello scherzo, e me ne parla ancora.
(Simenon Tigy, Ricordi, Milano, 2005, p. 125)
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