L’écluse n° 1 è il XVIII romanzo della saga Maigret. Scritto, nell’aprile del 1933, nella tenuta La Richardière di Marsilly in Francia, apparve per la prima volta come feuilleton sul giornale Paris-Soir, dal 23 maggio al 16 giugno 1933, in 25 puntate. Nel giugno dello stesso anno fu pubblicato da Fayard. In Italia fu pubblicato da Mondadori, per la prima volta nel 1934, con il titolo La chiusa n. 1, nella collana “I gialli economici”.
TRAMA
Il vecchio battelliere Gassin cade in acqua, mentre sta salendo ubriaco sulla sua chiatta, ormeggiata nelle vicinanze di una chiusa. Viene subito soccorso e portato a riva, ma nel frattempo ci si accorge che un altro corpo galleggia sul fiume; si tratta di Emile Ducrau, uno dei personaggi più ricchi e influenti della zona. Qualcuno ha cercato di ucciderlo, accoltellandolo alla schiena.
Un paio di giorni dopo Maigret, prossimo alla pensione, arriva in paese e conosce il convalescente Ducrau, un personaggio che si è fatto da solo e che è molto fiero di mostrare i suoi possedimenti, chiatte o donne che siano. Le indagini proseguono con difficoltà soprattutto perché Ducrau ha molti nemici, persino nella sua famiglia.
A complicare la situazione, nei giorni seguenti, vengono scoperti due cadaveri. Jean, il figlio di Ducrau,suicidatosi ingoiando alcune compresse di barbiturici. Accanto al suo cadavere viene trovata una lettera d’addio: «Sono stato io ad aggredire mio padre e mi punisco da solo. Chiedo perdono a tutti. Non disperarti, mamma. Jean». Maigret, però, non è convinto, non capisce soprattutto perché il ragazzo volesse uccidere il padre. Poco dopo, viene trovato il cadavere impiccato di Bébert, l’aiuto-guardiano della chiusa.
Ducrau invita, nella sua casa di campagna di Samois, il commissario per convincerlo a lavorare per lui. Più tardi compare anche Gassin, forse armato, che ha intenzione di uccidere Ducrau. È a questo punto che Maigret spinge l’assassino a confessare tutte le sue colpe e a raccontare una storia, accaduta molti anni prima, che ha segnato per sempre il destino delle persone che si trovano nel salotto di Ducrau …
Perché leggere La chiusa n. 1?
Il libro è ambientato a Charenton, tra Parigi e Samois-sur-Seine, e inizia con una introduzione piuttosto lunga dedicata alla descrizione del fiume, della chiusa e delle chiatte. Simenon amava quei luoghi e li conosceva molto bene, per averli frequentati a lungo; ne è testimonianza quanto scritto da lui stesso in una delle sue tante autobiografie:
Con Tiggy, camminavamo lungamente, attratti in particolare dalla Senna e dal suo mutevole aspetto. La nostra passeggiata preferita era sui lungosenna fino a Charenton, alla Chiusa n. 1 dove comincia il canale della Marna. Osservavamo affascinati l’attracco delle barche e le botti che si ammucchiavano lungo le rive. Tutto era bello, nuovo, fantastico…
(Georges Simenon, Un uomo come un altro, Mondadori, 1981, p. 74)
Quasi tutti i primi diciannove Maigret sono ambientati nella provincia francese, spesso vicino ai fiumi o al mare: tre in città portuali sulla Manica, due in città fiamminghe, cinque sulle rive di fiumi o canali francesi, uno nelle acque della Marna e, per finire, in Maigret e il nipote ingenuo (ultimo dei primi 19 Maigret), il commissario si ritira in pensione in una casetta sulle rive della Loira.
Simenon coglie sia il lato poetico che realistico della vita del fiume, come mostra questo brano:
Sulle chiatte c’era il bucato steso ad asciugare, e una ragazza bionda buttava secchiate d’acqua sul ponte della Toison d’Or…
Maigret li aveva visti, quei canali del Nord dalle rive diritte e verdeggianti, con i pioppi che fiancheggiano il lungo viale di acqua tranquilla, le chiuse sperdute nella campagna, le manovelle arrugginite, le casupole ornate di malvarosa e le anatre che sguazzano nei gorghi delle paratoie…
È probabile che gli anni che Simenon passò prima sulla chiatta Ginette, quindi sul cutter Ostrogoth, lungo i canali navigabili europei, furono tra i più belli della sua vita. Ma l’amore per questi luoghi era nata in lui già in giovane età. Simenon, ad esempio, narra come dodicenne perse la propria verginità vicino al fiume Ourthe, presso il villaggio di Embourg, mentre esplorava il bosco soprastante il fiume insieme a Renée, un ragazzina di quindici anni. Altro ricordo ricorrente è quello della figura idealizzata del padre che, a lunghi passi, attraversava il ponte sul fiume per andare al lavoro. Ecco come Camilleri ci descrive la passione di Simenon per la vita del fiume:
… e guadagna parecchio, tanto che può realizzare il primo dei suoi sogni, comprarsi una chiatta e andarci a vivere … poi … si comprerà un cutter, col quale percorrerà tutti i canali navigabili della Francia. Ecco perché certe descrizioni di chiuse, un paesaggio difficile e raro da trovarsi, le chiuse, il paesaggio visto da un fiume. Ecco, sono descritti in questo modo, così … con una evidenza che si tocca quasi, perché ci ha vissuto, perché ci ha navigato a lungo dentro …
(Tratto da Andrea Camilleri racconta Georges Simenon e la potenza creatrice, Il caffè letterario. Il racconto dei grandi della letteratura – DVD n° 21 – 4 marzo 2011 – Gruppo Editoriale L’Espresso)
Il commissario Maigret e la tradizione poliziesca francese …
In questo romanzo, il delitto di Bébert, l’aiuto-guardiano della chiusarimane sullo sfondo: non vediamo il corpo e neppure il luogo dove si è svolto l’omicidio. Non vi è neppure una vera indagine, se non nella mente del commissario. Ciò che interessa a Simenon è il personaggio della vittima mancata, ossia Ducrau, protagonista indiscusso del romanzo.
Simenon, fin dai suoi esordi, dimostrò di non volere seguire lo schema classico del giallo e di volerlo cambiare, ma, come ogni buon autore che sta cercando la sua strada, iniziò ispirandosi proprio ai gialli dell’epoca. Leggendo i primi 19 Maigret ci si accorge di come Simenon abbia lentamente modificato la struttura dei suoi polizieschi e preso consapevolezza delle proprie capacità, allontanandosi sempre più dai modelli da cui era partito e creando un suo stile personale, tanto da diventare a sua volta un modello per gli autori che verranno. Nel poliziesco degli anni trenta, infatti, emerge una nuova attenzione per la realtà e la psicologia (soprattutto negli Stati Uniti e in Francia), che prima si poteva intravedere solo nell’opera di Chesterton. Si pensi al fatto che l’assassinato è il guardiano di una chiusa, “impiccato alla porta a monte della chiusa”. Simenon non ci racconta più di omicidi di principi o conti, perpetrati con strani marchingegni e ambientati in castelli o biblioteche. Tutto ciò che accade ne La chiusa n. 1 avrebbe potuto capitare realmente.
La chiusa n. 1, insieme al precedente Maigret al liberty Bar, sono la prova di quanto ormai Simenon sia sicuro del suo commissario e del suo nuovo modo di indagare. Ciò che conta per lo scrittore, sin dall’inizio della storia, è soprattutto il rapporto-confronto tra Ducrau e Maigret. La chiusa n. 1 è, almeno per quanto riguarda i primi 19 Maigret, la massima espressione dello stile di Simenon, e l’omicidio è solo un pretesto per mettere in scena una tragedia dei sentimenti umani di tipo balzachiano: odio e vendetta, amore e sacrificio.
L’evoluzione nel romanzo poliziesco classico si verifica precisamente quando Simenon concepisce e elabora Maigret … (p. 119) I diciannove romanzi, da Pietr-le-Letton, pubblicato nel 1931 a Maigret, uscito nel 1934, costituiscono così la prima fase del contributo del romanziere all’elaborazione del poliziesco moderno, dove dà la propria interpretazione del «realismo» … La ricerca dell’aspetto umano nel criminale, come negli altri personaggi, è una forma di realismo psicologico … (p. 121)
(Stanley G. Eskin, Georges Simenon, Marsilio 2007)
Questo modo nuovo di affrontare il poliziesco è, in ogni modo, anche legato alla tradizione francese, che è da sempre stata più interessata ai criminali che ai poliziotti. Si pensi al famoso personaggio di Vidocq, a Jean Valjean in Les misérables di Victor Hugo, a Vautrin che compare in diversi romanzi di Honoré De Balzac, al diabolico Fantomas di Marcel Allain e Pierre Souvestre oppure al simpatico Arsène Lupin. Nel caso diArsène Lupin di Leblanc e di Vidocq ci troviamo addirittura davanti ad un motivo ricorrente nel romanzo poliziesco francese, ossia la tendenza a confondere i ruoli del poliziotto e del criminale, o comunque del poliziotto che comprende i criminali, identificandosi con loro (Vidocq, prima di diventare un famoso poliziotto, era stato un ladro). È da ricordare che il primo poliziesco, scritto da Simenon, sotto lo pseudonimo di Christian Brulls, intitolato Nox l’insaisissable (pubblicato da Ferenczi nel 1926), s’inserisce proprio nella tradizione di Arsène Lupin: Nox, infatti, è un ladro di eccezionale intelligenza, le «bandit invisible», che si scontra con il detective privato Anselme Torres:
Il s’agit là de la première tentative de Simenon dans le domaine du roman policier. Néanmoins, la lutte entre les deux hommes très intelligents et déductifs que sont Torres et Nox n’apparaît que comme une très pâle préfiguration de la lutte entre Maigret, l’intuitif, et Radek, l’intellectuel, à laquelle nous assisterons dans La Tête d’un homme (Questo è il primo tentativo di Simenon nel campo della letteratura poliziesca. Tuttavia, la lotta tra due uomini molto intelligenti e deduttivi Torres e Nox appare solo come una prefigurazione molto pallida della lotta tra l’intuitivo Maigret e l’intellettuale Radek, che vedremo in La tête d’un homme).
(Cfr. Michel Lemoine, L’Autre Univers de Simenon. Guide Complet des Romans Populaires Publies Sous Pseudonymes, CEFAL 2002, pp. 102-103)
Ducrau e il personaggio dell’arrampicatore sociale …
Alcune parti del romanzo soffrono ancora di pastoie melodrammatiche tipiche del feuilleton, ma l’intreccio va comunque lodato per la lineare semplicità. È vero, però, che l’attenzione di Simenon per i caratteri dei personaggi è ormai preponderante rispetto a tutto il resto, e i sentimenti vengono analizzati nei loro aspetti più complessi senza perdere mai in credibilità. Simenon deve molto al realismo psicologico della tradizione ottocentesca francese, soprattutto del grande Balzac, nelle cui opere “la vita sociale diventa una nuova materia narrativa, un magazzino inesauribile di storie, osservazioni, considerazioni. Saputa vedere, la realtà apparentemente più banale può rivelare una ricchezza drammatica che la finzione romanzesca non sempre riesce a esprimere” (Cfr. Lanfranco Binni, Introduzione in Honorè de Balzac, Illusioni perdute, Garzanti Editore 2012).
Per questo Maigret/Simenon entra nei bar, passeggia lungo i fiumi, osserva gli operai al lavoro sulle chiuse e sulle chiatte e fa sua ogni immagine. La moglie di Ducrau, ad esempio, è raffigurata con poche ma essenziali pennellate, e ne esce la figura di una donna scialba, “mal vestita, mal pettinata, invecchiata male come i mobili del salotto”, e succube delle prepotenze del marito. Ma persino Maigret pensa che l’infelicità che porta impressa sul volto non sia colpa solo del burbero Ducrau: “è una di quelle creature che sono sempre tristi e riservate, qualunque sia la loro sorte.”
Il protagonista assoluto del romanzo è comunque Ducrau. Simenon gli dedica le pagine migliori del libro:
Maigret non batté ciglio, ma per la prima volta dopo tanto tempo si rallegrò di trovarsi davanti un personaggio che valeva davvero la pena di conoscere …
Era così grosso che sembrava quasi quadrato, anche perché doveva avere una fasciatura attorno al torace. Comunque era pieno di energia, e Maigret lo vide saltare dal muro della chiusa sul ponte di una chiatta che si trovava un metro più in basso …
Ducrauè praticamente il padrone della chiusa, possedendo quasi tutte le chiatte e i magazzini. Ha iniziato come barcaiolo ma si è arricchito, sposando la figlia del padrone, e poi espandendo con intelligenza i propri affari. All’apparenza è un uomo dissoluto, altero e vanitoso, che tende ad imporsi con la forza ed il potere su tutti quelli che gli stanno attorno. Egli sembra non rispettare nessuno: tratta la moglie come una serva e la mortifica facendo vivere l’amante, Rose una ex ballerina, nella sua stessa casa; disprezza il figlio che considera un buono a nulla, relegandolo all’ultimo piano della casa; umilia la figlia e suo marito che hanno bisogno di denaro.
Ducrau rispetta solo Maigret che gli tiene testa e il vecchio amico Gassin, che lo vuole uccidere.
Ducrau rappresenta il personaggio del borghese o nuovo ricco, disposto a sacrificare tutto per farsi largo e affermarsi, in una società che, effettivamente, pare premiare solo chi agisce con immorale spregiudicatezza.
«L’intero isolato attorno a casa mia mi appartiene, compresi il bistrot, le casupole e la balera! E inoltre le tre gru, là in fondo, il frantoio e i cantieri per le riparazioni, al di là della passerella!».
Sprizzava soddisfazione da tutti i pori.
«Ho sentito dire che il tutto vale una quarantina di milioni» osservò Maigret.
«Non l’hanno informata male, milione più milione meno…
In realtà, alla fine, quando il suo vecchio amico Gassin si suiciderà, Ducrau si renderà conto di essere stato vittima della sua stessa ambizione: egli è diventato potente e ricco ma ha perduto l’amicizia dell’unica persona che veramente contava per lui. È significativa una delle ultime frasi che Ducrau dice a Gassin, invitandolo a tornare a navigare assieme, come ai vecchi tempi: «Dopo, Gassin, prenderò una bagnarola, la più piccola, come l’Aigle!…».E con la gola serrata aggiunse: «Dimmi qualcosa, perdio! Non hai ancora capito che non c’è più nient’altro che conti?».
Il tema dell’amicizia, con tutte le problematiche ad essa collegate, non era nuovo in Simenon. Ecco, ad esempio, un brano tratto dal romanzo Il figlio (edizioni Mondadori – B.E.M. – Il Girasole, 1959):
Per la maggior parte di noi, ci sono prima i compagni di Liceo, poi gli amici dell’Università, quelli degli inizi, d’ufficio, del Palazzo di giustizia o di un certo ambiente ben preciso, gli amici della maturità e quelli della vecchiaia. Si fa la stessa strada per un po’ di tempo e ad ogni incrocio si perdono alcuni compagni che prendono un’altra direzione per trovarne altri venuti da un’altra direzione. Pochissime tra le persone che conosco hanno conservato le stesse amicizie per vent’anni, per trenta; non parlo certo di quelli che s’incontrano per caso una volta ogni due anni, che si picchiano manate sulle spalle e si danno del tu.
(Citato in Simenon, a cura di Bernard de Fallois, Feltrinelli, 1962 p. 198)
Ducrau è quindi un personaggio molto più complesso di quanto possa apparire ad una lettura superficiale, e dietro l’apparenza di uomo dispotico, cinico e vanitoso si nasconde una profonda insicurezza.
Infiammato da un desiderio sessuale che sembra insaziabile (che ricorda quello dello stesso Simenon) e che può essere appagato solo trasgredendo le regole, il personaggio di Ducrau rappresenta l’uomo che mal sopporta i limiti angusti entro cui la morale sociale obbliga la gente a conformarsi. È per questo che, quando Ducrau scaccia l’amante dalla sua casa (Rose vive sotto lo stesso tetto, insieme alla moglie), non lo fa per ragioni morali, ma perché anche lei, come la moglie, ha iniziato a comportarsi come una “stupida” donna di casa.
«Le ho detto di togliersi dai piedi, e non so neanche dove sia andata …».
Si stava rodendo, e ogni cosa lo irritava. Si sarebbe detto che arrivasse a odiare perfino gli oggetti, come quella tovaglietta che continuava a stropicciare.
«Da Maxim era tutta carina e allegra. Rappresentava qualcosa, come dire, qualcosa di diverso da mia moglie e da quelle come lei! Le metto su casa ed ecco che comincia ad ingrassare, a pensar solo a farsi il bucato e a cucinare come una portinaia».
Ducrau desidera avere accanto una donna vitale e passionale e non una casalinga. A questo punto, una breve nota a parte merita la descrizione del rapporto di Ducrau e sua moglie: Simenon rappresenta, ancora una volta, un matrimonio basato su motivi di interesse e apparentemente anche senza amore(anche se nel finale Ducrau pare pentirsi di come ha trattato la moglie sino a quel momento:«Povera la mia vecchia! Guarda, penso proprio che ti farò un po’ di posto sulla mia bagnarola»). Anche in questo caso, lo scrittore belga fu sicuramente influenzato dalle opere di Balzac, soprattutto La fisiologia del matrimonio (La physiologie du mariage, 1830), opera scandalosa per la sua epoca, che asseriva che il matrimonio era un’istituzione «contro natura» che condannava mogli e mariti all’adulterio. Ecco alcuni brani tratti dall’opera allora famosissima di Balzac:
- Il matrimonio deve incessantemente combattere un mostro che divora tutto: l’abitudine (p. 51);
- È più facile essere amante che marito, per la ragione che è più difficile avere spirito tutti i giorni, che dire delle cose graziose di quando in quando (p. 51);
- Il matrimonio può esser considerato politicamente, civilmente e moralmente, come una legge, come un contratto, come una istituzione; legge, è la riproduzione della specie; contratto, è la trasmissione della proprietà; istituzione, è una garanzia i cui obblighi interessano tutti gli uomini: essi hanno un padre ed una madre, e avranno dei figli … La maggior parte degli uomini non hanno avuto in vista, col loro matrimonio, che la riproduzione, la proprietà o il bambino, ma né la riproduzione, né la proprietà, né il bambino costituiscono la felicità. Il crescite et multiplicamini non implica 1’amore (p. 48)
(Honorè de Balzac, Fisiologia del matrimonio. Meditazioni sulla felicità e la infelicità coniugale, Salani Editore, 1898)
Ma Ducrau non è solo questo! È anche un personaggio brutalmente sincero che disprezza l’ipocrisia che lo circonda, rappresentata nel romanzo, soprattutto dalla figlia e da suo marito. Ed è questa forse la ragione del profondo attaccamento che Ducrau prova per Aline, la figlia illegittima avuta da una relazione con la moglie di Gassin. Aline è una ragazza “un po’ ritardata”, che vive isolata su una chiatta, insieme a Gassin che crede di essere suo padre. Aline rappresenta per Ducrau la purezza e la semplicità perdute. L’amore paterno per Aline è una prova di questo suo bisogno di sentimenti veri, non corrotti dal denaro, come quelli che invece pare offrirgli l’altra figlia e, per questo, nonostante tutta la sua ricchezza, Ducrau invidia il suo amico Gassin. Ecco cosa dice Ducrau a Gassin, dopo avergli rivelato di essere stato l’amante di sua moglie:
E poi, dopo di allora non sono più stato lo stesso con te. Ti vedevo dalla finestra sulla tua chiatta, e anche lei, e la bambina… Sai cosa ti dico? Che neppure tua moglie ha mai saputo di chi fosse, se mia o tua…» … Girava intorno a Gassin senza avere il coraggio di guardarlo, e tra una frase e l’altra faceva delle lunghe pause.
«In fondo, il più fortunato dei due sei stato tu!».
L’amore che prova per Aline, il sentimento di amicizia che lo lega allo stesso Gassin e il rispetto per Maigret, rappresentano anche il timore di Ducrau di rimanere solo. Una paura che provava lo stesso Simenon, che somiglia molto al personaggio di Ducrau.
La coppia, la famiglia si sono saldate ad altre coppie, ad altre famiglie, i clan ad altri clan la società è nata e l’uomo può credere di non essere solo. Perduto nella massa delle grandi città, protetto da una rete di tabù chiamata codice o morale, non è finalmente al sicuro? Perché si sente allora più solitario, più angosciato che mai … Ovviamente questa paura, quest’isolamento, li sento come ogni altro, altrimenti non sarei un uomo. Sotto quale forma? E qui che le reazioni differiscono in maggior o minor misura … Essere un uomo senza paure né bisogni è per me un ideale purtroppo inaccessibile.
(Georges Simenon, L’età del romanzo, Lucarini Editore 1990, pp. 4-5)
Questa complessità di Ducrau è testimoniata dallo stesso Maigret, che sotto il manifesto dispotismo riesce presto a vedere i pregi e le debolezze dell’uomo:
… in quel momento Maigret capì che c’erano due Ducrau: uno, pieno di boria anche quando era solo, che parlava a voce alta e faceva il gigione come se recitasse un’eterna commedia, l’altro che all’improvviso dimenticava di guardarsi vivere ed era soltanto un uomo timido e impacciato …
Ducrau, infatti, ha fatto di tutto per allontanarsi dal suo originario contesto sociale, per poi rendersi conto dell’impossibilità di entrare a far parte di un ambiente che non è il suo.
Già da un bel po’ Maigret si era reso conto del clima tragicomico che avvelenava l’esistenza di Ducrau. Partito da zero, adesso guadagnava soldi a palate.Trattava affari con gente dell’alta borghesia e sapeva bene come si vive in quegli ambienti. Ma i suoi erano rimasti indietro. Sua moglie, a Samois, faceva gli stessi gesti, aveva le stesse abitudini di quando lavava i panni a poppa del rimorchiatore, e sua figlia non era altro che la caricatura di una borghesuccia.
Ducrau ne soffriva come di un’offesa personale e si rendeva perfettamente conto che i vicini non lo prendevano sul serio, nonostante quella grande casa bianca, l’autista e il giardiniere.
Moriva dall’invidia nel vederli sul loro prato o sulla loro terrazza. Si infuriava, e per sfogarsi sputava per terra, poi affondava le mani nelle tasche e si metteva a gridare parolacce.
Contemporaneamente Ducrau è divenuto il padrone di quegli stessi battellieri con cui prima lavorava e trascorreva le serate nei bar. In questo modo, egli si è così trovato emarginato da entrambi i mondi: staccato ormai dal vecchio e mal accettato dal nuovo. Questo isolamento, in cui si trova a vivere, è dovuto alla trasformazione (con il conseguente sacrificio di parte di se stesso) cui Ducrau si è dovuto sottoporre, a causa della sua ambizione di potere e denaro. Carlo Marx aveva già sottolineato come il denaro non si limita ad offrire la possibilità di acquistare beni, ma trasforma “demonicamente” le persone.
Da Defoe a Goethe o a Balzac, per citare solo alcuni nomi, il denaro e i suoi diversi, anche opposti impieghi – il consumo, l’investimento, la speculazione – sono inseparabili dal quadro di seduzione e di violenza che la letteratura – con sentimenti e giudizi diversi, a seconda degli autori, delle epoche e delle situazioni – disegna raccontando la vita, l’incontro e lo scontro fra l’individuo e la realtà. La nuova concezione del denaro è indissolubile dal genere letterario per eccellenza che racconta questa modernità capitalistica, il romanzo.
(Claudio Magris- Mario Vargas Llosa, Mondo, romanzo, Einaudi 2013)
La figura dell’arrampicatore sociale o nuovo ricco era presente già nel teatro elisabettiano, ma fu nel settecento e soprattutto nell’ottocento che divenne uno dei personaggi più diffusi in letteratura. E Simenon lesse sicuramente i romanzi di Balzac, Maupassant e Sthendal. Ma mentre questi scrittori raccontavano storie di arrampicatori sociali ispirati a loro stessi e quindi culturalmente elevati (scrittori, poeti o comunque artisti o studiosi), Simenon andò oltre il realismo ottocentesco, raccontandoci la storia di un uomo di fatica, un uomo del popolo, che lavora sulle chiatte e che riesce ad arricchirsi, ma non ad elevarsi intellettualmente. Julien Sorel, protagonista del romanzo Il rosso e il nero di Stendhal, è un intellettuale con grandi ideali politici; i protagonisti dei romanzi di Balzac sono di solito piccolo borghesi che aspirano a diventare dei grandi artisti; Georges Duroy, il protagonista del romanzo Bel Ami di Guy de Maupassant, è un ex-militare molto ambizioso, che grazie al giornalismo e alla sua capacità di manipolare le donne, diviene un uomo importante della società parigina. Stendhal, Balzac e Guy de Maupassant, nel creare i loro personaggi, si ispirano a se stessi, alla loro biografia. Ducrau è un personaggio molto più vero, anche se ha molti punti di contatto con i suoi predecessori; ad esempio con Georges Duroy divide la stessa passione per le donne e anche il suo usarle per i propri scopi; Ducrau, infatti, sposa la figlia del padrone: “ho cominciato come cominciano tutti: alla caldaia! La bagnarola si chiamava Aigle. Ne sono diventato proprietario sposando la figlia del padrone, che lei ha appena visto …”
Per analizzare le analogie e le differenze tra i personaggi creati da Stendhal, Balzac, Maupassant e Simenon ci vorrebbe molto più spazio e tempo, l’importante è sottolineare come Ducrau sia un discendente diretto dei romanzi ottocenteschi, e come, in tutti questi personaggi, sia comune la sconfitta sociale, ossia il non riuscire ad entrare in quella classe elitaria cui essi aspirano.
Fortuna televisiva
Lo sceneggiato La chiusa, diretto da Mario Landi, sceneggiato da R. Craveri e dal mitico Diego Fabbri, fu trasmesso dalla RAI il 14, 21 e 28 luglio del 1968.
Mi limiterò qui a consigliare la visione di questo sceneggiato per la straordinaria interpretazione di Arnoldo Foà, nato a Ferrara nel 1916 e morto nella sua casa di Roma da poco più di un anno. Come era già accaduto per Una vita in gioco, in cui Gian Maria Volonte’ aveva recitato magistralmente la parte di Radek, così Foa, interpretando il grossolano e dispotico Ducrau, dà vita ad uno dei personaggi più famosi della sua carriera televisiva. Almeno per quanto riguarda i primi 19 Maigret, Radek e Ducrau sono sicuramente i due migliori personaggi maschili creati dallo scrittore belga.
Arnoldo Foà riesce a farci vedere e sentire sia il Ducrau manifesto, ossia grezzo, maschilista e a volte inumano, come quello ben nascosto, ossia quello sincero e passionale, che rispetta l’amicizia e prova amore per la sua figliola indifesa. Foà, sotto la durezza espressiva del volto, riesce a farci intuire il dolore che prova per il figlio suicida e il tormento per la figlia ritardata. Un’occasione insomma per rivedere un meraviglioso attore.
Curiosità, Simenon come Conan Doyle …
Nel 1932, all’uscita di L’écluse n° 1, Simenon decise di fare andare in pensione Maigret sia letterariamente che editorialmente, e lo comunicò al suo editore Fayard. Simenon aveva deciso che avrebbe scritto un ultimo romanzo con Maigret (Maigret e il nipote ingenuo) e poi si sarebbe dedicato esclusivamente a scrivere quelli che egli definiva i “romanzi duri”. Fayard rimase letteralmente sconvolto dalla notizia e cercò di convincere Simenon a non smettere la serie di Maigret, paragonandolo a Conan Doyle che, suo malgrado, era conosciuto solo come il creatore di Sherlock Holmes. Fayard non riuscì a convincere Simenon che cambiò addirittura editore, passando a Gallimard. Lo stesso Simenon, però, si accorse con il tempo del proprio errore e tornò a scrivere romanzi con protagonista Maigret nel 1942.
Tutti i brani de La chiusa n. 1 sono tratti dall’edizione Adelphi, collana gli “Adelphi – Le inchieste di Maigret” – traduzione di Germana Cantoni De Rossi.
Ti è piaciuto l'articolo? Iscriviti alla newsletter
Inserisci la tua email e riceverai comodamente tutti i nostri aggiornamenti con le novità, le anticipazioni e molto altro.