Enrico Camanni nasce nel 1957 a Torino dove ha frequentato il corso di indirizzo storico alla facoltà di Scienze Politiche. Ha unito, con abile maestria, le sue due passioni: la scrittura e la montagna. È stato un alpinista molto attivo sulle Alpi dove ha aperto una decina di vie nuove e ripetuto circa cinquecento itinerari di roccia e ghiaccio ed ha ricoperto, nel 2007, il ruolo di progettista e direttore culturale di “Alpi 365 Expo”, il rinnovato salone della montagna di Torino.

È poi, attraverso la passione per l’alpinismo, approdato al giornalismo di montagna. Ha scritto numerosi articoli e saggi sulla storia dell’alpinismo, l’ambiente e le tematiche alpine (con particolare attenzione a quelle umane, sociali ed ecologiche). Ha collaborato con parecchi giornali e periodici tra cui “Airone”, “Meridiani”, “Piemonte Parchi” e “La Stampa” (dove dal 1999 scrive sulle pagine culturali e in cronaca). Nel 2006 ha pubblicato, per Cda&Vivalda, il romanzo/giallo La sciatrice dando così vita al personaggio di Nanni Settembrini: un torinese che fa la guida alpina in Val d’Aosta e che diventa un investigatore dilettante allo scopo di indagare o meglio risolvere i numerosi misteri che avvengono in alta quota. Sempre per Cda&Vivalda nel 2008 pubblica L’ultima Camel Blu e poi Il ragazzo che era in lui (2011). Nanni Settembrini ritornerà, con pubblicazione in Giallo Mondadori, nel 2020 con Una coperta di neve. Recensisco ora per voi l’ultima fatica letteraria del mio concittadino Enrico Camanni e cioè: La discesa infinita (Giallo Mondadori, 2021).

Nanni Settembrini, torinese imprestato alla montagna, guida alpina da trent’anni e responsabile del soccorso alpino vive ormai da molti anni in un paesino vicino a Courmayeur. Dopo una separazione dolorosa, ma ormai superata, dalla moglie Clara che gli ha regalato due splendide figlie, la saggia Tiziana e la “pasionaria” Giovanna, convive ora, sereno e appagato, con Camilla che condivide con lui la passione per la montagna e lavora nella segreteria dell’Ufficio Guide. Siamo in autunno che è un periodo particolarmente ibrido per la montagna in quanto i turisti estivi se ne sono già andati e quelli invernali non sono ancora arrivati e lo faranno solo al sopraggiungere della prima neve.

Per Nanni, come per le altre guide, ottobre è un mese di uscite solitarie, e lui una mattina si incammina alla ricerca di cristalli di quarzo, più per il gusto di cercare che di prendere, sui fiordi del Miage il “ghiacciaio più himalayano del versante italiano” del Monte Bianco contemplando, con dolore, gli effetti devastanti del riscaldamento climatico che portano ad un inarrestabile smagrimento dei ghiacciai. Viene attratto improvvisamente da un brandello di tessuto di colore celeste e da un pezzo di cuoio incartapecorito di uno scarpone d’altri tempi da cui spunta l’osso di una gamba, il tutto intrappolato all’interno del fiume gelato del Miage. Allerta immediatamente i colleghi del corpo speciale della Guardia di Finanza che, recuperati i poveri resti, capiscono subito che lo sfortunato alpinista era morto da tanto tempo e cioè da prima che gli alpinisti usassero i materiali sintetici e le fibre di nailon al posto della canapa delle corde. Da subito Nanni prende a cuore la vicenda del povero scalatore, che come lui senz’altro amava quei luoghi, quelle montagne e quei panorami, non solo perché vuole scoprire come mai nessuno ne ha mai denunciato la scomparsa ma anche perché quando la montagna restituisce un corpo pare che voglia restituire anche tutto quello che è stato di quella persona: i sogni, i ricordi, le speranze, gli amori…

E quindi, come era solito fare quando un chiodo fisso lo torturava, si reca in visita dal saggio ex-suocero Olivier Gorret che vive isolato in una baita in alta quota «… il tema dei ghiacciai ricorreva nei loro incontri. Altrimenti il torinese e il valdostano parlavano di scalate, legni di foresta, animali selvatici, cristalli di quarzo e donne. Se finivano gli argomenti, guardavano le nuvole, e se non c’erano nuvole centellinavano il caffè».

Grazie alle riflessioni di Olivier e al proprio fiuto indagatore Nanni inizierà un percorso a ritroso nel tempo che lo porterà prima alla fine degli anni ‘20 e poi alle soglie del 1950 alla ricerca dell’identità dell’anonimo scalatore aiutato da una fotografia, o meglio da due fotografie quasi identiche, scattate al Giro d’Italia l’anno in cui ci fu la fuga di Coppi…

La discesa infinita di Enrico Camanni è un altro giallo/mistery ambientato in montagna. In quella montagna incantevole e magica, straordinaria e silenziosa, affascinante ma anche, come sa bene lui e il suo protagonista Nanni, pericolosa perché «puoi essere un esperto fin che vuoi ma sei sempre un uomo a piedi contro una Ferrari».

Protagonista assoluto è indubbiamente il Monte Bianco ma è affiancato da una moltitudine di altri microcosmi che l’autore pare conoscere molto bene: dalla zona di Torino denominata “dei lavandai” (senz’altro Barca/Bertolla), al Valentino sulle sponde del Po, alla “barriera” con Corso Giulio Cesare, dalle Valli del Pinerolese a quelle del Cuneese ed infine il Ponente Ligure.

La storia si svolge su due piani temporali ben distinti che sono il presente con il ritrovamento dei resti di un corpo da parte di Nanni Settembrini e un passato, che inizia alla fine degli anni ‘20 e termina alle soglie del 1950 con la storia di un’amicizia prima e di un grande amore poi dei “ragazzi del fiume”. L’alternanza tra presente e passato è ben individuabile perché i capitoli relativi al passato hanno dei titoli riconducibili ai colori o meglio a specifiche sfumature di colore: ambra, ceruleo, color latte, celeste…

Particolarissimo e originale è proprio, a mio avviso, il personaggio di Nanni Settembrini perché straordinario proprio perché “normale”. Siamo tutti ormai abituati a investigatori/commissari piuttosto complicati, ansiosi, irrisolti, con problematiche familiari serie e magari anche con qualche “dipendenza”… ecco il nostro Nanni è proprio l’opposto: un uomo moderato, pacato, onesto,  fortemente legato ai valori veri della vita, convinto dell’inutilità del futile, saldamente ancorato alle proprie radici ed ecologista convinto. Lo stile di Camanni è particolarissimo sia per la scelta dei vocaboli (la montagna, il freddo, il gelo, la neve si sentono anche nella scelta delle parole) sia perché la sua è una narrazione “lenta” che procede quasi come una scalata perché «Scrivere un libro e salire una montagna non significa nient’altro che mettere parole e passi gli uni davanti agli altri, migliaia e migliaia di piccoli passi, concentrandosi sempre sul prossimo.»

In conclusione ho amato molto La discesa infinita sia perché mi ha fatto fare un tour geografico nei luoghi della mia vita (sono di Torino, abito nel quartiere denominato “dei lavandai”, i miei genitori sono originari della valle del pinerolese e nel ponente ligure abbiamo il nostro “buen retiro”) sia perché mi ha fatto fare un tuffo nei ricordi del passato e una full immersion nelle espressioni dialettali piemontesi e nei proverbi di origine contadina.

Davvero un bel libro, ben strutturato e congegnato, con una struggente storia d’amore che fa tanto bene al cuore.

Mi sembra doveroso, però, per onestà intellettuale citare la pesante critica fatta su “Tuttolibri” (inserto culturale de “La Stampa”) da Sergio Pent che non condivide la collocazione di La discesa infinita nella collana Giallo Mondadori in quanto, secondo lui, è un bel libro ma non è un giallo.

Terminerei con uno stralcio della straordinaria risposta dello stesso Camanni: «Che significa giallo? Se intendiamo pistole e sangue, cioè “crime”, certo ha ragione lui, ma se intendiamo “mistery”, cioè un enigma che si svela durante la storia, allora Pent sbaglia alla grande e Mondadori ha fatto la scelta giusta… Il mistero della storia è nella montagna stessa, che sia di roccia o dentro le pagine di un libro, e allora come Settembrini (che adora il “crime” in tv) possiamo deporre le pistole e gli inseguimenti di gomma bruciata, perché dove governa la natura siamo noi i fuggitivi, tutti fuorilegge.»

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Articolo protocollato da Luisa Ferrero

Mi chiamo Luisa Ferrero, sono nata a Torino e vivo a Torino. Dopo una laurea in Materie Letterarie ho ricoperto il ruolo, per tre anni, di assistente ricercatore presso l’Università degli Studi di Torino e ho poi, successivamente, insegnato nella scuola per oltre trent’anni. Divoro libri di ogni genere anche se ho una predilezione per i gialli, i thriller e i noir. Le altre mie passioni sono: il cinema, il teatro, il mare, la mia gatta e la compagnia degli amici... Di recente mi sono approcciata anche alla scrittura partecipando a numerosi corsi di scrittura creativa. Il mio racconto giallo "Un, due, tre… stella!" è stato inserito nell’antologia crime "Dieci piccoli colpi di lama" - Morellini Editore (luglio 2022) e il mio romanzo d’esordio "Cicatrici", finalista alla quinta edizione del concorso "1 giallo x 1000", è stato pubblicato il 31 marzo 2023 da 0111 Edizioni. Ah, dimenticavo... dal 2016 sono non vedente ma questo, in realtà, non è un problema in quanto per dirla come Antoine de Saint-Exupéry "l’essenziale è invisibile agli occhi".

Luisa Ferrero ha scritto 121 articoli: