“A quel tempo non ragionavo, non ci riuscivo, mi ubriacavo, era l’istinto che mi guidava, dritto verso la donna sbagliata…”. Dovrebbero essere parole di Julian Salvo, poeta cantore del Rio Olimar (in Uruguay due fiumi portano questo nome, il Grande e il Chico), in realtà se lo si va a “googlare” il rinvio è dritto indietro alla fonte, ossia al nuovo romanzo di Mercedes Rosende, finalmente tradotto e pubblicato da Sem. La donna sbagliata è la scelta più azzeccata per chi, come la sottoscritta, nella vita è stato talmente bulimico di gialli, noir, thriller e affini che ora, passato il mezzo secolo, tende a trovare più similitudini che originalità.
Questo libro non è affatto scontato.
Sarà l’ambientazione insolita (in quanti sono stati a Montevideo?), sarà l’autrice insolita (in quanti hanno letto opere di una notaia uruguagia?!), sarà la protagonista davvero surreale, dipinta apparentemente per infondere tenerezza e compassione, ma disseminata di indizi sottotraccia per farcela, quanto meno, temere!
Ursula Lopez è una donna sgradevole, intanto nell’aspetto: è una grassona che malvolentieri frequenta le riunioni degli Obesi Anonimi, ove ascolta storie di frustrazione – come quella della donna franata alla cena aziendale del marito perché la sedia non ne ha retto il peso – senza entrare in empatia. È un’obesa che abita al quinto piano e, se il suo palazzo resta senza corrente, deve fronteggiare la risalita per le scale, ed è tragedia. È un ammasso di donna che non riesce a provarsi un vestito senza spaccarlo, che si rifugia in casa per sfuggire ad un mondo censore quanto esile, ma lì trova un nuovo inferno: la vicina del piano di sopra che tacchettando le impone lo stillicidio sonoro.
Ursula sembra una vittima della vita, che in sorte le ha dato una sorella eterea, ben maritata, che vive di acqua naturale e che lei stringerebbe volentieri alla gola, “fino a vederle diventare azzurra la pelle del collo”.
Ursula vive “in un mondo dove tutti gli specchi danno cattive notizie e le luci sono impietose e drammatizzano i rotoli di grasso”. Cova rabbia, voglia di piangere, di “sbattere in faccia al prossimo la vergogna per la pappagorgia, la protuberanza in mezzo al corpo che ormai è la pancia e dietro un grosso culo”. <Nessuno può amare una cicciona>, le sussurrava il suo papà…
Oggi comincio la dieta. Dice. Poi si abbuffa di dulce de leche.
Ursula flirta per scioccare uomini inebetiti dai suoi volumi ma vive una visita ginecologica come un’invasione dolorosa. Sotto alla sua esistenza apparentemente vinta, ma placida (cosa potrà mai accadere ad una traduttrice che lavora in casa?), in cui il diversivo è lo spolvero meticoloso di una collezione di statuette giapponesi, cova un magma ribollente di frustrazione, erotismo e duelli coi fantasmi.
Cosa mai potrà succederle? Per esempio di essere omonima della moglie di tal Santiago Losada, sequestrato sulla via per l’aeroporto, e di ricevere la telefonata dei rapitori che domandano, a lei – ma per errore-, il riscatto e di decidere, subito e senza incertezze, di non correggerli, di calarsi in una vita non sua e giocare a recitare, così rimanendo ingorgata in una storia sordida, dove incontra un altro perdente – che non è l’ostaggio, anzi, quello continua a fare il petulante anche da rapito – ma il rapitore.
Mercedes Rosende ha scritto altri libri, con cui in Sudamerica ha vinto parecchi premi e, a scorrere la lista dei titoli, si comprende come le interessino le donne brutte. Viene spontaneo andare a cercare l’immagine di lei, allora (anche perché, voglio dire, una notaia uruguagia… come sarà?) e si scopre che è una splendida bionda. In quelle zone, come in Brasile, in effetti ci furono emigrazioni di tedeschi…
Ecco, per quanto possa comprendersi alla lettura di un solo romanzo (ma ora cercherò gli altri, a costo di leggerli in spagnolo!), direi che è l’autrice del disagio, del malessere, del posto sbagliato. Li descrive sino a infondere nel lettore un senso di colpa quando deve ammettere che non solo Ursula Lopez non gli fa pena, ma addirittura gli provoca imbarazzo, come un velo di sudore gelido in un momento importante.
Forse perché Ursula ha questa capacità di riconoscere i profumi, che ci ricorda Suskind e il grande perverso che ha celebrato. Forse perché dietro di sé, ma senza mai esserne accusata apertamente, questa donna ha una scia di cadaveri. Forse perché si fa gioco di un disperato, che è partito col commettere un reato, ma ne è rimasto travolto lui stesso (ecco, forse un rimando si può osare, ed è al marito di Fargo dei fratelli Coen).
Il vulcano che ribolle in questa matrona atarassica si fa eruzione ma, invece di deflagrare nello scoppio liberatorio dei lapilli, si incanala torbida e sinuosa in quell’altra vita, che il caso le ha riservato, dove può scordare, o addirittura esibire la sua mole ingombrante e riapparirvi, uguale ma nuova, in un set che non è casa sua ma uno scenario altrui. Fino ad un certo punto…
Consigliatissimo.
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