La grande caccia è il quinto romanzo della serie scritta da Ben Pastor (pseudonimo di Maria Verbena Volpi, scrittrice italiana naturalizzata statunitense), ambientata ai tempi dell’Impero Romano e che ha per protagonista il comandante Elio Sparziano. Tanto la precisione stilistica quanto la rotondità dell’intreccio non fanno rimpiangere i precedenti (molto apprezzati) episodi, che presero il via nel 2007 con Il ladro d’acqua.
Nel 306 d. C., i tempi di Diocleziano sono ormai passati e il sistema della tetrarchia, come metodo di governo dello sterminato Impero Romano, mostra tutti i suoi limiti, in assenza ormai del proprio ideatore. Le province sono governate da imperatori che cooperano soltanto a livello formale, ma sono, al contempo, alla perenne ricerca del modo migliore di sopraffarsi l’un l’altro.
In questa cornice, ancora una volta, Pastor ci racconta l’indagine di Sparziano, personaggio storico (o meglio pseudostorico, dato che non risulta confermata con certezza la sua esistenza, anche se lo stesso Umberto Eco lo cita ne “Il nome della rosa”), soldato e scrittore, incaricato dall’imperatore Galerio di procedere al censimento dell’irrequieta provincia di Palestina.
Il cristianesimo getta basi sempre più solide: i vertici politici e militari cercano quindi, sia pur con difficoltà, di alternare la trattativa alla repressione, la durezza al compromesso. Sullo sfondo, già si intravvede la giovane eppure matura figura di Costantino, figlio del morente imperatore Costanzo Cloro e di Elena, destinato a rimanere nei libri di storia.
Il giovane Costantino, destinato a diventare imperatore, seguirà infatti con occhio Elio e la sua attività, che scatena fin da subito una serie di morti violente e misteriose. Ancor più, Costantino (e come lui altre potenti figure, tra cui sua madre Elena) terranno d’occhio Sparziano e quasi lo affiancheranno nella sua ricerca del tesoro dei Maccabei, nascosto da oltre vent’anni, che costituisce la ragione meno confessabile per cui Galerio lo ha spedito in missione.
Colpisce come un protagonista così ben tratteggiato, che pare emergere dalla pagina con il suo carico di forza e di ricordi sappia incasellarsi alla perfezione in un meccanismo narrativo corale. Pastor accompagna il lettore lungo le province di un impero così lontano nel tempo, e che pure ci sembra, pagina dopo pagina, di imparare a conoscere come un luogo dello spazio e del tempo sempre più familiare.
Tanto i dialoghi quanto i passaggi più descrittivi tengono desta l’attenzione, con cambi di ritmo e di tono che restituiscono non soltanto l’indagine, non soltanto il “giallo” della vicenda, ma anche la sua dimensione storica e psicologica, scavando a fondo nella caratterizzazione anche dei personaggi minori.
Il finale ha una nota di malinconia, ma lascia sul palato anche il sapore di un nuovo, possibile inizio. Lo stesso protagonista annota infatti nel suo diario, che fa da contrappunto alla tradizionale narrazione lungo tutto il romanzo: “la sella è la casa del soldato, e perciò il soldato è a casa dovunque vada”.
Sempre in movimento e, forse proprio grazie a questo, sempre a casa. L’unico modo di sentirsi in qualche modo completo, sembra ricordarci Elio, è mettersi ancora una volta in marcia, alla ricerca di qualcosa di più, di un altro brandello di verità e, forse, di giustizia. Così ai lettori non resta che sperare di poterlo accompagnare, ancora una volta, in una nuova cavalcata verso il mistero, alla ricerca di altre avventure.
Ti è piaciuto l'articolo? Iscriviti alla newsletter
Inserisci la tua email e riceverai comodamente tutti i nostri aggiornamenti con le novità, le anticipazioni e molto altro.