La Magna Via, nota anche come Magna Via Francigena, è un antico itinerario di origine normanna tra Palermo ed Agrigento. Abbandonato a se stesso per secoli, solo negli ultimi decenni è in corso un’operazione di valorizzazione del tracciato grazie all’accordo territoriale siglato da alcuni Comuni della zona.
È questo percorso, che taglia in due la Sicilia, caratterizzato per lo più da percorsi sterrati, lo scenario dell’ultimo romanzo di Gaetano Savatteri, giornalista e scrittore, milanese di nascita ma siciliano di origine. Il protagonista è l’ormai familiare Saverio Lamanna, portato con successo anche sullo schermo dall’attore Roberto Gioè nella famosa serie TV Màkari. Lamanna è un giornalista che, dopo una cocente delusione professionale in quel di Roma, ha deciso di abbandonare la capitale e fare ritorno nella sua Macari, in provincia di Trapani, che si affaccia sull’omonimo, splendido golfo. Qui ha ritrovato tempo e libertà per dedicarsi alla scrittura di romanzi, e lo fa senza particolari velleità, per il gusto di farlo, con quel disincanto che rende una voglia mai del tutto sopita una vera passione, e porta ad esercitarla più per compiacere se stesso che per incalzanti esigenze editoriali.
Quando un giorno scopre che suo padre, un po’ per svago un po’ per sfida, intende farsi a piedi, con l’amico Mimì, tutti i quasi duecento chilometri della Via Magna, Saverio Lamanna, vestendo suo malgrado i panni di un novello Bruce Chatwin, si troverà costretto ad accodarsi per non lasciare solo il genitore in là con gli anni in un’impresa che, con un gioco di parole quanto mai calzante, non è proprio una passeggiata. Insieme al fedele e bizzarro compagno di sventure Giuseppe Piccionello, detto Peppe, e all’altrettanto fedele e sensuale fidanzata Suleima, Lamanna inizia un’esperienza che andrà ben al di là di una innocua scorta a un papà non più giovanissimo. Durante la lunga escursione, infatti, non mancheranno misteriose morti che sembrano vedere coinvolto un individuo legato all’atavica criminalità siciliana, e per le quali Saverio darà un contributo determinante alle indagini.
È la prima volta che leggo un romanzo con Saverio Lamanna, e devo dire che raramente mi sono così affezionato a un personaggio fin dalle prime pagine. Ha sempre la battuta pronta, è autoironico, riflessivo e piuttosto insicuro. Come si fa a non amare chi si autodefinisce un timido che si vergogna di essere timido, e fa finta di non esserlo?
Si sa, un viaggio in compagnia, magari di lunga tratta e un po’ improvvisato, è una sorta di metafora della vita e quanto di più efficace per riflettere, per purificarsi, per arrivare a conoscere meglio se stessi e gli altri. Ma la Magna Via non si limita a ciò, fa molto di più.
Quello che affronteranno Lamanna e gli altri sarà un viaggio antropologico nel tempo e nelle bellezze di una Sicilia nascosta, nonché in una parte decisamente importante della Storia italiana. Un meraviglioso e arcaico entroterra fatto di masserie, trazzere, chiarchiari, robbe, promontori e spuntoni rocciosi che personalmente mi hanno ricordato certi indimenticabili paesaggi dei film western di Sergio Leone. Un’isola calpestata da malavita e ingiustizie sociali, ma che ha dato i natali anche a tante anime eroiche e a scrittori come Pirandello, Verga, Bufalino, Sciascia, al cui cospetto c’è solo da rimanere abbagliati.
Ne La Magna Via fa sentire la sua voce il vincolo con la propria terra, qualcosa di innato per ogni essere umano, e in tempi caratterizzati da forti migrazioni quali quelli odierni, che siano anche solo all’interno di confini nazionali, è un legame, a torto o ragione, sempre messo in discussione. Si chiama “restanza”, quel tira e molla che trattiene alle proprie radici e contemporaneamente respinge.
Partire è un po’ morire. Ma anche restare è un po’ morire.
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