Autore britannico, Tom Mead con “La morte è un gioco di prestigio” è alla prima pubblicazione. Il suo romanzo d’esordio è un’opera che lascia il segno, infatti è stato candidato per diversi premi e selezionato tra i migliori gialli dell’anno dal “Guardian” e dal “Publisher’s Weekly”.
“La morte è un gioco di prestigio” affronta uno dei misteri più intriganti per il genere: il delitto in una camera chiusa e altre complicazioni. Nel romanzo si indaga sull’omicidio impossibile di uno psichiatra e commesso quasi nel medesimo momento c’è pure un furto altrettanto incredibile, ancora una volta in una stanza inaccessibile, ai danni di un produttore teatrale. L’ispettore Flint è chiamato in via ufficiale a indagare sul delitto, mentre il prestigiatore Joseph Spector è stato incaricato di risolvere con discrezione e senza clamore il furto. Flint conosce Spector e trovandosi ben presto in un vicolo cieco, chiede l’aiuto dell’amico, perché chi meglio di un mago può sbrogliare una matassa degna di un escapologo?
La sfida è grande e viene raccolta da Spector e pure dal lettore, che si sente coinvolto e incuriosito, desideroso di scoprire la verità.
Nel suo libro Tom Mead mostra una scrittura scorrevole e ricca di dettagli là dove servono, nella descrizione di luoghi e scene del crimine, per spiegare e suggestionare. La sua penna è perfetta per instillare dubbi, creare sensazione ed emozione, stupire e continuare a mantenere desta l’attenzione di chi ha il libro tra le mani e non se ne vuole staccare. All’interno dei capitoli, si trovano i nomi di alcuni illustri scrittori del giallo classico. C’è Agatha Christie e un rimando a quei famosi undici giorni nei quali l’autrice è scomparsa per poi tornare senza fornire spiegazioni; c’è John Dickson Carr, non poteva mancare, l’indiscusso padre della camera chiusa; c’è Chesterton, altro autore che di bizzarrie ne ha create molte. Scrittori che nel tempo della storia, il 1936, sono vivi (tranne Chesterton che muore proprio in quell’anno), e nel libro sono citati come conoscenti di qualcuno o proprio per la loro professione e creatività che mostra connessioni con i casi sui quali si indaga. Chiari omaggi ai grandi del giallo, inseriti in un romanzo che in parte ne riporta elementi stilistici, distaccandosi poi per mostrare la sua unicità, per una visione creativa rispettosa e nuova al contempo.
Di Carr troviamo lo stupore di compiere azioni criminali impossibili, della Christie l’ambientazione dove tutti i personaggi appaiono sospetti, reticenti, con moventi nascosti che potrebbero essere innocui oppure no, di Chesterton c’è un protagonista stravagante, unico, che risalta immediatamente per il suo essere fuori dal coro e risulta per questo attraente.
La psicologia dei personaggi si svela pian piano spiegando così azioni ed espressioni. È una parte importante della storia perché conosciamo tre pazienti dello psichiatra morto. Hanno problemi diversi e addentrarsi nella loro mente distorta è affascinante quanto la mera storia gialla. Briosa e dinamica, ricca di sorprese e aperture nell’indagine su elementi non scontati, la trama non ha punti di cedimento, rinnovando così l’invito alla lettura. Bello è poi vedere alcuni trucchi magici raccontati, o almeno, Spector ce ne offre informazioni, costruendo una connessione tra delitti che sono impossibili finché non vengono spiegati e trucchi che paiono vere magie fino a quando non sono svelati.
Prima della rivelazione finale, come accade nei libri di Ellery Queen, ecco l’invito al lettore a declamare la verità, mettendo in chiaro che tutte le informazioni necessarie alla soluzione sono state fornite. Un patto di lealtà tra le parti, chi scrive e il pubblico, che è tipico dei maestri del giallo.
“La morte è un gioco di prestigio” è davvero un bel romanzo. Non vedo l’ora di scoprire se Tom Mead saprà confermare in un nuovo libro la bellezza di questo.
Recensione di Tatiana Vanini.
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