Chi di voi, appassionati di polizieschi e thriller, non ha mai sentito parlare, nemmeno una volta, fosse anche per puro caso, della famosissima serie televisiva La signora in giallo, andata in onda per oltre un decennio e interpretata dall’inossidabile signora Fletcher, al secolo la celebre attrice inglese Angela Lansbury? Sono ammesse alzate di mano esclusivamente da parte di chi è in possesso di un’età anagrafica che lo giustifichi.
A parte le facezie, La signora in giallo è stata, a detta di tutti, il capostipite del cosiddetto cosy crime, ovvero del giallo in cui il protagonista si ritrova a far luce su un mistero accidentalmente, perché catapultatovi per una casuale sequenza di circostanze; a seguito di ciò, prendendoci gusto, il risolvere enigmi gli diventa una specie di marchio di fabbrica. Sotto certi aspetti si tratta delle classiche storie in cui le indagini seguono un percorso molto intuitivo e si passa al setaccio i dettagli più insignificanti, nel perfetto solco della narrativa di genere anglosassone (Agatha Christie insegna); avventure, e qui sta la novità, caratterizzate da una sottile vena humor e condotte in maniera tanto concreta quanto un po’ improvvisata.
Perché tutto questo preambolo, vi starete chiedendo. Ebbene, il cosy crime è il genere letterario della scrittrice Sophie, uno dei principali personaggi del romanzo di cui vi parlo oggi, La notte in cui le scomparve, a firma Lisa Jewell, autrice britannica, e tradotto per l’edizione italiana di Neri Pozza Editore da Annamaria Biavasco e Valentina Guani.
Una peculiarità della narrazione che reputo assolutamente non scontata, che ho trovato molto interessante e, a mio giudizio, sapientemente elaborata, è l’artificio temporale utilizzato dalla Jewell.
Il fatto attorno al quale ruota l’intera trama è l’incomprensibile scomparsa di una coppia di diciannovenni, Zach e Talullah, genitori in erba del piccolo Noah. Attraverso tre separate linee temporali non molto distanti l’una dall’altra, si intraprende un viaggio a ritroso e avanti nel tempo in due differenti itinerari del medesimo episodio: da una parte il dipanarsi degli eventi che hanno preceduto la tragedia, dall’altra la madre di Talullah, Kim Knox, che nelle ore immediatamente successive, disperata per la scomparsa della figlia, avvia una personale ricerca. Infine, non meno importante, a distanza di poco più di un anno, c’è appunto la scrittrice di cosy crime Sophie, trasferitasi da poco nella località in cui è avvenuto il dramma. Proprio come i protagonisti dei suoi romanzi, attratta dalla misteriosa sparizione dei due giovani, tutt’ora irrisolta e di cui viene a conoscenza, si improvvisa detective in una sorta di “deformazione professionale”, e intraprende un percorso investigativo del tutto alternativo e a tratti ossessivo, che la porta a scoprire alcuni dettagli sfuggiti persino alle forze dell’ordine.
La Jewell è bravissima a mantenere alta la tensione e incollati alle pagine, e il finale spiazzante non delude le attese.
Visti gli odierni fatti di cronaca che si susseguono purtroppo a cadenza quasi giornaliera, non si può fare a meno di evidenziare una tematica nient’affatto marginale che emerge dalla storia e che ne è un filo conduttore, ovvero l’incertezza e l’inquietudine degli adolescenti di oggi. Giovani e giovanissimi pervasi da un senso di frustrazione e insoddisfazione talvolta lancinante, alla spasmodica ricerca di reciproca approvazione, a caccia di nuove e più appaganti esperienze all’insegna del brivido e di un’effimera gratificazione senza soluzione di continuità; e alla minima difficoltà, davanti al primo ostacolo sulla propria strada, scatta un livore impulsivo.
E i padri e le madri che ruolo giocano in tutto ciò?
La risposta è emblematicamente riassunta in una frase del romanzo che non necessita di ulteriori chiose o annotazioni: sono una famiglia di iceberg che navigano alla deriva senza mai toccarsi.
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