“Gli agenti di pattuglia avevano lasciato la porta aperta, così, per cambiare un po’ l’aria. Secondo loro, le stavano facendo un favore. E invece era una violazione della procedura sulla scena del crimine.” (incipit)
Il detective Renée Ballard ha risposto ad una chiamata in cima all’Hollywood Boulevard ma, inerpicandosi sulla collina con l’auto di servizio per raggiungere i colleghi sul posto, è già rassegnata a dover lasciare il caso alla Omicidi del West Bureau o alla Divisione Rapine e Omicidi in centro, se la vittima fosse stata molto in vista. Da tre anni fa il turno di notte, “l’ultimo spettacolo” come viene chiamato in gergo, e quel lavoro solitario comincia a piacerle, tanto più che tutti i suoi problemi in passato erano venuti da colleghi uomini, ma le dispiace dover passare i casi ad altri. Ballard non si fida più di nessuno (e nessuno più di lei) da quando ha denunciato il suo tenente per un’aggressione sessuale.
Guardinga e concentrata, mentre negli uffici deserti del comando è intenta a redigere il rapporto sulla chiamata di qualche ora prima, i suoi sensi sono catturati dal rumore dell’apertura degli schedari metallici e mettere mani alla pistola è d’obbligo.
“Era un tizio con i capelli grigi e i baffi, e sembrava aprire cassetti a caso. Ballard seppe istintivamente che non era uno dei loro.” (pag. 17)
Ha già sentito parlare del detective Harry Bosch, quasi una leggenda per il dipartimento, ma non si capacita ancora di come sia potuto entrare indisturbato con la chiave passe-partout in dotazione a tutti i poliziotti in servizio, ora che è pensionato, e perché sia interessato ancora ad un vecchio caso.
Quel primo incontro-scontro, segnerà l’inizio di una collaborazione professionale molto particolare, giacché Ballard si spingerà oltre molto spesso per assecondare Bosch nel suo desiderio di rendere giustizia a chi non ha più voce.
Bosch, dal canto suo, non ha mai dimenticato il caso di Daisy Clayton, una ragazza brutalmente uccisa e gettata in un cassonetto nel 2009, arrivando addirittura a giurare alla madre di lei, conosciuta durante un’indagine sotto copertura, che avrebbe assicurato alla giustizia il colpevole.
Il motivo che aveva spinto Bosch a frugare negli schedari era setacciare tutte le schedine dei “colloqui sul campo” che i detective avevano riempito nell’anno in cui Daisy era stata rinvenuta cadavere per cercare il classico ago nel pagliaio.
Ballard acconsentirà ad aiutarlo nei ritagli di tempo che “l’ultimo spettacolo” le lascerà, convinta dall’esempio e dalla forte etica di quell’ex collega della stessa generazione di suo padre, sparito tra le onde che amava sfidare per dimenticare il suo bagaglio di dolore di reduce del Vietnam.
La strana coppia
Vivido e scorrevole come non mai, Michael Connelly tratteggia l’inedita coppia di detective Harry Bosch e Renée Ballard nella prima rocambolesca investigazione congiunta. Due personalità forti, solitarie, tenaci, acute e leali, dai tratti comuni molto spiccati quindi, ma mai sovrapponibili.
Potrebbe venire il dubbio che Ballard sia un clone in gonnella di Bosch, dubbio però fugato tecnicamente dallo stesso Connelly con l’alternanza di blocchi di capitoli intitolati ora all’uno ora all’altra, in una perfetta par condicio, tranne l’Epilogo “Ballard e Bosch” che sancisce il patto di entrambi a costituire una coppia investigativa anche in futuro.
“Va bene, Harry. Lavoriamo insieme. Ma a una condizione: possiamo piegare le regole, non infrangerle.” (pag. 379)
E’ significativo poi che il thriller apra con Ballard, in un ideale continuum con il romanzo d’esordio del personaggio L’ultimo giro della notte, come è parimenti naturale che Bosch stia onorando una promessa fatta alla madre di una ragazza brutalmente uccisa nel precedente “Doppia verità”.
Con un doppio nodo inglese, quindi, Connelly unisce le due “corde singole”, creando un intreccio che le tiene avvinte in quanto complementari.
Lei è frustrata perché, relegata all’ultimo spettacolo, inizia tante indagini ma spesso deve lasciare che quelli del turno di giorno tirino le conclusioni. Dal punto di vista affettivo si prende dalla vita quello che può, compressa dal dolore del suicidio del padre, da turni lavorativi massacranti e dall’isolamento forzato nell’ambiente lavorativo.
“Spesso capitava che detective che non aveva mai incontrato sapessero esattamente chi era. Ballard ci si era ormai abituata. Con le donne a volte si creava dell’imbarazzo: alcune l’ammiravano perché, nonostante tutto, aveva deciso di rimanere all’interno del dipartimento; altre la detestavano ritenendo che il suo comportamento avesse reso la vita di tutte loro ancor più difficile.” (pag. 43)
Lui invece è uno che non lascia mai niente a metà, tanto da volersi occupare di casi mai risolti nel suo piccolo ufficio arrangiato nelle ex carcere di San Fernando, ora deposito di scartoffie del dipartimento. L’amore per la figlia è immenso anche se ora Maddie studia lontano e le occasioni di stare insieme molto diradate. A volte Harry si sente talmente solo che invidia a Renée il fatto che possegga un cane che le faccia compagnia nei rari momenti di riposo.
Ma perché Bosch-il-solitario chiede a Ballard di lavorare assieme?
“Hai qualcosa che forse ha solo una persona su cento. Hai delle cicatrici sul viso, ma nessuno può vederle. Hai una fierezza che ti spinge ad andare sempre avanti.” (pag. 379)
Quel riconoscimento di sofferenze diverse ma simili, spingerà Ballard a fidarsi per la prima volta di un uomo ed è superfluo dire che insieme assicureranno alla giustizia l’assassino di Daisy Clayton.
Natura, cronaca e toponomastica
Spesso nelle mie recensioni dei romanzi di Connelly ho trascurato un elemento che l’Autore usa invero molto spesso per attirare l’attenzione dei protagonisti con le sue magnifiche esibizioni delle quali hanno tanto bisogno per rimanere umani: la Natura.
Più morbida se vista con gli occhi di una donna (penso all’oceano per Ballard e alle sue uscite con la tavola, come pure un bellissimo tramonto sul Sunset Canyon che la coglie di sorpresa mentre ha ancora il puzzo di cadavere sui vestiti), più rocciosa o urbana agli occhi di Harry (canyon, crinali, dighe, e la fila dei fari rossi delle auto sulla freeway che costituiscono il suo massimo relax quando si siede sulla veranda di casa che si sporge verso il precipizio del Cahuenga Pass a sorseggiare birra).
Un’ultima annotazione riguarda il fatto che i romanzi di Connelly sono sempre fortemente contestualizzati sia storicamente che geograficamente, tradendo forse l’anima indomita del reporter.
L’attenzione verso le dinamiche delle gang urbane, il rigurgito di fanatismi religiosi di movimenti di pseudo redenzione, l’esplicito richiamo al movimento MeToo e agli scandali sessuali che hanno stravolto l’ambiente del cinema lo scorso anno, nonché le precise indicazioni toponomastiche di strade e luoghi, rendono La notte più lunga databile ma al tempo stesso perfettamente fruibile negli anni a venire, come d’altronde testimonia la strepitosa e ormai ultra ventennale carriera di Connelly.
Per quanto riguarda, poi, la straordinaria prolificità dell’Autore, segnaliamo che proprio in questi giorni negli Stati Uniti è uscito The night fire, la seconda investigazione congiunta della B&B couple.
Note della Rossa
La filosofia investigativa del detective Bosch è cristallizzata da Connelly in un’espressione ben precisa: “contano tutti o non conta nessuno” (pag. 55) ad indicare che per Harry ogni vittima ha diritto ad un’investigazione che lo impegni con tutte le forze. Ebbene, quest’anno lo scrittore ha lanciato una campagna di raccolta fondi a beneficio di un rifugio per adolescenti in difficoltà a Los Angeles che risponde all’hashtag #everybodycountsornobodycounts. Anche per queste doti umane, si conferma il mio preferito.
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