Scrivere una recensione per consigliare La ragazza di neve sarebbe impossibile, secondo la disposizione di non andare oltre la sinossi che Javier Castillo impartisce ai librai nei Ringraziamenti finali. Ma io non sono una libraia…
Grace alzò lo sguardo e per qualche secondo ignorò la magnifica parata del Ringraziamento che le sfilava davanti per osservare sua figlia, a cavalcioni sulle spalle del padre, raggiante di felicità. Notò che le sue gambe ciondolavano vivaci mentre le mani del marito reggevano le cosce della piccola con una determinazione che più tardi avrebbe ritenuto insufficiente. (incipit)
New York, parata del Ringraziamento del 1998. La piccola Kiera Templeton si gode la festa assieme ai genitori, Aaron e Grace. La bambina adocchia un palloncino bianco e chiede ai genitori di prenderglielo. Loro per accontentarla, si dividono: la mamma, incinta del fratellino, si siede comoda nell’attesa che Kiera e il papà traversino la strada per acquistare l’ambito premio. Un ondeggiamento della folla, uno spintone ricevuto, una caduta sciocca di Aaron e le due mani si staccano. I genitori, presi dal panico, allertano subito la polizia che, pur nella calca, cerca di mettere in atto le normali procedure di ricerca di minori.
Il ritrovamento dei vestiti della bambina assieme ad una ciocca di capelli scuri, getteranno i genitori nello sconforto più profondo che durerà cinque lunghi anni fino a che, nel giorno della ricorrenza della sua scomparsa, sarà recapitata loro una cassetta vhs dove si scorge una bambina che gioca serena nella sua stanzetta. Sarà davvero Kiera quella figura che in pochi istanti sfuma nella neve della registrazione?
La storia della scomparsa della bambina si alterna con quella della giornalista Miren Triggs, che all’epoca dei fatti era soltanto una studentessa di giornalismo, ma che non smetterà mai di cercarla, con la stessa tenacia con cui non smetterà mai di mettere a tacere i propri demoni interiori.
“Voglio indagare sulla scomparsa di Kiera Templeton”.
“La bambina? Sei sicura? In questi casi è molto difficile trovare qualcosa. Non avrai nulla da presentare al professor Schmoer”.
“E allora? Almeno ci sarà qualcuno che indagherà sul caso e non lo farà per soldi. Quella famiglia merita che qualcuno si interessi davvero alla loro figlia”. (pag. 21)
La scomparsa di un bambino è una delle paure più grandi di ogni genitore, dunque un argomento da sempre gettonatissimo dagli scrittori thriller, e Javier Castillo, da papà di due bimbi piccoli, ammette subito che questo romanzo trae origine proprio dalla voglia di esorcizzare quel terrore. Mentre leggevo mi sono chiesta il perché questo sentimento non mi stesse attanagliando. Eppure, quando mia figlia era piccola, vivevo ogni volta in allerta in zone affollate, e una volta ho dato addirittura dato di matto perché me l’ero persa nell’Acquario di Barcellona! Lei aveva cinque anni e si era infilata in un sottomarino giocattolo, sgattaiolando da un oblò a poppa senza che io, madre snaturata e degenere fino al midollo, me ne accorgessi! Saranno stati due, tre minuti al massimo di panico completo durante i quali mi sovvenne la trama di un thriller che avevo letto in quel periodo, in cui un bambino veniva rapito e tenuto nascosto in un baule da un pazzo pedofilo. E allora perché la storia di Kiera non mi ha travolta?
Sono stata distratta e infastidita dalla struttura del romanzo, che più che avvincermi mi ha innervosita.
Parliamoci francamente: cosa non daremmo noi scrittori per elaborare il romanzo più originale e intrigante dell’intero panorama mondiale? Castillo ha indubbiamente alzato l’asticella in maniera significativa, ma forse non ha considerato una questione: chi legge qualche capitolo per volta si può disorientare (e io l’ho letto in due giorni).
La continua sovrapposizione dei piani narrativi e dei personaggi, infatti, rende difficile seguire la storia, con continui salti temporali in avanti rispetto al 26 novembre 1998 (a proposito, non fatevi fuorviare ulteriormente dal capitolo 13 a pag. 73 perché il giorno è sbagliato. Non 16 novembre ma 26 novembre) e continui cambi di protagonisti, tutti narrati in terza persona. Solo la giornalista Miren Triggs ha il diritto di narrare in prima persona la sua storia perché (questo non è un segreto) è lei la vera protagonista. Inoltre, un lettore smaliziato può arrivare ad alcune conclusioni importanti già molto prima che la ruota della fortuna gli riporti sott’occhio il capitolo con il proseguo di quel segmento della storia. Questo avanzare fast forward lo trovo non solo oltremodo disagevole per la lettura ma anche non adatto all’evocazione di atmosfere cupe e tese che necessiterebbero di un’azione lenta, a tratti estenuante, con speciale riguardo alle pagine riguardanti la coppia genitoriale
Ecco, ora diventa davvero difficile spiegarvi le mie perplessità senza anticipare niente del finale, ma vi esorto a leggerlo tutto d’un fiato come ho fatto io e smentirmi sul fatto che il finale è tutto sommato “poco thriller”, perché Castillo non ha voluto/potuto/saputo, non saprei, guardare fino in fondo al pozzo della sua paura.
Quello che invece mi è piaciuto moltissimo è la descrizione dell’ambiente giornalistico nel momento del passaggio da giornale cartaceo a giornale digitale, il modo completamente diverso di fare inchieste sul campo, l’inizio di un lavoro forse meno faticoso ma indubbiamente più incerto.
Miren Triggs negli anni diventerà una giornalista affermata e dunque l’excursus della sua carriera fa da specchio alle trasformazioni avvenute in quel settore, all’alba del nuovo Millennio.
“Dall’avvento di internet avevo letto diversi articoli sul fatto che ormai la gente leggeva le notizie su Yahoo e altri media digitali spuntati fuori dal nulla, e i giornali tradizionali stavano cercando in tutti i modi di adattarsi al nuovo mondo. Alcuni la vedevano come un’opportunità, altri come una nuova era in cui sarebbe rimasto sempre meno spazio per i lunghi reportage dei giornali tradizionali. La gente era sempre più avida di notizie istantanee, di eventi a cui prestare attenzione per qualche minuto e poi dimenticarsene, e questo non richiedeva intere squadre investigative che si dedicassero a un unico articolo lungo diverse pagine. Inoltre, dopo la pubblicazione di ogni articolo, arrivavano le denunce e i giornali non avevano più le risorse per pagare i legali che li difendessero dalle aziende su cui scrivevano”. (pag. 141)
Ultima annotazione cinematografica. Javier Castillo ha già venduto i diritti del romanzo a Netflix che produrrà una serie ambientata non più a New York ma a Malaga, e sicuramente l’amplissimo arco di anni relativo alla vicenda di Kiera giustifica ampiamente questa scelta. Ho solo un dubbio sulla location: non vorrei succedesse come nella serie Petra, ambientata in una livida Genova notturna, che stravolge completamente il rapporto tra Petra Delicado e la sua Barcellona, assolata ed estranea testimone delle vicende che in lei si compiono.
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Articolo protocollato da Monica Bartolini
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