Si può essere ciechi pur vedendo?
Per Clotilde Podestà ne La regina dei colori, ultimo romanzo della ligure Valeria Corciolani, la risposta è sì. Per Clotilde i colori sono da sempre la propria ragione di esistere, un vero e proprio stile di vita. Ha basato tutto, ogni singolo istante, su scelte cromatiche corrette e inconfutabili. Lei considera inaccettabile la noncuranza cromatica, sostiene che i colori sono come note musicali in una melodia o numeri all’interno di una formula matematica. La particolare e ricercata armonia visiva, frutto del preciso abbinamento di due o più tonalità, è quella e solo quella deve essere. Non si sgarra. Se non si fosse ancora capito, Clotilde Podestà possiede una dote innata per l’accostamento cromatico, e ciò l’ha resa regina incontrastata dell’interior design a livello internazionale.
Quando però a sessantuno anni viene affetta dalla acromatopsia, una patologia che consiste nell’incapacità totale di percepire qualsiasi colore (ebbene sì), permettendo di distinguere una moltitudine di gradazioni e sfumature solo di grigio, il mondo, com’è comprensibile, le crolla rovinosamente addosso. È come se per Clotilde si fosse invertito il processo con il quale la televisione è passata dal bianco e nero al technicolor. Adesso, davanti a lei, scorre un perenne film proiettato in chiaroscuro.
E così, suo malgrado, si vedrà costretta a far ritorno a casa, nella piccola e bucolica realtà della provincia italiana, in questo caso ligure, sotto la lente d’ingrandimento di familiari e conoscenti che non serbano un’eccelsa considerazione della sua persona.
Clotilde, tuttavia, si rivelerà una sorta di uragano per gli equilibri presenti, e disseppellirà sopite questioni irrisolte al punto da scombussolare la vita delle persone che la circondano: le due sorelle, Aurora e Mafalda, le figlie Margherita e Vittoria, la bambina Serena, un saggio giapponese. E come spesso accade, l’evoluzione riguarderà anche lei. Ogni interprete imparerà qualcosa di inaspettato di sé e degli altri, qualcosa sulle responsabilità che ciascuno è convinto di avere all’interno di un nucleo familiare e sul ruolo, non meno importante, che realmente riveste. In un sorprendente succedersi di vicissitudini più o meno casalinghe, i personaggi comprenderanno che oltre al colore, inteso come percezione visiva di un determinato pigmento sotto l’effetto della luce naturale, esistono le non meno profonde, infinite sfaccettature cromatiche dell’anima.
“Tutte le famiglie felici sono uguali, ogni famiglia infelice lo è a modo suo”, diceva il grande Dostoevskij, e il vero protagonista è appunto il focolare domestico, caratterizzato dai tipici sorrisi a denti stretti che celano rancori e acredini, dagli attriti e dalle tensioni che covano come brace ardente, espressioni di un perpetuo tira e molla, di un interminabile e intermittente accogliere e respingere.
Valeria Corciolani, oltre ad essere un’affermata scrittrice è un’apprezzata illustratrice che, tra le altre cose, tiene incontri e corsi nelle scuole per avvicinare i ragazzi (e non solo) alla scrittura e alla creatività in generale, a quell’elementare gesto di riempire un foglio bianco, un’azione ordinaria nella sua semplicità d’esecuzione ma così straordinaria per la magia e la potenza in grado di sprigionare. La scrittura, il disegno, la pittura e la cinematografia hanno più aspetti in comune di quanto pensiamo e che si possono sintetizzare nella passione di raccontare una storia, di veicolare un messaggio sotto forma di parole, di rappresentazioni grafiche o di fotogrammi.
Ne La regina dei colori si tocca con mano questa alleanza artistica grazie a una narrazione “ottica”, a tratti ironica, egregiamente costruita, dettagliata con acume nelle descrizioni dei panorami interiori e visivi. Una delle tante piccole invenzioni dell’autrice che contribuisce a tale sorta di sinestesia è che ciascun capitolo inizia con la parola conclusiva del precedente.
Insomma, si ha quasi la suggestione di leggere un fumetto. Ovviamente a colori.
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