La scomparsa del manoscritto tibetano - Bernard Grandjean

Cari avventori del Thriller Café, oggi vi parlo di un nuovo autore: Bernard Grandjean. Non che lo scrittore francese non abbia mai pubblicato nulla (ha scritto invece numerosi romanzi), ma, di recente, la piccola casa editrice Obarrao ha deciso di tradurre (grazie ad Augusta Scacchi) la sua serie dei “delitti in Himalaya” e il primo capitolo, di cui mi accingo a parlarvi, si intitola “La scomparsa del manoscritto tibetano”. La collana nella quale l’editore colloca questo romanzo è “In Asia”, che ha l’obiettivo di costruire ponti e legami tra la cultura orientale e occidentale (che è in realtà l’obiettivo della casa editrice).

A Strasburgo, la studentessa di lingue tibetane Betty Bloch si accorge che un raro manoscritto è stato rubato dalla biblioteca universitaria. Sospetta immediatamente di un ragazzo che aveva notato già in precedenza e decide così di seguirlo. Peccato che in breve tempo Betty scopra che il ragazzo è diretto in Nepal e, in virtù del suo spirito di avventura, decide di prenotare immediatamente un volo e di seguirlo fino laggiù. Scoprirà che si tratta di un monaco tibetano, Tenzim Sonam, che ha sottratto il manoscritto per salvare il tempio nel quale vive. Ma, come nei migliori gialli, non tutto è come appare e il manoscritto subirà ancora numerosi passaggi di mano prima di essere recuperato.

Grandjean ci offre un giallo classico, con la caratteristica di essere ambientato alle pendici dell’Himalaya. Ci si muove infatti nella regione montagnosa al confine tra India, Nepal e Cina e dico subito che un grande pregio di questo autore è descrivere molto bene il paesaggio naturale e sociale che caratterizza quelle regioni. Lo fa con un pizzico di ironia e disincanto, forse per evitare la connotazione agiografica che ha talvolta chi parla di quelle regioni. Grandjean, che peraltro è un grande conoscitore della zona, vuole mettere in evidenza luci e ombre dell’oriente, smitizzando molti luoghi comuni e svuotando di snobismo ogni riferimento culturale alle tradizioni orientali.

La struttura narrativa è semplice, ma riuscita, con capitoli della giusta lunghezza e un intreccio avvincente che porta il lettore con entusiasmo alle pagine finali. Intendiamoci, l’autore non ha la pretesa di scrivere un’opera epocale, ma piuttosto di realizzare qualcosa di divertente e leggero, che però ci lasci anche un po’ il sapore di qualche pensiero serio. I due personaggi chiave, Betty e Tenzin, lei pienamente inserita nella comunità ebraica di Strasburgo, seriamente impegnata, ma anche un po’ giovane scanzonata e lui in fondo allo stesso modo, monaco con il gusto del divertimento, sono molto ben riusciti.

Ci sono temi seri che passano però anche nelle pagine di Grandjean. Intanto io ho notato un certo qual tono dissacrante nei confronti delle religioni. Tutte. Dai pesanti riti della comunità ebraica strasburghese, alle meditazioni dei monaci tibetani. L’autore francese ci vuole dire forse che, a volte, la ritualità esasperata rischia di svuotare il significato originario del misticismo religioso. E poi, su tutto, una critica alle speculazioni immobiliari selvagge, che non sono affatto una prerogativa occidentale, ma che invece hanno basi profonde anche in Oriente dove anzi, governi meno stabili e più propensi alla corruzione, favoriscono indirettamente.

C’è poi, come già dicevo prima, un gusto molto ironico e beffardo nel presentarci la faccia meno “da cartolina” dell’Oriente. Città sgangherate che fanno da contraltare agli stupendi paesaggi naturali, sordidi alberghi scassati dove regna il malaffare e personaggi ambigui che vivono di espedienti. Poco a che vedere insomma con le patinate descrizioni che a volte ci propina chi sembrerebbe cercare l’Oriente, ma in realtà vuole solo abbandonare una vuota noia (nel senso moraviano del termine) che affligge la propria vita in Occidente. Un Himalaya normale quindi e una lettura piacevole e consigliabile.

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La scomparsa del manoscritto tibetano. Indagini nella regione dell'Himalaya
1 Recensioni

Articolo protocollato da Giuliano Muzio

Sono un fisico nato nel 1968 che lavora in un centro di ricerca. Fin da piccolo lettore compulsivo di tante cose, con una passione particolare per il giallo, il noir e il poliziesco, che vedo anche al cinema e in tv in serie e film. Quando non lavoro e non leggo mi piace giocare a scacchi e fare attività sportiva. Quando l'età me lo permetteva giocavo a pallanuoto, ora nuoto e cammino in montagna. Vizio più difficile da estirpare: la buona cucina e il buon vino. Sogno nel cassetto un po' egoista: trasmettere ai figli le mie passioni.

Giuliano Muzio ha scritto 140 articoli:

Libri della serie "Indagini nella regione dell’Himalaya"

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