La spia che venne dal freddo è il terzo romanzo della carriera letteraria di John Le Carré: compare nel 1963 con il titolo originale di The spy who came in from the cold e gli assicura grande notorietà, ottimi riscontri da parte di pubblico e critica e premi dalle maggiori associazioni del genere letterario.
Si tratta di un titolo estremamente importante sia per John Le Carré che per la storia dei romanzi di spionaggio per un vasto insieme di motivi e, insieme alla “trilogia di Smiley” rappresenta per molti estimatori dell’autore inglese la sua vetta più alta.
È il primo romanzo di grande successo per Le Carré, il primo a essere trasposto su grande schermo (nel 1965, con sceneggiatura di Paul Dehn e Guy Trosper, regia di Martin Ritt e un grande Richard Burton a vestire gli scomodi panni di Alec Leamas), il più importante esempio di romanzo (all’epoca) di spionaggio scevro sia da una visione esasperatamente anticomunista che da una narrazione che vuole la spia come eroe continuamente in azione, sciupafemmine e molto glamour.
Essere spia, per Le Carré, è più che altro questione di pazienza e noia.
Rappresenta inoltre il sequel di Chiamata per il morto (1961, era già presente il personaggio di Mundt), si aggiudica il Gold Dagger Award nel 1963 e due anni dopo l’Edgar Award, diventando così il primo romanzo a vincere entrambi i premi.
Un altro Edgar Award andò al film e nel 2005, infine, La spia che venne dal freddo meritò il Dagger of Daggers, un riconoscimento unico alla migliore opera fra le cinquanta che nel frattempo avevano vinto il Gold Dagger.
È anche un romanzo dove compare, seppur in un ruolo minore, il personaggio più noto fra quelli creati da John Le Carré, quello Smiley che conosceremo a fondo ne La talpa.
La spia che venne dal freddo fu pubblicato un anno prima della fuoriuscita di John Le Carré (che è uno pseudonimo di David John Moore Cornwell, impiegato in quanto gli agenti non potevano pubblicare a proprio nome) dall’M16, il Secret Intelligence Service britannico, fuoriuscita causata dalla defezione di Kim Philby, agente doppiogiochista che passò al KGB rivelando una lunga lista di agenti e causandone la morte di molti.
L’opera esce più di un anno dopo l’arresto e il processo di Heinz Paul Johann Felfe, un agente che a più riprese lavorò per i servizi segreti nazisti, per quelli inglesi, per il KGB e per la Germania dell’Est in quello che è probabilmente il più alto e notevole esempio di doppiogiochismo nella storia dello spionaggio.
Esistono varie edizioni italiane de La spia che venne dal freddo, fra le quali ricordiamo almeno Longanesi (1964), Rizzoli (1980) e Mondadori (1985): molte anche le traduzioni, vanno citati Adriana Pellegrini e Attilio Veraldi.
Alec Leamas è il protagonista della vicenda, che si svolge principalmente fra Berlino e Londra. Inizialmente è una spia inglese che lavora in Germania e lo incontriamo nel momento più difficile della sua carriera: i suoi uomini migliori sono stati tutti uccisi dall’efficace azione di controspionaggio di Mundt, ex agente nazista ora a capo del servizio segreto della Germania Est e, dopo aver assistito all’uccisione dell’ennesimo agente, torna a Londra.
Avevamo già incontrato Mundt due anni prima, in Chiamata per il morto: operava a Londra come agente dell’Abteilung sotto copertura diplomatica, George Smiley and Peter Guillam lo avevano scoperto ma non erano riusciti ad arrestarlo, da lì la fuga nella Germania dell’Est e la scalata al potere nel servizio di controspionaggio.
Lì Control gli propone un’ultima missione “in the cold”: Leamas dovrà fingere di essere ormai al capolinea, deluso da un sistema che dopo tanti anni di servizio lo ha in sostanza escluso affidandogli una posizione di poco conto. Leamas interpreta molto bene la parte, fingendosi alcolizzato e accettando un impiego di basso livello in una biblioteca. Lì conosce Liz, una comunista iscritta al partito e i due si innamorano.
Leamas continua a fingere fino ad aggredire una persona, sotto effetto dell’alcol: finirà in prigione per tre mesi e quando uscirà verrà contattato dal controspionaggio DDR. Dovendo partire, Leamas è costretto a chiedere a Liz di non cercarlo, mentre ottiene da Control la promessa di lasciare in pace Liz.
Leamas arriverà nella Germania Est dopo essere passato dall’Olanda: lì entrerà in contatto con Fiedler, agente ebreo del controspionaggio DDR, un uomo fortemente idealista e convinto, che è ormai giunto anche lui ad alti livelli di comando. Leamas, fornendo varie informazioni a Fiedler, lo porterà a pensare che Mundt stia facendo il doppio gioco a favore dei servizi inglesi, sfruttando anche l’antisemitismo dell’ex nazista e le origini di Fiedler.
Ma proprio quando il gioco sembra compiuto, le pedine cambieranno e comincerà una partita totalmente diversa.
Dopo una decade nel Secret Intelligence Service il disgusto politico e la confusione personale di John Le Carré esplodono ne La spia che venne dal freddo, titola un articolo del Guardian, ed è difficile non essere d’accordo.
La spia è una persona in una posizione tanto privilegiata quanto compromettente e alienante: ha il vantaggio di poter osservare due sistemi diversi, solitamente due ideologie diverse, se non di più, nel corso della sua vita, ma questa analisi raramente porterà un agente alle conclusioni cui è arrivato Vasilij Grossman in Vita e destino.
Vita e destino, appunto, si scontrano e sono inconciliabili: alla vita del singolo si contrappone il destino immutabile generato dall’ideologia. L’ideologia compie un giro di vite super-razionale che esclude l’uomo dalla sua equazione ed è disposta a qualsiasi cosa pur di far vincere quello che pensa sia il Bianco, il Bene contro un supposto Nero, il Male.
Compreso, appunto, il sacrificio indifferente dell’uomo, anche dei suoi uomini considerati migliori.
Le ideologie sono sostanzialmente simili fra loro, lo abbiamo visto con nazismo e comunismo, e adottano uguali metodi per arrivare ai propri fini: metodi violenti perché non riescono a convincere con i semplici ragionamenti. E Control è disposto a usare gli stessi metodi del “nemico” pur di ottenere una vittoria che ha un sapore amarissimo.
L’ideologia esclude l’amore, non può ammetterne l’esistenza, così come non può ammettere la bontà, “irrazionale”, del singolo.
Leamas e Liz si amano, una spia non può concedersi questo lusso.
Le spie vivono e conoscono dall’interno queste evidenze, probabilmente meglio di chiunque altro, ma l’esito della loro esistenza porta solitamente a disillusione e confusione, a vedere in scala di grigi e non più in bianco e nero.
Scala di grigi che può essere, anzi è una evoluzione rispetto al separare con sicurezza il mondo e polarizzarlo fra bianco e nero, ma che è ancora ben distante dalla ricchezza dell’intero spettro, dalla profondità dell’arcobaleno.
Ne La spia che venne dal freddo ci sono chiaramente alcuni vincitori e alcune vittime, anche se non posso rivelarveli per evitare di spoilerare, così come cercherò di contenere ogni discussione sul finale, uno dei migliori nella mia esperienza di lettura.
Preso in mezzo a vincitori e vinti c’è Leamas, una persona confusa e annientata dal peso delle bugie al punto da non saperne più uscire, nemmeno quando gli si para davanti, per la prima volta nella sua vita, il naturale antidoto a bugie e ideologie, ovvero l’amore.
Quando comincerà, quando accetterà di vedere a colori sarà, probabilmente, troppo tardi e questo aggiunge una dimensione di tragedia e impossibilità di redenzione in un romanzo che alcuni, forse troppo affascinati da fiabe e ideologie, hanno definito disfattista, quando a me pare un trionfo.
Concepiti questi straordinari paesaggi, John Le Carré li muove con mano incredibilmente sicura lungo una trama complessa ma comprensibile, ricca di alcol ma nella quale è per fortuna assente (non che ci sia nulla di male a preferirlo, beninteso) il vodka martini agitato e non mescolato.
Le Carré, al contrario, mescola tutto, incessantemente: rivela il piano con lentezza, a noi come ad alcuni dei suoi personaggi, gli ingredienti del suo cocktail si distinguono man mano, e quando abbiamo l’elenco completo il sapore che ne ricaviamo è assolutamente amaro ma completamente irrinunciabile.
A fornirgli i mezzi per preparare il miglior cocktail spionistico mai scritto sono la sua formazione e preparazione linguistica, gli anni di studio e passione per la lingua che gli assicurano un controllo completo della forma, mai sbilanciata né verso il basso né vero l’alto, con una semplicità ed essenzialità che spesso, quando non sempre, portano alla bellezza.
Se ancora non lo avete letto provo una punta di invidia nei vostri confronti e non posso far altro che sperare che queste mie parole vi spingano a farlo al più presto.
Il sistema funziona. Ha sempre funzionato e sempre funzionerà. Perché il sistema è freddo, è inesorabile, matematico.
Ma se dentro di voi siete sufficientemente forti, siete come una pietra nel fiume che non si cura dell’acqua impetuosa.
Invece voi siete dei naufraghi che in preda al panico si aggrappano a ogni tronco che gli passi accanto, ma anche il tronco è in balia della corrente.
E sarà così fino alla fine della vita.
Solo chi è deciso a raggiungere la riva la raggiungerà.
Quello che è successo non può essere cambiato, però potete cambiare voi, in modo da comprenderlo e farlo vostro.(Robert, Class Enemy, 2013)
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- le Carré, John (Autore)