Torna in libreria la coppia piacentina di giallisti Edgardo e Stefano e già dalla copertina ci mostrano la perfetta sineddoche della loro seconda fatica letteraria: su uno sfondo incendiario di un tramonto probabilmente ispanico, si muove appesantita da armi ed insegne una falange di soldati, in marcia verso un tempio, o comunque una vestigia romana. Chi li conduce? A quale impresa militare sono intenti?
Non resta che affrontare le oltre 600 pagine del romanzo (che si leggono in un sorso) per reincontrare con vivo piacere i due protagonisti di Fiorillo & DeBellis, già conosciuti ne Il diritto dei lupi, attorno alle cui spiccatissime personalità si dipana la vicenda. Torna Cicerone, il retore, il principe del foro che chiunque- come me- abbia frequentato il liceo classico, ha alternativamente odiato e amato, e nelle pagine di questi libri riesce a riappacificarcisi perché gli autori lo umanizzano, lo dipingono nelle sue parti vulnerabili, nelle sue paure professionali e nella sua vita privata così anomala, ove la moglie è una compagna a tutto tondo e non solo un orpello necessario, in controtendenza rispetto a quanto normalmente si legge del suo rapporto con Terenzia. E torna Tito Annio Tuscolano, ex centurione, ora al soldo di Marco Licinio Crasso, di mestiere riscossore e – quando serve- estorsore manopesante.
I due spiccano nella narrazione che però, come gli autori hanno felicemente ricordato a Risolto Giallo, è un romanzo corale ove si snodano più storie, si riallacciano relazioni tra personaggi e si celebra il rito solenne della celebrazione dell’Urbe, ritratta in un momento in cui è povera, disordinata, la repubblica sta perdendo smalto a favore degli uomini forti, che poi la porterà al primo triumvirato ed al principato. Un periodo storico polveroso e faccendiere, ove germinano le faide e gli optimates sgomitano mentre altrove, nelle lande hispaniche, così lontane da Roma per mores e costumi, ribolle l’insoddisfazione, il tentativo di rivalsa e di riconquista. Ad agitarle, ma bolso e confinato come un colonnello Kurtz di conradiana memoria, sta Quinto Sertorio, nato a Norcia, comandante dell’esercito per la Repubblica romana, che a lungo resistette in quelle terre, fedele a Mario, contro gli attacchi sferratigli dai generali Metello Pio e Pompeo Magno.
E’ lui il cattivo della storia, l’antagonista, il villain… ma lo è davvero? A voi la sentenza, mentre Cicerone combatte con la sua gastrite, percorre la città sotto un sole cocente indossando la toga di lana grezza, e Tito lavora a modo suo per fronteggiare un complotto, tra loro splende lei, Flavia Polita, la carismatica lenona della suburra, la regina delle Erinni.
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