La velocità della tartaruga - Luca Crovi

Ẻ il settembre del 1910, la cultura europea è scossa dalla furia delle avanguardie che predicano a gran voce l’ebrezza della velocità e la guerra sembra ancora lontana. Carlo De Vincenzi “non è più un bambino e non è ancora un ufficiale” quando rilegge la favola di Esopo “La tartaruga e la lepre”. Nonostante la cultura imperante, lui è sempre stato dalla parte della tartaruga. Non ama la velocità che in quegli anni imperversa causando spesso lutti e tragedie.

Un anno dopo, Vincenzo Peruggia, un decoratore italiano emigrato in Francia, decide di rubare La Gioconda per restituirla al suo Paese. Monna Lisa: nessuno può sfuggirne il fascino, nemmeno uomini potenti come Napoleone Bonaparte o grandi artisti come D’Annunzio e Apollinaire. Anche oggi, visitando il Louvre, per vedere da vicino Monna Lisa bisogna affrontare una piccola coda di adoratori che sosta davanti al quadro in religioso ed estatico silenzio. Nessun’altra opera d’arte attira un così grande numero di ammiratori.

Allora, a questo punto qualcuno si chiederà che cosa c’entri Monna Lisa con la nuova indagine del commissario Carlo De Vincenzi “il poeta del crimine”. In effetti, l’indagine inizia per davvero solo a metà romanzo, quando Tazio Nuvolari arriva nell’ufficio del poliziotto a bordo di una moto epica e lo trascina alla ricerca di un ladro che ha rubato da una gioielleria le tartarughine d’oro che l’orafo cesella per il grande Gabriele D’Annunzio.

Il Tazio Nuvolari che compare nel libro è proprio quello celebrato nella canzone di Lucio Dalla e il Dannunzio delle tartarughine d’oro è proprio il Vate che il fascismo ha dapprima osannato e poi segregato nella villa sul lago di Garda.

Allora, la faccenda si complica: come mettere insieme Monna Lisa, Perugia, Nuvolari, D’Annunzio e l’indagine del “poeta del crimine”?

Luca Crovi ha un metodo che chiarisce solo nell’ultimo capitolo: “Fra realtà e fantasia”. Una postfazione nella quale spiega quale sia il suo modo di lavorare. Crovi è un “cercatore di storie”; uno che vaga per musei, librerie, archivi, alla caccia di una storia che gli accenda la fantasia e gli dia la voglia di raccontare. Come lui stesso spiega, la ricerca storica è minuziosa, perché “lo storico può scrivere e raccontare solo quello che le fonti e le testimonianze confermano”. Crovi, però, non è uno storico e, anche se quando scrive i suoi romanzi parte sempre da verità incontestabili (e i documenti ai quali fa riferimento sono davvero tanti), le alterna e confonde con la fantasia del narratore.

Da questo miscuglio di realtà e fantasia nasce un modo di raccontare particolare, non sempre facile da comprendere, ma dal grande fascino che risiede soprattutto nella rievocazione di fatti e personaggi.

Quella di Crovi, però, non è una rievocazione mitica. Ne “La velocità della tartaruga” D’Annunzio e Nuvolari tornano a vivere di vita vera. Il primo nel suo esilio al Vittoriale, circondato dalle spie fasciste alle quali cerca di sfuggire. Un uomo con le sue manie, i suoi difetti, i suoi vizi e anche le sue grandi virtù. Il secondo nella sua fisicità sconosciuta ai più– basso e tarchiato- la sua simpatia, la sua vitalità, il suo amore per la vita.

Credo che il grande merito del romanzo sia proprio nell’affascinante ricostruzione storica e nella la capacità di far rivivere personaggi ed epoche lontane.

A dirla tutta, forse avrei preferito che la postfazione si trasformasse in prefazione. “La velocità della tartaruga” è il primo romanzo di Crovi che ho letto e all’inizio la lettura mi ha spiazzata. Più di una volta mi sono chiesta che cosa ci facessero Napoleone, la Gioconda e il suo rapitore, gli aviatori Cavalié e Dartnell, Nuvolari e D’Annunzio con il commissario De Vincenzi. Poi, piano piano la storia si è chiarita. Ci ho messo un po’ a capirlo, e forse sarebbe stato interessante averla già all’inizio, ma alla fine ho trovato la chiave di lettura.

Recensione di Maria Cristina Grella.

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