Oggi, cari avventori, recensiamo al Thriller Cafè l’ultimo romanzo tradotto in italiano di Robert Bryndza: “La verità sul caso di Joanna Duncan”, pubblicato da Newton Compton per la traduzione di Laura Miccoli. Si tratta della terza avventura della detective privata Kate Marshall, dopo le cinque dedicate dall’autore inglese a un’altra investigatrice femminile, Erika Foster. Bryndza, che oltre a scrivere romanzi è attore e commediografo, è ormai un affermato scrittore di thriller che si sta imponendo progressivamente grazie al vasto successo di pubblico delle sue storie.

In questo romanzo, l’agenzia di investigazioni di Kate Marshall e del suo socio Tristan Harper viene contattata per risolvere un “Cold Case”. Siamo nel Devonshire, nella parte sudoccidentale dell’Inghilterra accanto alla Cornovaglia, la regione anche chiamata West Country, dove nel 2002, tredici anni prima dell’epoca nella quale è ambientato il romanzo, è misteriosamente scomparsa la giornalista Joanna Duncan. La polizia, dopo le indagini svolte nei primi mesi che non hanno portato a nulla, ha ufficialmente abbandonato il caso e la madre di Joanna, Bev Ellis ha deciso di affidarsi a Kate e Tristan. Quello che i due detective scopriranno è che la sparizione di Joanna non è stato un caso isolato, ma è riconducibile per analogia a molte altre sparizioni avvenute nello steso periodo. E dietro queste misteriose sparizioni sembrerebbe celarsi l’ombra di un feroce serial killer.

Bryndza si conferma uno scrittore di talento. Il suo racconto fluisce piacevolmente, con uno stile dolce e aggraziato, in contrasto con i temi un po’ scabrosi toccati dal romanzo. C’è una grande capacità di costruire un intreccio solido che accompagna il dipanarsi dell’indagine, con un approccio che unisce alcune caratteristiche del giallo classico di stampo logico-deduttivo (Marshall e Harper novelli Holmes e Watson) alle più moderne ambientazioni del thriller di matrice psicologica, con frequenti incursioni nell’action thriller quasi mozzafiato. Nell’insieme il tutto risulta decisamente appassionante e gradevole, rendendo la lettura piacevole. Come tutti i Cold Case, poi, c’è un meccanismo di ricostruzione del passato che è anche una sorta di autoanalisi per la nostra Kate, che è arrivata all’agenzia di investigazioni dopo un trauma psicologico vissuto quando era a Scotland Yard. Nel ricostruire il passato di Joanna, Kate ripercorre quindi il dramma che l’ha interessata, ricavandone quasi un processo di tipo terapeutico.

La provincia inglese di Bryndza è una provincia desolata e desolante. Dove appena sotto la patina da cartolina turistica che molti dei luoghi di ambientazione hanno, si nascondono trame oscure, devastazione, criminalità. Dove si misura una cesura non eliminabile tra la ricca upper class che ha mezzi finanziari enormi e proprietà vastissime e una working class marginalizzata, priva di speranza nel futuro, che vive in condizioni di povertà e di miseria, in palazzoni semi-abbandonati di cittadine anonime che finiscono per essere non luoghi che conducono al crimine e alla devastazione. La natura stessa, nonostante ci si trovi in uno dei luoghi più affascinanti d’Europa, è rappresentata come infida, spesso foriera di tragedie incombenti. Una forza dalla quale guardarsi perché in grado spesso di incutere timore, anziché protezione.

E come spesso succede in molti narratori contemporanei, l’unica nota positiva è l’enorme forza di volontà della protagonista femminile del romanzo. Quasi a volerci ricordare che dalle vicende più buie della nostra esistenza ci si salva soltanto recuperando dentro di noi la forza di andare avanti. E facendo affidamento su pochi, pochissimi individui di buona volontà che talvolta sentono il bisogno di tendere una mano in modo disinteressato. Non certo perché ci siano istituzioni pronte a tutelarci, perché, anzi, dalle istituzioni per Bryndza è meglio guardarsi e diffidare. La loro spietata indifferenza al servizio del cinismo di chi se ne serve per fini personali non lascia scampo. Sicuramente un po’ pessimista come sguardo sulla realtà, ma spesso difficile da contraddire.

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Articolo protocollato da Giuliano Muzio

Sono un fisico nato nel 1968 che lavora in un centro di ricerca. Fin da piccolo lettore compulsivo di tante cose, con una passione particolare per il giallo, il noir e il poliziesco, che vedo anche al cinema e in tv in serie e film. Quando non lavoro e non leggo mi piace giocare a scacchi e fare attività sportiva. Quando l'età me lo permetteva giocavo a pallanuoto, ora nuoto e cammino in montagna. Vizio più difficile da estirpare: la buona cucina e il buon vino. Sogno nel cassetto un po' egoista: trasmettere ai figli le mie passioni.

Giuliano Muzio ha scritto 145 articoli:

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