Oggi recensiamo su Thriller Cafè La voce delle ombre, di Paolo Lanzotti, romanzo vincitore del Premio Tedeschi 2016 con la seguente motivazione:
Prende vita in questo romanzo, con rara nitidezza e potenza scenica, la Venezia rivoluzionaria di metà Ottocento in lotta contro la dominazione austriaca, sfondo ideale, tra eroismi e tradimenti, per la figura in chiaroscuro di Teodoro Valier, ex sbirro della polizia asburgica chiamato a indagare su un omicidio con quella lucida, inesorabile logica investigativa che ha cittadinanza in ogni epoca e in ogni luogo.
TRAMA
Agosto 1849. Sotto i colpi di cannone degli austriaci, Venezia resiste eroicamente a un assedio che dura ormai da oltre un anno. Ma per la gloriosa Repubblica Veneta la disfatta è alle porte. La sente nell’aria l’ex sbirro della polizia asburgica Teodoro Valier, chiamato da Daniele Manin, l’uomo che regge le sorti della rivoluzione, a risolvere un caso di omicidio. Con la pioggia incessante di granate, la penuria di cibo e l’epidemia di colera che falcidia la popolazione, sembra quasi uno scherzo. Quando non si sa nemmeno dove seppellire i cadaveri, uno in più che differenza può fare? Purtroppo la vittima è un valoroso combattente ostile a Manin, che qualcuno potrebbe additare come mandante del delitto, e dunque s’impone di scoprire quanto prima la verità. Compito difficile per Valier: messo al bando con il sospetto infamante di essere ancora al servizio del nemico, dovrà indagare senza i crismi dell’ufficialità. Aggirarsi come un fantasma ascoltando la voce delle ombre, tra calli e campielli dove l’odore di alghe putrefatte che esala dai canali annuncia un destino ineluttabile. Perché nella città della laguna la morte non ha ancora finito di esigere il suo tributo.
La voce delle ombre, un giallo storico e “deduttivo”
Il nuovo romanzo di Paolo Lanzotti è ambientato a Venezia, nell’agosto del 1849. La città è governata da Daniele Manin e assediata dagli austriaci.
Lanzotti inventa il plot giallo e i personaggi principali, ma li inserisce in un contesto storico e in un ambiente geografico reali. Molti sono anche i personaggi realmente esistiti. Quello che spicca maggiormente è Daniele Manin (1804-1857), Presidente della Repubblica di San Marco dal 17 marzo 1848 al 22 agosto 1849. Manin è forse l’ultimo grande eroe della storia di Venezia. Un uomo che seppe tenere le redini di una città assediata, senza cibo, acqua e armi; e che con intelligenza e valore riuscì a tenere in scacco il potente esercito asburgico per più di un anno.
Il giallo storico si sposa quasi sempre a quello deduttivo o classico; quello che viene anche definito whodunit. La voce delle ombre si muove all’interno dei confini stabiliti da questo particolare genere poliziesco. Come nel giallo classico, l’autore concentra l’attenzione sul modo in cui è stato commesso il delitto, il movente e gli alibi dei sospettati. Valier, il poliziotto incaricato di trovare l’assassino, stende delle liste con tutti gli indizi, usa gli informatori e interroga i sospetti.
Non esiste crimine senza causa e, fino a quel momento, il solo movente plausibile per il delitto, a detta di tutti, sembrava essere quello politico … (pag. 79)
Il lavoro di un investigatore consiste in questo: notare le incongruenze e collegarle logicamente, fino a completare il quadro … (pag. 204)
L’abilità con cui avete colto le contraddizioni di quel Costanzi mi ha colpito. Certo, la soluzione sembra elementare, quando si hanno a disposizione le tessere del mosaico. Ma raccogliere particolari così insignificanti, ricordarli e metterli insieme, fino a formare un quadro coeso e coerente, ha un po’ il sapore della magia (pag. 241)
(Lanzotti, 2016)
Lanzotti non fa mancare a Valier un aiutante per le sue indagini, quasi un obbligo per il giallo classico dai tempi di Sherlock e Watson. Samuele Poli, però, non è solo un comprimario, è un ragazzo dall’intelligenza acuta che spesso anticipa le mosse di Valier. Il rapporto tra Valier e Poli, inoltre, è molto complicato, muovendosi tra l’ammirazione e l’odio (scoprite voi il motivo, leggendo il romanzo).
Altra caratteristica tipica del giallo classico è il FAIR-PLAY nei confronti del lettore, cui vengono forniti tutti gli elementi per arrivare alla soluzione. Anche Lanzotti, nel suo romanzo, offre al lettore attento tutti gli indizi necessari per arrivare alla soluzione dell’enigma. Il fair-play ha origini antiche: il primo scrittore di polizieschi a utilizzare il fair-play fu Wilkie Collins nel suo capolavoro La pietra di Luna (1868), considerato il primo romanzo poliziesco.
Tipico dei gialli storici è anche l’ambiente chiuso in cui avviene l’omicidio, limitando così il numero dei sospetti e amplificando il senso di oppressione nel lettore. Lanzotti crea una variante molto interessante del mistero della camera chiusa. Di solito i delitti della camera chiusa sono basati su un delitto commesso in un luogo sigillato dall’interno, in cui non vi è traccia dell’assassino e spesso è sparita anche l’arma omicida. In La voce delle ombre, l’omicidio è stato commesso all’interno di un palazzo, con il portone chiuso e una finestra da cui è impossibile che l’assassinio sia potuto entrare: il piumaggio e gli escrementi d’uccello accumulati sul davanzale formavano una patina evidente, distribuita su tutta la superficie e senza segni di alterazione (Lanzotti, 2016, p. 28). Non vi è neppure traccia dell’arma omicida. Non vi rivelo altro, perché Lanzotti è molto bravo a tenere la suspense su questo mistero e vi posso assicurare che la spiegazione è logica e plausibile.
Teodoro Valier e il riscatto esistenziale dell’eroe
Lanzotti non utilizza, come è ormai di moda nei gialli storici, un personaggio famoso come detective. Preferisce lasciare spazio all’inventiva. Libero da qualsiasi vincolo storico, l’autore crea Teodoro Valier e lo colloca sia temporalmente che fisicamente in una zona di confine. L’indagine di Teodoro Valier si svolge, infatti, durante gli ultimi giorni della Repubblica di San Marco. Lo scrittore veneziano riesce così a creare la sensazione di un mondo sull’orlo della fine. Valier vive a modo suo questo cruciale e drammatico momento storico.
Venezia sta per cadere di fronte alla potenza austriaca e Valier è senza denaro, senza fede e senza patria. Anni addietro ha perduto anche la moglie e la figlia. Non ha più nulla per cui vivere. È un uomo amareggiato dal mondo, provato dal dolore. Anche lui, come la sua città, è arrivato al limite. Valier è anche un uomo solo, egoisticamente chiuso nel suo dolore. Lanzotti contrappone spesso la solitudine e il modo di essere di Valier a ciò che gli accade attorno. Tutti sembrano infatti partecipare, in un modo o nell’altro,al drammatico momento storico che sta vivendo la Repubblica. Valier ammira il coraggio patriottico di Manin e dei suoi concittadini, ma fatica a comprenderli.
… voi siete circondato da uomini che mettono in gioco la propria vita, ogni giorno, in nome di un ideale — replicai. — Lo chiamano Italia. Io non so nemmeno che cosa sia, questa Italia. Fatico a capire. Fatico ad accettare che esista. Eppure ammiro quegli uomini e invidio l’ardore con cui combattono per una speranza.
(Lanzotti, 2016, p. 220).
Il contrasto è accentuato dalla presenza, al fianco di Valier, del giovane patriota Samuele Poli. Quest’ultimo, disposto a morire per Daniele Manin e gli ideali della Repubblica di San Marco, rappresenta il superamento della concezione individualistica di Valier. E sarà proprio l’incontro con Poli e Daniele Manin a cambiare l’esistenza del poliziotto. Poli e Manin rappresentano tutto ciò in cui Valier non crede più: la patria, l’amicizia, la fede, il coraggio di vivere nonostante tutto, il rifiuto del pensiero solipsistico, l’agire(in contrasto con l’inerzia di Valier) come atto di coraggio e riscatto di fronte al dolore e al male della storia. Tutto ciò non significa rinunciare alla propria individualità. Quest’ultima è fondamentale per discernere la giusta via che conduce alla libertà e quindi “verso un mondo migliore”. Significa piuttosto non ingabbiare il proprio pensiero in una continua e sterile riflessione, conducendo una vita passiva e inerte.
Il “principio del riscatto” è un tema antico che risale ai primordi della storia del giallo, come ha sottolineato Romolo Runcini in un suo saggio.
Vidocq – alias Ferragus, Vautrin, Carlos Herrera, Collin – se qui esce di scena non è affatto scomparso dall’orizzonte tematico del romanzo del crimine; egli ha lasciato in eredità un genere vitale, il principio del riscatto o della vendetta, che attraverso la sfida legale o illegale alla società del proprio tempo alimenterà gran parte della narrativa ottocentesca. Una sfida che riguarda l’affermazione esclusiva di sé nel mondo, ma anche, in qualche modo, l’occasione di ripudiare quel mondo così com’è nella segreta speranza di un mondo migliore.
(Romolo Runcini, La paura e l’immaginario sociale nella letteratura. Il roman du crime, Napoli, Liguori Editore, 2010, p. 171)
Far incontrare il pensiero individuale con gli ideali morali e civili di un popolo è uno dei passi più importanti per il riscatto personale. Sempre Runcini dedica un capitolo intero del suo saggio a L’ebreo errante (1844 – Le Juif errant), un romanzo dimenticato di Eugène Sue, l’autore del celebre I misteri di Parigi. I due protagonisti del libro, Samuel e Dagobert “sono portatori di messaggi positivi, socialmente validi e augurali, in un mondo in preda alla corruzione e allo sfacelo, e agiscono dall’alto di una missione ideale da compiere e dal basso di una fedeltà e onestà civili da mantenere. Giustizia e solidarietà sono le mete da raggiungere nell’impegno quotidiano. Il modello morale e quello comportamentale costituiscono la base di un riscatto personale e di una iniziazione alla vita comunitaria.” (Runcini, 2010, p. 291).
Teodoro Valier, come molti altri poliziotti moderni, deriva da questi esempi ottocenteschi. Passando attraverso la letteratura e la filosofia esistenzialista francese, questi modelli letterari si sono arricchiti di ulteriori valenze intellettuali e politiche. Valier somiglia molto (anche se il paragone può sembrare sacrilego) a Mathieu, il personaggio creato da Jean Paul Sartre e protagonista del capolavoro esistenzialista La morte nell’anima, ambientato durante l’occupazione nazista della Francia (altra similitudine con Valier e la città di Venezia assediata dagli austriaci). Mathieu si sente estraneo alla guerra e al sentimento patriotico e osserva quasi distaccato la propria patria cadere di fronte ai colpi del nemico. Tutto cambia quando si trova sulla cima di un campanile a sparare ai tedeschi. L’azione lo distoglie dall’inerzia e impotenza, che lo hanno caratterizzato sino a quel momento, e lo catapulta nell’emozione dell’esistenza. Si tratta di una specie di rivincita sul mondo e sul vecchio se stesso.
Sartre scrisse La morte nell’anima nel 1949. Intorno alla metà del XX secolo, la riflessione filosofica e letteraria ruotava intorno ai fondamentali concetti della libertà, della individualità, e della percezione della realtà. La soluzione di Sartre al “male di vivere” e all’angoscia esistenziale è nella libertà dell’uomo di poter decidere il proprio destino. L’uomo deve rifiutare i valori politici, religiosi o morali che vengono imposti dall’esterno e assumere su di sé la responsabilità delle proprie scelte. Anche Valier rifiuta i valori patriotici e non crede nella rivoluzione.
Non avevo mai creduto nelle possibilità di vittoria della rivoluzione. Ora ero certo che i giorni della Repubblica fossero contati. Presto gli austriaci sarebbero rientrati in città, tronfi e trionfanti per aver stroncato, grazie alla potenza di un esercito multinazionale, un manipolo di volenterosi male armati, piegati dalla fame e dall’epidemia. Se mi fossi compromesso lavorando per Manin sarebbe stato difficile trovare posto nella futura amministrazione imperiale. Era questo che volevo? Chiamandomi al suo capezzale, il grand’uomo mi aveva offerto un’opportunità. Ma, forse, a prezzo del mio stesso domani.
(Lanzotti, 2016, p. 45)
Per Sartre l’impegno e l’agire sonofondamentali per conquistare la libertà e il riscatto. Qualcosa del genere capita a Valier, quando Daniele Manin gli offre la possibilità di tornare a indagare. Il poliziotto tornando in azione ritrova una ragione per continuare a vivere e una possibilità di riscattare se stesso. Il primo passo significativo volto al superamento della sua concezione individualistica dell’esistenza è il legame che si crea tra lui e Samuele Poli.
L’indagine e la conseguente scoperta dell’assassino e del suo movente trasformano Valier. Attraversare Venezia, sotto il bombardamento delle bombe austriache, diviene quasi un viaggio iniziatico. E di fronte alla morte, nelle ultime pagine del romanzo, Valier si rende conto che, nonostante quanto avesse creduto fino a quel momento, c’era ancora qualcosa che mi legava all’esistenza terrena. Un nodo che si era rivelato più forte del cinismo, del disincanto, del disinteresse verso il mondo in cu mi ero avvolto in quegli anni per combattere i ricordi. (Lanzotti, 2016, p. 238).
La Venezia di Lanzotti, una città dipinta
Lanzotti, per dare credibilità storica al suo romanzo, non si limita a citare grandi avvenimenti realmente accaduti, come l’assalto al Palazzo Querini e la seduta dell’Assemblea in cui Manin propone di chiedere la resa di Venezia. Ci offre anche una serie di brevi e intense descrizioni della città e del popolo veneziano.
Teodoro Valier, durante le indagini, attraversa calli, campielli, ponti. Venezia viene descritta sotto assedio, priva di acqua e cibo, sotto i continui bombardamenti austriaci:
Su Venezia stavano cadendo mille palle di cannone ogni giorno. Le scorte alimentari si andavano esaurendo con mortale rapidità, i magazzini erano vuoti e la mancanza di pane aveva già fatto scoppiare diversi tumulti. I caduti in battaglia, fra i veneziani e i volontari romani e napoletani che difendevano la laguna, avevano raggiunto numeri a tre cifre e il colera imperversava sempre più violento.
(Lanzotti, 2016, p. 15)
Ma quello che colpisce di più sono le brevi descrizioni del popolo affamato e stanco o dei coraggiosi che rispondono all’ossessivo fuoco asburgico. Leggendo si ha quasi la sensazione visiva di piccoli quadri, come questo:
Fino a pochi mesi prima le calli e i campielli sarebbero stati percorsi da numerosi venditori d’acqua, con gli otri sulla schiena.
(Lanzotti, 2016, p. 125).
È come se Valier non stesse attraversando Venezia, ma una pinacoteca a cielo aperto. Le immagini evocate, popolani al lavoro o bambini affamati, fanno venire in mente i pittori che raffigurarono Venezia e i suoi abitanti tra la seconda metà dell’ottocento e gli inizi del novecento, come Eugenio Bosa (1807-1875), Giuseppe Barison (1853-1931), Alessandro Milesi (1856-1945), Domenico Miotti (1836-1916):
Un mondo reale, vivace e folcloristico, molto apprezzato dai forestieri pronti ad acquistare immagini che ricordino loro i panni stesi tra le case o nei campi ad asciugare al sole, l’animazione dei mercati o il passaggio colorato della gente nelle calli.
(Myriam Zerbi, Arti e mestieri nella pittura veneziana tra Ottocento e Novecento. Il lavoro «nella nobile semplicità sua», in Nobiltà del lavoro. Arti e mestieri nella pittura veneta tra Ottocento e Novecento, Torino, 2012, p. 10)
Lanzotti, nell’intervista rilasciata a Thriller Cafè, cita anche Ippolito Caffi (1809-1866).
Non mancano le descrizioni anche più realistiche e forti, come quella del Lazzaretto, che richiamano, sia per alcuni particolari che per la cupa ambientazione, i dipinti di Antonio Zanchi (1631-1722) che si trovano sulle pareti dello scalone della Scuola di San Rocco a Venezia.
A terra dovemmo fare subito una deviazione, per aggirare una specie d’obitorio all’aria aperta, non lontano dall’antica basilica di San Pietro. Numerosi cadaveri giacevano ammucchiati uno vicino all’altro, sotto semplici lenzuola, e la cosa, oltre che essere macabra, aveva effetti piuttosto sgradevoli, nella calura d’agosto… Gettando un’occhiata alla laguna vidi una barca che si stava avvicinando da sud. Forse portava altre salme … Avevo avvertito la presenza del colera anche da lontano. Quell’odore misto d’urina, escrementi, sudore e vomito che, come avevamo ormai imparato tutti, accompagnava inesorabilmente il travaglio dei malati. Avvicinandomi al lazzaretto mi parve più forte e insopportabile del lezzo emanato dai cadaveri all’aperto. Forse perché, in quell’odore rancido, aleggiava ancora il fantasma di una sofferenza che i morti non provavano più.
(Lanzotti, 2016, pp. 94-95)
Se alcune immagini sembrano riprese dai pittori del seicento e dell’ottocento veneto, altre ricordano lo stile pittorico diFrancesco Guardi (1712-1793). Lanzotti tratteggia con mano felice e malinconica momenti dell’esistenza quotidiana di un tempo ormai passato, usando pennellate veloci che evocano più che fotografare.
Alle undici del mattino, il sole dardeggiava come un falò e, nella calura, l’odore delle alghe putrefatte, delle immondizie e dell’acqua salmastra sembrava aver raggiunto la consistenza della bambagia … Popolani emaciati. Bambini senza sorriso (p. 23)
… dalla laguna si era alzata una densa foschia che stava già scivolando tra le case come uno spettro… (p. 82)
Mentre percorrevo un ponticello, nell’acqua scura sotto di me scivolò una gondola: fantasma nero, diafano, che trafiggeva le ombre al ritmo pigro del remo… (p. 83)
Il ritmico sciabordio del remo, l’acqua placida dei canali, il cielo limpido, la calura appena smossa da una brezza odorosa di salsedine pennellavano una tipica, sonnolenta mattina destate (p. 94)
(Lanzotti, 2016)
I brani sono tratti da La voce delle tenebre di Paolo Lanzotti, Giallo Mondadori, n. 3148 – ottobre 2016
Ti è piaciuto l'articolo? Iscriviti alla newsletter
Inserisci la tua email e riceverai comodamente tutti i nostri aggiornamenti con le novità, le anticipazioni e molto altro.
Compra su Amazon
- Lanzotti, Paolo (Autore)