Quando nella prima pagina leggiamo la dedica di Gianni Farinetti alla sua compagna e al cinema, non ci insospettiamo subito. Poi, proseguendo nella lettura delle dediche e trovando i nomi di Pierpaolo Pasolini e di Luchino Visconti cominciamo a supporre che forse nel libro ci sia qualcosa di diverso rispetto ai soliti noir. Presentimento che diventa realtà quando a pagina 11 Giovanni Farinetti ci informa: personaggi e interpreti – A luglio in alta Langa. Segue l’elenco dei personaggi del romanzo, un po’ come succede in ogni giallo Mondadori che si rispetti. Quello de “L’amore sprecato”, però, è un elenco particolare che non si limita al nome e alla funzione degli interpreti, ma aggiunge informazioni su ognuno di loro come se volesse che il lettore quei personaggi li vedesse per davvero.
Così, fin dalle prime pagine ci convinciamo che il libro sarà un giallo ambientato nel mondo del cinema. Ma a dire il vero “L’amore sprecato” è un giallo atipico, un giallo in cui l’omicidio e l’indagine occupano solo poche pagine.
La maggior parte del racconto è dedicato alla formazione culturale di un giovane giornalista di Fossano, Dalmasso Gianluca, che viene guidato alla scoperta dell’arte cinematografica da due vecchi marpioni, fini conoscitori del cinema e della sua storia: Sebastiano Guarienti – un vecchio regista nostalgico del glorioso, vecchio cinema italiano, amante dei De Sica, dei Visconti e dei Pasolini, innamorato di Silvana Mangano e della Magnani – e lo stesso Gianni Farinetti, che del Guarenti è il migliore amico e nel libro interpreta se stesso: uno scrittore in cerca di ispirazione.
Dalmasso fa – o vorrebbe fare- il giornalista ed è giunto nella selvaggia Alta Langa per scrivere un articolo su Guarenti, di cui ha letto su una rivista patinata.
Quello che non sa – e come avrebbe potuto- è che si troverà coinvolto e assorbito nel gruppo di ragazzi festosi che pendono dalle labbra dei due vecchi cinefili perché la cascina nell’Alta Langa, dove il gruppo si ritrova, è una scuola di cinema e i ragazzi sono arrivati fin lassù per diventare attori, registi, scenografi, costumisti.
Guarenti e Farinetti sono colti, coltissimi, non solo di cinema, ma anche della letteratura e dei suoi classici. Il film che gireranno alla fine del percorso al quale hanno partecipato gli allievi della scuola è ispirato al celeberrimo “Anna Karenina” di Tolstoj, ma in omaggio agli anni del femminismo il finale sarà diverso. Non sarà Anna a morire, ma il suo giovane e crudele amante che la donna ucciderà con un colpo di pistola. A interpretare i due sono chiamati dei veri attori: Marco Trabia, giovane, bello e rampante, e Livia Rosso, ancora affascinante ma in là con gli anni.
E qui vita e cinema si intrecciano diventando una cosa sola, perché, come diceva Valentina Cortese – altro nome ripescato dal baule dei ricordi- il cinema è strano. Si sta insieme tutto il giorno, si vive insieme, si mangia insieme, magari si fa pure l’amore, ma quando il film finisce finiscono anche le storie che erano nate con lui, si va via e non ci si vede più.
Eppure, a volte gli attori e i loro personaggi si incontrano ancora, ma la vita è andata avanti, mentre il cinema e i ruoli che hanno interpretato sono rimasti fermi a ciò che la macchina da presa ha cristallizzato per l’eternità e la storia che nasce da quel nuovo incontro può essere davvero molto pericolosa. Come l’amore, che se deriso, oltraggiato, “sprecato” diventa un sentimento più distruttivo dell’odio.
“L’amore sprecato” è un bel libro, avvincente eppure letterario, racconta vecchie storie scavando nei meandri di ciò che è stato, ma io l’ho trovato attuale e innovativo.
Poche, pochissime le parti raccontate. La narrazione procede attraverso i dialoghi dei suoi personaggi, attori consapevoli e no che avanzano attraverso gli eventi.
Gianluca Dalmasso (o Dalmasso Gianluca, come lui ama definirsi) all’inizio è solo uno spettatore della magica recita cui assiste, ma un po’ alla volta viene assorbito dalla vita della cascina e dai suoi abitanti. Parla con loro, gioca con loro, mangia con loro, dorme nella piccola stanza accanto a quella di Farinetti. E il lettore si identifica con lui: dapprima ignorante, inconsapevole, estraneo; alla fine affascinato e poi partecipe dello spettacolo che avviene davanti ai suoi occhi. Il cinema è amore. Peccato che qualche volta quell’amore venga confuso con la vita vera e diventi un “amore sprecato”.
Un libro bello ed emozionante, colto senza pretendere di esserlo, che i cinefili adoreranno, ma che credo piacerà a tutti, perché i romanzi capaci di raccontare il passato rendendolo presente con leggerezza e facilità sono davvero pochi.
Recensione di Maria Cristina Grella.
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- Farinetti, Gianni (Autore)