Oggi al Thriller Cafè parliamo de L’astemio, un romanzo dello scrittore e accademico inglese Ian McGuire, recentemente pubblicato da Einaudi.
Siamo a Manchester, nel 1867. La città è un grumo di nebbia e miseria, sembra uscita da un incubo di Dickens. I “Martiri di Manchester” stanno per salire sul patibolo e compiere l’ultimo salto. Sono tre giovani irlandesi accusati di aver ucciso un poliziotto. Fanno parte dei Feniani, un movimento indipendentista che vorrebbe l’Irlanda libera dal controllo inglese.
James O’Connor è anch’egli irlandese, ma combatte dall’altra parte della barricata. È un agente capo della polizia, disprezzato tanto dai suoi connazionali che dai suoi stessi colleghi. Entrambe le fazioni vedono in lui un traditore. La sua vita è stata sfigurata dal lutto: ha perso una figlia e la moglie nell’arco di pochi mesi ed è precipitato nel baratro dell’alcol. Da Dublino è stato trasferito a Manchester, dove cerca di sopravvivere al dolore e alla dipendenza lavorando con spie e infiltrati per combattere i dissidenti irlandesi.
Stephen Doyle, invece, è americano. È un veterano della Guerra di secessione e ora i Feniani lo hanno assoldato per mettere a ferro e fuoco la città. O’Connor è sulle sue tracce e Manchester sarà la scacchiera di una partita mortale tra due giocatori che non hanno nulla da perdere. È una storia di vendetta e ossessione, l’amara morale è che “Sono i morti che comandano, adesso e sempre. Ogni passo avanti è un passo in quella direzione, ogni svolta è parte dello stesso circolo, e quello che chiamiamo amore o speranza è solo un interludio, un modo per dimenticare quel che siamo.”
L’astemio è allo stesso tempo un romanzo storico e una spy story. È stato definito “un The Wire con la luce a gas”, accostandolo così a una serie televisiva poliziesca di grande successo. Sul retro di copertina, Einaudi pubblica i commenti di due pesi massimi della letteratura americana: Richard Ford lo definisce «Un romanzo storico formidabile, un autore tra Cormac McCarthy e Raymond Chandler» e Philipp Meyer commenta «McGuire è un Dickens coniugato al presente, un Dickens per il ventunesimo secolo».
Malgrado queste eccellenti raccomandazioni, la lettura – almeno dal mio punto di vista – non si è rivelata all’altezza delle aspettative. Di certo l’autore mantiene uno stile di scrittura vivido e “immersivo”, utilizzando tutti i sensi e in particolare l’olfatto, ma la trama mi è parsa poco coinvolgente e piuttosto piatta. Certo, c’è un “colpo di coda” interessante nel finale, che però non riesce a riscattare una storia che sembra sempre sul punto di decollare senza mai farlo veramente. Anche lo sviluppo sembra frettoloso: più che un romanzo, si ha a tratti l’impressione di leggere la sceneggiatura di un film già visto, con evidenti punti di sutura tra alcune scene.
È un peccato, perché il primo libro di Ian McGuire, Le acque del nord, aveva rivelato doti narrative non comuni ed era stato giustamente acclamato dalla critica. Di sicuro, comunque, questo scrittore ha tutti i numeri per riuscire a sorprenderci ancora in futuro.
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