Prosegue la fortunata serie di gialli storici di Alice Basso, ambientati nella Torino fascista del 1935, con protagonisti la dattilografa Anita Bo – ventenne bella, arguta e decisamente anticonformista – e il traduttore-scrittore Sebastiano Satta Ascona – trentenne ingabbiato (in realtà sempre meno) in una maschera di fervente fascista, ma in realtà ribelle ed anticonformista almeno quanto lei. È uscito per Garzanti il quarto volume, Le aquile della notte, e – anticipazione – è bellissimo.

La storia stavolta è ambientata quasi interamente fuori Torino: il pretesto è una vacanza di una settimana che viene “gentilmente” imposta a Sebastiano dal futuro suocero, Sauro Bonatti, pezzo grosso del regime in città. La meta prescelta è la fulva di famiglia nelle Langhe, perché Sebastiano impari tutti i segreti della vendemmia, ma Sebastiano, incidentalmente, avrebbe anche un lavoro e una rivista mensile (Saturnalia) da far uscire. Così, grazie ad un’idea della di lui fidanzata Mavi Bonatti (non è poi così male, Mavi, dai), Anita andrà con lui… ehm, con loro, a lavorare per metà giornata. Immersa nella meraviglia della campagna langarola, fra il rosso e l’oro dell’autunno sulle colline, Anita scoprirà che lei e il suo capo non sono poi gli unici a ribellarsi al sistema: certo, bisogna fare molta, molta attenzione, ma se ci si guarda bene intorno si scoprirà che il dissenso all’oppressione fascista non è affatto sopito. Una morte, però, tanto inattesa quanto sconvolgente, verrà a turbare la quiete operosa della campagna. Congetturando di qua, facendo domande innocenti di là, Anita e Sebastiano dovranno venire a capo di quest’ennesimo mistero, lo devono a quei ragazzi coraggiosi che hanno conosciuto all’alba, nel bosco. Chissà che sul prossimo numero di Saturnalia, non ci sia un’altra storia da raccontare per J.D. Smith?

«Riesce a crederci?» dice Sebastiano di colpo. «Perché io no.»

Anita lo guarda. Aspetta.

«A tutto quello che abbiamo visto stasera, intendo. Io… non so lei, ma io ero già sbalordito quando abbiamo saputo degli scout, già mi sembrava incredibile così, trovare un ciuffo di ribelli sperso fra queste campagne come un mazzetto di funghi. Ma stasera… stasera abbiamo conosciuto… oh Dio, non saprei nemmeno come definirlo. Un mosaico di guerrieri, ciascuno col proprio colore, con la propria materia? Un’antologia di storie, di cui quella degli scout alla fin fine era solo qualche pagina?»

«Che metaforone», dice Anita. «Io pensavo a un minestrone di verdure. Oppure a una parure di gioielli, sa, che son tutti diversi, uno va al polso, uno al collo e così via, ma poi tutti assieme brillano come un firmamento.» […]

Comunque: «Ci pensa?» sta dicendo Sebastiano. «Che arcobaleno. Abbiamo conosciuto una ribelle nel calcio, un ribelle nella pittura, un ribelle nella musica. Dei ribelli nelle normali faccende del commercio, poi i nostri ribelli scout… E mettiamoci che c’eravamo pure noi due, ribelli della stampa…»

«Sa cosa vuol dire, questo?» incalza Anita. Si guarda intorno, perché forse l’ha detto con un filo di entusiasmo di troppo, ma l’aia resta buia e silenziosa.

«Sì, vuol dire che non c’è un solo ambito sul quale il regime non abbia steso la sua mano», risponde Sebastiano lugubre. «Su tutto, hanno messo becco. Si dipinge questo e non quello, si suona e si ascolta questo e non quello. Persino su come incontrare gli amici e passare il tempo insieme, han deciso questo sì e questo no, e solo per il gusto di controllare e dominare. È una cosa semplicemente…»

«Ma vuol dire anche che non c’è un solo campo nel quale non si possa esser ribelli», lo interrompe Anita.

Eh già, ciò che più salta all’occhio, in questo più ancora che nei romanzi precedenti, è come il regime abbia esteso il suo potere su tutto, su tutti gli ambiti della vita: non più solo i libri da leggere, i film da vedere, i vestiti da indossare, ma persino le persone da incontrare, le occupazioni di ogni giornata, le cose a cui pensare e il modo di pensarle. Ma se tutto questo è vero, è vero anche ciò che dice Anita: il modo di ribellarsi c’è, ma bisogna fare attenzione, non bisogna farsi notare, non bisogna fare rumore e soprattutto, bisogna sempre guardarsi le spalle. Parlando di dettagli più ameni – ma comunque importanti – ho apprezzato molto l’evoluzione dei personaggi che è ormai chiara e definita: nel corso della serie Anita è cresciuta molto, è più centrata, assennata e consapevole di sé e del mondo in cui si muove, senza tuttavia perdere brio e naturalezza; Sebastiano è un po’ meno impomatato, un po’ meno spaventato e decisamente più disposto a sbottonarsi; Clara, Candida e Julian sono qui un po’ meno presenti, per forza di cose sono più in secondo piano rispetto alle altre storie, ma mantengono comunque il loro ruolo di sponde perfette e amici fidati su cui contare in ogni occasione. Anche la scrittura della Basso si è, in qualche modo, modificata consapevolmente: privato di certe ridondanze funzionali alla storia ma francamente un po’ stancanti, lo stile ha acquisito fluidità e quindi piacevolezza. Anzi, se posso dirlo, questo libro mi ha proprio divertita, molto più dei precedenti. Sono davvero curiosa, adesso, di scoprire come si evolveranno le vicende personali di Anita e Sebastiano… credo proprio che il prossimo sarà il libro della svolta decisiva. D’altronde, a Torino 1935, siamo quasi a dicembre… e noi che conosciamo Anita dal primo giallo, sappiamo tutti cosa succede a dicembre, no?

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Le aquile della notte
  • Editore: Garzanti
  • Autore: Alice Basso

Articolo protocollato da Rossella Lazzari

Lettrice compulsiva e pressoché onnivora, una laurea in un cassetto, il sogno di lavorare nell'editoria e magari, un giorno, di pubblicare. Amo la musica, le serate tra amici, mangiare e bere bene, cantare, le lingue straniere, i film impegnati e cervellotici, il confronto, la condivisione e tutto ciò che è comunicazione.

Rossella Lazzari ha scritto 168 articoli:

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