Appena pubblicato da Fazi, recensiamo oggi Le bambine dimenticate, romanzo di Sara Blædel con traduzione di Alessandro Storti.
Louise Rick è la direttrice tecnica del Servizio Investigativo Speciale, una squadra appena nata che si occupa dei casi di persone scomparse in Danimarca. Viene chiamata in seguito al ritrovamento di una donna morta per una caduta nel bosco che non è stata ancora riconosciuta. Il cadavere, oltre ad una lunga cicatrice sulla guancia destra, mostra segni di trascuratezza e di nessuna assistenza medica che fanno presupporre che la donna abbia vissuto in isolamento, eppure poco prima di morire ha avuto un rapporto sessuale.
A Louise viene affiancato Eik Nordstrøm; il primo incontro col collega non è dei migliori: Rick deve andare a raccattarlo in un bar dove lui ha passato la notte e lo porta, ancora ubriaco, al dipartimento di polizia. Ma, a parte una certa invadenza e l’accanito vizio di fumare sempre, Eik si rivela un bravo poliziotto e la protagonista lavora bene con lui. I problemi semmai nascono con Hanne, la segretaria del capo, che fa di tutto per renderle la vita difficile nel dipartimento senza nascondere l’antipatia nei suoi confronti.
Qualche giorno dopo, poco lontano dal luogo dell’incidente, viene rinvenuto un altro corpo. Questa volta si tratta sicuramente di omicidio: sono collegati i due casi o si tratta di una coincidenza? Intanto il primo cadavere viene identificato: si tratta di una donna che da bambina, negli anni sessanta, viveva a Eliselund, un centro per minori con disabilità mentali; era una dei tanti giovanissimi danesi che venivano affidati a quell’istituto da genitori che non avevano la forza o addirittura la voglia di badare a figli problematici. Sfogliando i documenti negli archivi Louise e Eik scoprono che la ragazza, Lise, aveva una gemella anch’essa ricoverata nel centro assistenziale. La cosa incredibile, però, è che entrambe risultano morte nel 1980. Come è possibile?
Avvenuto il riconoscimento il caso sarebbe ufficialmente risolto ed infatti il capo ordina loro di passare ad altro, ma Louise ed Eik non possono non farsi domande su quella vicenda: perché le due sorelle sono state dichiarate morte? Dove ha vissuto tutto questo tempo Lise? Perché nessuno ha denunciato la morte, quella vera avvenuta qualche giorno prima? E la sua gemella Mette è ancora viva? Il fatto che si tratti di persone affette da disabilità mentale rende ogni interrogativo più drammatico. I poliziotti si accorgeranno che in passato il killer si è macchiato di altri delitti e adesso che è ancora a piede libero e non identificato non sembra intenzionato a fermarsi. Le indagini, che si svolgono attorno al bosco, nei luoghi che Louise ha frequentato da giovane, le riportano alla mente persone e fatti del passato; in particolare, la poliziotta viene messa di fronte al suicidio del suo compagno di allora, Klaus, un trauma che lei pensava di aver metabolizzato ma che invece si ripresenta ora in tutto il suo dolore.
Il libro scorre molto bene e rientra in quelli che mi è già capitato di definire romanzi bien fait, dall’andamento classico descrittivo in terza persona, che imbastiscono i casi, i delitti e i personaggi su solide basi narrative. Il racconto coinvolge anche la vita privata di Louise: le pagine che parlano delle vicende fuori dal lavoro sono piacevoli e rendono bene l’idea di un personaggio che non si esaurisce nel mestiere che fa, anche se esso richiede una dedizione ed un dispendio di energie notevoli. Quando torna a casa, Louise può contare sul figlio adottivo Jonas, sul vecchio vicino di casa e compagno di cene Melvin e sulla sua amica Camilla in procinto di sposarsi. Attorno ai due terzi del libro è proprio quest’ultima ad emergere come personaggio: seguendone le azioni approfondiamo la conoscenza del suo carattere, che unisce la curiosità della giornalista ad un’impulsività al limite dell’irragionevolezza e rischia di rovinarle il rapporto col suo futuro sposo e con suo figlio. Col suo temperamento Camilla contribuirà a scoprire la verità sul passato di Eliselund.
Sara Blædel lascia che il flusso di informazioni e indizi arrivi ai poliziotti nei tempi e nelle modalità necessari, donando al racconto un ritmo naturale, come se il lettore stesse seguendo non una trama già impostata in precedenza ma qualcosa che si evolve sotto i suoi occhi.
Nessuna delle persone interrogate sembra coinvolta nei delitti o in quello che è successo all’istituto; la particolarità di questo thriller è che sino alla fine non presenta un vero e proprio cattivo, lasciando il lettore in sospeso ma allo stesso tempo non alzando mai davvero la tensione, e in alcuni punti l’autrice avrebbe potuto osare di più l’effetto espressionista. Certo che le cose che emergono sulle condizioni dei degenti di Eliselund non possono lasciare indifferenti, così come le descrizioni nel finale turbano l’immaginazione.
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- Blaedel, Sara (Autore)