Recensiamo oggi su Thriller Café Le cose di cui sono capace, il nuovo romanzo di Alessandro Zannoni da pochissimo uscito per Perdisa Pop.
Titolo: Le cose di cui sono capace
Autore: Alessandro Zannoni
Anno: 2011
Editore: Perdisa Pop
Trama in sintesi:
Lui si chiama Nick Corey, proprio come il protagonista di Colpo di spugna di Jim Thompson. All’anagrafe, però, il suo nome è Nicola Coretti: è lo sceriffo italo-americano della piccola cittadina texana di BakereedgePass e non è affatto uno stinco di santo.
Nick Corey odia la sua città, odia il deserto, odia le vacche e tutti gli americani. Odia pure suo padre, che l’ha costretto a fare quel lavoro, ma più di tutto odia i grattacapi che gli dà chi infrange la legge.
Nick bestemmia, beve e, per debellare la delinquenza, usa metodi assai bizzarri, oltre che assolutamente fuorilegge. Un giorno il suo amico Rudy gli chiede aiuto: ha perso una grossa somma al gioco e per questo sta rischiando la vita. Nick deve trovare una soluzione, ma trovarla non è per niente facile, anche perché tutto accade alla vigilia del grande rodeo, quando la città si riempie di cowboy ubriaconi e attaccabrighe che vengono da tutto lo Stato a creare disordini.
E poi, come se non bastasse, riappare anche Stella, la sua ex promessa sposa, appena uscita dalla galera…
Premetto che non sono malato d’esterofilia americana e soprattutto che non mi piace il noir d’oltreoceano (fatte le dovute eccezioni ovviamente), quindi ho iniziato a leggere “Le cose di cui sono capace” con la dovuta preconcetta antipatia, anche se la casa editrice presenta il libro di Zannoni come: “una ventata d’aria fresca nel contesto della narrativa italiana”, pertanto, da amante della letteratura del mio paese non potevo esimermi dal leggerlo ed ho guardato con simpatia alla premessa dell’autore: “fatte le dovute eccezioni, tipo Jim Thompson, John Fante e i fratelli Coen, in genere non sopporto gli americani”. Queste due righe mi hanno ben predisposto anche se fin dall’inizio il romanzo mi ha lasciato piuttosto perplesso, anzi l’ho anche trovato abbastanza volgare, e lo avrei francamente usato per accendere il barbecue (giacché siamo in America), ma ho continuato a leggerlo solo perché un prodotto targato Perdisa è sinonimo di serietà. Inoltre m’infastidiva anche il riferimento esplicito alla scrittura di Jim Thompson (una delle dovute eccezioni) e soprattutto al suo Colpo di spugna; poi all’improvviso “LA LUCE”, quella vera, ed ho iniziato a godermi il romanzo, anzi a divorarlo, infine sono andato a rileggermi il libro di Thompson ed ho potuto apprezzare meglio il notevole sforzo che ha fatto Zannoni nella sua ultima creazione.
Questa opera narrativa è, infatti, una spietata parodia del romanzo noir americano di frontiera, dove tutti i suoi classici ingredienti (puttane, alcool, pistole, amore e qualche morto ammazzato) sono derisi, infangati e stuprati in serissima veste e, al contempo, offerti come omaggio al grande Jim Thompson, e non solo a quello di Colpo di Spugna, ma andiamo con ordine.
Zannoni chiama il suo protagonista Nick Corey, proprio con lo stesso nome di quello di Colpo di spugna, anche se il suo Nick è un italo americano (Nicola Coretti all’anagrafe).
Entrambi i Nick sono sceriffi di una piccola cittadina Texana (Potts County per Thompson e BakereedgePass per Zannoni, per l’esattezza “cittadina sperduta in culo al bisonte”) e sono dei veri bastardi, sadici e folli. Feroci e sprezzanti. Capaci di sapersi abbandonare alla forza bruta, all’abuso incondizionato del potere ed all’omicidio se qualcuno osa intromettersi o intralciare i loro piani: Spengo tutto in un colpo solo, ‘sta storia è durata anche troppo. Col calcio della pistola gli assesto un colpo alla tempia…. Stringo la lingua tra i denti, mi accuccio su di lui e gliene fiacco un altro nello stesso punto – Stok – e ci metto parecchia forza per essere sicuro del risultato . Mi sembra abbastanza fuori uso, e magari è già bell’e morto, però gliene mollo un altro e sento un bel crack…(Zannoni) A tal proposito è anche osservabile un’altra analogia con l’opera di Thompson e precisamente con lo sceriffo Lou Ford di “The Killer Inside Me” (L’assassino che è in me), anch’esso senza scrupoli quando si tratta di sbarazzarsi del prossimo. E un’altra analogia, da intendersi decisamente come omaggio di Zannoni al maestro americano, la si trova nel capolavoro “After Dark, My Sweet” (E’ già buio dolcezza) dove il suo protagonista Willie Kid Collins si abbandona con cedevole delicatezza e lealtà emozionante, alla ricerca dell’amore e consolazione. Così fa il nostro Nick di Zannoni. Si abbandona. Pensa a Stella … perché quella cazzo di donna non sono mica riuscito a togliermela dalla testa, maledetto me, anche se mi ha divelto e spaccato in due, anche se mi ha trattato come una merda e lasciato solo in balia del niente e senza una spiegazione, né un motivo… Se Stella fosse tornata a cercarmi e a chiedermi di riprenderla in casa, avrei dato un colpo di spugna e cancellato tutto, per poter tornare a sorridere, pur avendo la certezza di un futuro incerto. Più analogie di queste… ah! dimenticavo anche lo sforzo di Zannoni nel cadere nel grottesco così come Thompson in Getaway.
Qualche differenza fra il nostro Nick e quello americano forse è solo trovabile nell’astuzia maggiore del secondo, che per raggiungere i suoi obiettivi preferisce passare sempre per sempliciotto e stupido, mentre il Nick di Zannoni è forte e temuto, ma entrambi sono più che determinati, violenti, schizzati, dediti all’alcool e soprattutto cattivi. Non scordiamoci che a Thompson si deve l’invenzione narrativa del tutore della legge, sadico e folle.
L’altra sfida che Zannoni ha dovuto affrontare riguardava il linguaggio con cui mettere nero su bianco tutta la sua storia, partendo dall’obbligo di una rigorosa narrazione in prima persona. Sfida, questa, vinta con gran facilità, anche se s’intuisce perfettamente lo sforzo dello scrittore per adattarsi alla comunicativa del maestro americano, e badate, che non era solo una questione d’adattamento al linguaggio Cristodidio, ma d’entrare in tutti quei meccanismi psicologici della narrazione stessa per arrivare ad un risultato finale scorrevole nella trama, preciso nella caratterizzazione dei personaggi, e soprattutto efficace nei dialoghi conditi anche di humour nero, perché il linguaggio è fondamentale per entrare nell’essenza stessa del noir di frontiera americano, fatto di piccoli inferni in una terra spietata. Questa parodia critica ed esagerata del linguaggio espresso ne Le cose di cui sono capace, colloca apertamente il romanzo non più in uno spaccato di letteratura americana, ma in un pulp/noir italiano di alto livello.
Suggerirei ad Alessandro, visto che ha già usato uno pseudonimo (Michelangelo Merisi), di confezionare una grande bufala per i nostri amici lettori italiani convinti delle maggiori capacità degli scrittori americani e perché no? anche per gli stessi americani: Scrivi un bel romanzo come questo che hai appena finito e dallo in pasto con un tuo pseudonimo americano tipo John Peter Ford, oppure lancialo come un capolavoro ritrovato e inedito di Jim Thompson. Confeziona una bella bufala alla Max Aub, così forse qualcuno, se non molti, potrebbero capire quanti fenomeni letterari inutili d’oltralpe stanno invadendo i nostri supermarket della cultura e magari esportiamolo facendo credere che sia un loro inutile prodotto nazionale. L’idea te l’ho data, a te perfezionarla, ma a condizione di regalarci un altro buon libro come quest’ultimo e credo proprio che è una cosa di cui sei capace.
Del libro è possibile leggere il primo capitolo sul sito dell’editore.
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