L’autore di Isabel vuole stupire ancora, con un nuovo giallo storico.
Scorre leggero e maestoso come le verdi campagne d’Irlanda il nuovo libro di John Banville, vincitore nel 2005 del Booker Prize con il suo capolavoro “Il mare”. Sullo sfondo, come da tradizione per l’autore, un dettagliato e vivido affresco storico, che inquadra in questo caso l’Irlanda del 1940, che sceglie la neutralità nel secondo conflitto mondiale.
I bombardamenti su Londra infuriano, mentre Hitler dilaga nel continente: gli Alleati sono messi a dura prova e c’è chi, dopo Dunkerque, immagina perfino la possibilità di un’invasione dell’Inghilterra da parte della Wehrmacht.
La famiglia reale decide, per manifestare un messaggio di coraggiosa fierezza, di non abbandonare Windsor, nonostante il rischio che questo comporta. Re Giorgio e la sua consorte però, nel racconto di Banville, decidono di mettere in salvo le figlie, in caso che il peggio accada, inviandole in Irlanda.
La residenza della giovane Elisabetta (destinata poi a un regno che dal 9 settembre 2015 è diventato il più lungo della storia britannica) e della sorella minore Margaret sarà, nel romanzo, per qualche tempo, la dimora del duca di Edermore, lontano parente dei reali inglesi.
Il trasferimento, naturalmente, è della massima segretezza, dati i rischi che comporta per le giovani principesse e per le relazioni diplomatiche tra Regno Unito e Irlanda, ancora appese a un filo, dopo i sedici lunghi anni del periodo rivoluzionario irlandese, dal 1911 al 1927.
Ne è prova il fatto che l’astuto diplomatico inglese Lascelles debba mostrarsi disponibile a generose concessioni commerciali, sia a livello nazionale (nei confronti del governo irlandese), sia a livello personale (nei confronti del duca), affinché la richiesta britannica di ospitare le giovani principesse in terra d’Irlanda sia accolta.
Elizabeth e Margaret, comunque, comunque, saranno scortate: tanto da una giovane e affascinante agente del MI5, di nome Celia Nashe, quanto da un poliziotto irlandese di confessione protestante (e, si presume, tanto per questo quanto per ragioni familiari, più vicino agli inglesi) di nome Strafford.
Come in ogni romanzo storico di valore (e “Le ospiti segrete” è innanzitutto questo, prima di colorarsi di giallo e di strizzare l’occhio al thriller) si fatica a individuare un vero e proprio protagonista della vicenda.
Le figure delle giovani principesse sono, naturalmente, centrali, ma giocano un ruolo inizialmente insospettabile anche Lascelles, Nashe, e soprattutto Strafford, che si staglierà pagina dopo pagina come una figura certo sui generis, carica di idiosincrasie, ma a suo modo solida, dalla forte personalità.
“Le ospiti segrete” però, è anche, se non soprattutto, la storia di Billy Denton: non un giovane principe, ma un orfano delle guerre d’Irlanda. Un uomo dal volto di ragazzo: cresciuto molto, troppo in fretta. La sua figura si muove in penombra, rappresentando forse una giovane nazione ancora ferita e orgogliosa, ma con la voglia di voltare pagina, di superare il passato e rivolgersi al futuro.
Purtroppo però, la notizia del trasferimento delle due principesse è troppo ghiotta per rimanere a lungo segreta, specie in un periodo in cui le tensioni politiche (interne ed esterne a ciascuna nazione) sono così forti, anche per chi si professa neutrale.
La novità scivola di bocca in bocca e, da pettegolezzo, si trasforma in pericolo, e infine in violenza: nel rischio di un rapimento, nella tragedia di morti violente che, forse, si sarebbero potute evitare. Ma è la guerra, e le guerre come ricordava Georges Wilson nei panni del prof. Bonafè ne “Il federale”, le perdono tutti. Anche, se non soprattutto, chi come Billy trova il coraggio di scelte difficili e dolorose.
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