Cate (Catherine) Quinn vive a Brighton in Inghilterra e scrive di viaggi e costume per il “Times”, il “Guardian” e il “Mirror”. Dopo aver pubblicato diversi romanzi storici si è cimentata anche con il genere giallo. Le tre vedove (Einaudi, 2021), che ora recensisco per voi, è quindi il suo primo romanzo di genere.
Blake Nelson è cresciuto nella Chiesa dei Santi dell’Ultimo Giorno, una corrente di quella Mormone, e pur sposandone tutti i principi e le ritualità non osserva, come i suoi fratelli in fede, il divieto di poligamia. Acquista pertanto un ranch, una vecchia tenuta di pochi ettari, situato in una landa desolata dello Utah e ci va a vivere con Rachel, la sua prima moglie conosciuta al college. Rachel incarna perfettamente il ruolo dell’ottima moglie mormone. Cura in ogni dettaglio la casa e inscatola quotidianamente cibo da loro prodotto perché secondo le usanze dei mormoni ogni famiglia deve rendersi autosufficiente, per almeno un anno, in vista di eventuali disastri e/o apocalissi. Per lei essere una buona mormone non era, però, abbastanza doveva essere la migliore di tutte per cui accetta (ma lo ha poi veramente accettato?) che Blake portasse a casa la seconda moglie: Emily. Emily, al contrario di Rachel, è cittadina perché è di Salt Lake City ed è giovanissima. La sua personalità si rivela subito all’opposto di quella della prima moglie in quanto insicura, con comportamenti infantili e incapace di prendere decisioni in autonomia.
Ben presto, però, la famiglia si allarga perché Blake porterà a casa Tina, la terza moglie. Ed eccoci di fronte ad un’altra personalità infatti Tina, che Blake ha conosciuto quando faceva il volontario in un centro di disintossicazione, è a differenza delle altre sensuale, provocante e ha un passato di tossicodipendenza e prostituzione.
Il ménage familiare si ripete ogni giorno con le stesse ritualità e con l’attesa delle tre donne, che mal si sopportano a vicenda, dell’arrivo dal lavoro del loro comune marito per scoprire a quale delle tre sarà destinata la camera matrimoniale.
Ma quando il cadavere di Blake Nelson viene ritrovato sotto il sole del deserto strangolato con la sua stessa cinghia dei pantaloni e con alcune dita della mano amputate (tra cui quella in cui portava la fede nuziale) i sospetti della polizia ricadono subito sulle tre vedove. Ma quale delle tre? L’obbediente e sottomessa Rachel, l’infantile e apparentemente innocente Emily o la ribelle e scafata Tina?
Quando Rachel, Tina ed Emily vengono interrogate dalla polizia incomincerà un sottile gioco di “detto e non detto”, di rivelazioni subito smentite, di accuse reciproche neanche tanto velate, di alibi non verificabili che metterà in seria difficoltà i poliziotti assegnati all’indagine…
Ma chi era veramente Blake Nelson? Quale oscura verità nascondeva?
«Signora Nelson? Alzo lo sguardo, con il coltello in mano. Devo apparire strana a questi agenti di città, nel mio vestito lungo a fiorellini, con le maniche lunghe e le spalline e abbottonato dal collo alle caviglie, e con i capelli biondi intrecciati dietro la schiena. Asciugo l’amido di patata dalla lama e poso il coltello. Quale signora Nelson desidera, scusi?»
Questo brano, tratto dal primo capitolo de Le tre vedove, ci catapulta immediatamente nel mood del libro, nelle sue atmosfere e ambientazioni e nella “vita” di queste tre donne, ora vedove Nelson.
Cate Quinn esordisce nel genere thriller con questo romanzo dalla trama originale e lo fa con una narrazione in prima persona che alterna, capitolo dopo capitolo, la voce delle tre donne. Tutto il racconto quindi, l’analisi psicologica delle tre mogli, del loro defunto marito è filtrata ora dal punto di vista di Rachel, la prima moglie, ora di Emily, la seconda moglie, ora di Tina, la terza. Lo scavare lento nel passato di Blake e in quello delle tre donne, insieme a indizi disseminati qua e là, riporterà a galla particolari che un po’ alla volta ci permetteranno di costruire un quadro generale piuttosto torbido e inquietante fatto di abusi sessuali anche su minori, violenze, manipolazioni e sette religiose.
Devo confessare: ho trovato la lettura piuttosto faticosa. In più momenti, infatti, la narrazione viene reiterata in continuazione per aggiungere minimi dettagli (a volte anche piuttosto stucchevoli) o per cambiare l’angolazione del punto di vista creando però, a mio avviso, anziché chiarezza un po’ di confusione.
A tal proposito cito alcune righe della postfazione al libro: «Ringrazio Francine Brody nel Regno Unito e Diane Dannenfeldt negli Stati Uniti, per aver portato ordine nel caos con la loro revisione.» e aggiungerei, un po’ malignamente: «non oso immaginare come si presentava il libro prima di questo “ordine”».
Ti è piaciuto l'articolo? Iscriviti alla newsletter
Inserisci la tua email e riceverai comodamente tutti i nostri aggiornamenti con le novità, le anticipazioni e molto altro.