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Dicembre 1937. Durante una breve licenza nell’afosa Massaua, il maggiore Aldo Morosini del PAI (Polizia dell’Africa Italiana) viene informato dell’omicidio di una domestica eritrea, Samya. La donna, che lavorava da anni presso la ricca famiglia di imprenditori valdesi Bouchard, è stata ritrovata accoltellata e sgozzata in un vicolo.
Morosini immagina di occuparsene al suo ritorno ad Asmara, alla fine della licenza, ma il colonnello Delle Piane lo richiama al dovere: il governatore, vista l’importanza dei Bouchard, vuole che il delitto venga risolto al più presto.
Il caso si rivelerà più complicato del previsto perché della donna si sa poco o nulla: ha quarant’anni, è illibata, è molto religiosa e non esce quasi mai di casa se non per compere o per recarsi alla chiesa copta.
«La vittima del misterioso omicidio sul quale stavo indagando sembrava quasi un fantasma, un’entità dai contorni indefiniti che aveva attraversato una quarantina d’anni di vita senza lasciar tangibili tracce di sé alle spalle. Eppure qualcosa di concreto doveva pur esserci stato nella quotidianità di quella donna.»
Ben presto, lo scenario si complica ulteriormente perché anche la capofamiglia Maria Elena Bouchard viene assassinata.
A questo punto, il maggiore Morosini (insieme ai fedeli Barbagallo e Tesfaghì) inizia a supporre che i decessi siano collegati e che per far luce sulla verità bisogna indagare più a fondo sui misteri e i complicati segreti famigliari dei Bouchard.
«Sai che cosa scriveva Seneca quasi duemila anni fa? ‘Nessuno versa il sangue di un altro per il gusto di uccidere, o almeno pochi. La maggior parte agisce più per calcolo che per odio.’»
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Siamo ormai giunti alla settima indagine del maggiore Aldo Morosini. Ci troviamo alla vigilia di Natale del 1937 e Asmara si sta preparando per la visita del duca d’Aosta, nuovo viceré d’Etiopia.
Amo molto Morosini sia per il suo essere compassato, rigoroso e malinconico come il suo tanto amato Seneca, sia per il suo essere un bon vivant e per quella parte sua più fragile che lo porta spesso in conflitto tra l’amore (in realtà un po’ a distanza) per la spia tedesca Erika Hagen e l’ardente passione per Lucilla Santacroce.
In realtà, a funzionare come un congegno a orologeria è il trio: Morosini, Barbagallo e Tesfaghì. Questo perché il rigore del primo, il senso pratico del secondo e il legame con il territorio (insieme a guizzi intuitivi) del terzo li porta sempre a sbrogliare matasse complicate e risolvere casi che spesso sembrano non avere né capo né coda.
In L’equivoco del sangue, Ballario affronta il fenomeno del madamato consistente nella convivenza tra coloni italiani e donne indigene, che sebbene proibita dalla legge era comunemente praticata. Nonostante le proibizioni del regime fascista, queste relazioni erano tollerate seppure queste famiglie alternative, generando figli non sempre riconosciuti, potevano determinare tensioni morali, economiche e affettive.
Giorgio Ballario, come sempre, non si limita a raccontarci una vicenda intrigante scritta in modo impeccabile, ma ci regala un “mondo” affascinante fatto di paesaggi incantevoli, vie storiche, usanze, cibi, musiche e film d’epoca.
Da ottimo noirista qual è, Ballario non lascia nulla al caso e quindi ogni situazione e ogni evento narrato sono frutto di un’accurata e meticolosa documentazione sul periodo storico, sociale e politico dell’epoca.
In conclusione, L’equivoco del sangue non è solo un noir avvincente che tiene incollati i lettori dalla prima all’ultima pagina, ma offre anche uno spunto di riflessione sulle complesse relazioni coloniali e sulle loro inevitabili conseguenze.
Consigliatissimo.
Giorgio Ballario (Torino, 1964) è un giornalista e scrittore di gialli e noir. Collabora con La Stampa e ha pubblicato la serie del maggiore Aldo Morosini per Edizioni del Capricorno. Ha vinto il Premio Archè Anguillara Sabazia (2010) e il Premio GialloLatino (2013). Finalista al Premio Acqui Storia, è presidente di Torinoir, direttore del Festival Bardonoir e co-fondatore della scuola di scrittura Distretto 011.
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- Ballario, Giorgio(Autore)