Dobbiamo avere pazienza con gli anziani e voler bene ai nostri nonni – è ciò che ci è sempre stato detto, il mantra con cui siamo cresciuti.
L’estate che ho ucciso mio nonno” di Giulia Lombezzi, Bollati Boringhieri Editore, è un libro che parla di famiglia scardinando alla base questo assunto.

“Corteggiare il pensiero della sua morte in qualche modo mi placa”.

Alice, 16 anni, vive con la mamma Marta, che è separata: il loro rapporto – due donne sole – è un legame forte ed una alleanza serena, che si incrina quando irrompe in casa Andrea, il Nonno (con la maiuscola), che ora, vedovo e reduce da un intervento all’anca, necessita di essere accudito.
E’ un uomo burbero, acciaccato, insofferente, abituato a comandare – ed ancora riesce a piegare Marta ai suoi dispotici ordini, impartiti con tono minaccioso e prepotente.

“Dovrei volergli bene.
Vorrei volergli bene ed essere dolce.
E nasconderla meglio, la paura”.

E Marta esegue: donna libera, lei che è un’artista solare, ancora oggi a 55 anni subisce il potere del padre e si piega a servirlo annullandosi completamente.
Alice non può che assistere giorno per giorno allo sgretolarsi della personalità allegra e forte della madre, che diviene sempre più insicura, assente nel rapporto con la figlia, addirittutra pallida ed emaciata perché non mangia.

Perché Marta è del tutto asservita all’ospite di casa?
Mentre Alice arriva a non riconoscere più quella donna (ora nervosa, distante) piano piano sente crescere in sè la rabbia per aver “perso” la figura della madre ed il suo quotidiano sostegno, non capendo questo nuovo comportamento.

Il padre malato vine prima di tutto.  
Prima della figlia adolescente.  
Prima di se stessa.

“Quindi ora lo faccio.
Mamma, ora ti libero”.

Alice, spinta da puro odio per il Nonno – con il quale non ha affatto quel rapporto affettuoso che ci viene inculcato fin da piccoli – si convince che l’unico modo per “riavere indietro” la sua mamma è ucciderlo; ed a poco a poco, complice Manuela (la cugina di Marta, un tiro alla fune fra tempo e botox), scopre il passato, i dolori e le privazioni a cui Marta è stata costretta dal padre, reputando che solo la morte del Nonno potrà salvare la situazione.

“Mamma è la principessa.
Nonno è il drago.
E secondo questa distribuzione delle parti,
mi sa che il principe sono io”.

E’ forse la prima volta che scopriamo una così controversa “nonnitudine” (e con questo neologismo strizzo l’occhio ad Alice – ed all’autrice – che fra le pagine conia con i propri amici un’esilerante serie di nuovi termini sui quali l’Accademia della Crusca non potrà soprassedere): non c’è possibilità alcuna per il lettore di farsi piacere il Nonno, di schierarsi dalla sua parte e pensare che sia giusto salvarlo perché le sofferenze a cui ha costretto Marta, il comportamento che lui ha ora in casa, l’irresistibile “galleria delle badanti” che puntualmente rinuncia all’incarico (o viene cacciata per i comportamenti “illeciti” messi in atto con l’anziano) sono tutte armi che fanno tifare per Alice.

“Nonno ha invecchiato tutti.
Ha scheletrito mamma, ingrigito la casa e seccato le piante”.

Mentre l’adolescente medita e si attrezza per compiere l’omicidio, Giulia Lombezzi parla di colpe dei genitori e delle ricadute che hanno sui figli, di famiglie che si disgregano, ma anche di coraggio e desiderio di salvarsi.
Lo stile narrativo è sempre ironico, graffianti sono le riflessioni della giovane omicida che è pronta a sacrificare se stessa per salvare la madre.
Indagando sul passato dolorosissimo di Marta, Alice raccoglie sempre più armi al proprio arco che la convincono che il Nonno non merita di vivere né di essere ancora servito senza posa.  
Alice scopre che l’uomo che vive ora in casa con lei è un estraneo crudele, che con comportamenti determinati e marci ha distrutto i sogni di Marta ed il suo futuro di studentessa universitaria.

La battaglia che Alice compie contro il drago sarà ancora più dolorosa perchè inaspettatamente è proprio Marta a mettersi di traverso, a volere tornare a servire il padre giustificandone l’atteggiamento dominante: il patriarcato ed i suoi connotati più oscuri sono il mondo in cui è cresciuta, e può essere solo la nuova generazione (Alice) ad aprirle gli occhi sul male che ha prodotto.

La rabbia pericolosa di Alice getta luce sulle imperfezioni e le contraddizioni della sua famiglia; quando Alice si ribella, manda tutto in cortocicuito, coinvolgendo infine anche il proprio padre nel tentativo di salvare Marta e sconfiggere il drago.

L’autrice costringe il lettore a riflettere sui comportamenti manipolatori che si attuano in famiglia, talvolta sfociando anche in violenza.
Alice in primis vive sul proprio corpo i dolori a cui non riesce a far fronte – prima cercando sollievo nel cibo, poi attuando atti di autolesionismo per punirsi.

“Forse è anche per questo che ingrasso tanto.
Per provare a tornare visibile”.

“L’estate che ho ucciso mio nonno” è una storia molto forte ed amara di dolore represso e segreti, e di rapporti familiari complicati; l’autrice porta il lettore nella mente della sua protagonista, quando programma l’omicidio del Nonno e soffre per il suo atteggiamento verbale e fisico violento nei confronti di Marta.
Inoltre conduce il lettore a riflettere sulle difficoltà che il passaggio dall’adolescenza all’età adulta comporta, e su cosa significhi essere responsabili di ciò che si compie.

La sua scrittura concreta, il cui ritmo è dettato da tanti vividi dialoghi, è uno dei punti di forza del romanzo, il cui elemento chiave è l’atteggiamento ironico di Alice.

“Veramente vuoi ridurre la tua esistenza a occuparti degli altri?
Ma in cambio di cosa?
Pensi ci sia un paradiso?
Confidi in un qualche credito, per la tua attuale infelicità?
Credi in una vita dopo la morte?
Io no, mamma.
Io credo alla vita prima della morte.
L’unica che abbiamo”.

Giulia Lombezzi, milanese, classe 1987 è autrice e regista teatrale.
Il suo primo romanzo “La sostanza instabile”, Giulio Perrone Editore 2021, è stato finalista al Premio Calvino. “L’estate che ho ucciso mio nonno” è il suo secondo romanzo.

Recensione di Federica Cervini.

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L'estate che ho ucciso mio nonno
  • Lombezzi, Giulia(Autore)

Articolo protocollato da Federica Cervini

Classe 1972, mamma lavoratrice curiosa ed infaticabile, sono laureata in Filosofia indirizzo Psicologico e da che ne ho memoria sono innamorata dei libri: non esco mai di casa senza un romanzo nello zaino. La mia parola d’ordine, mutuata da “Wonder” di R.J. Palacio, è: “Quando ti viene data la possibilità di scegliere se avere ragione o essere gentile, scegli di essere gentile”.

Federica Cervini ha scritto 9 articoli: