In copertina una delle ormai famose mani che Giunti sta utilizzando efficacemente ad immagine allusiva delle trame thriller. La postura è potentemente simbolica: l’arto è proteso verso l’alto, come ad invocare, ma la mano è salda, dritta, non ha cedimenti. Non sta implorando, ma accusando e pretendendo. Cosa? Sta ad Angelo Longoni offrire spiegazioni in questa sua storia potente, abitata da figure originali anche se in qualche modo riplasmate su modelli che riecheggiano altro.
Non un solo protagonista, ma svariati, e la molteplicità di essi è enfatizzata dalla suddivisione dei capitoli in soggettiva, dove tutti parlano in prima persona ma la voce narrante cambia ogni volta. Parla Franco, l’ex star televisiva, noto e beneamato dal pubblico che in lui riconosce (e confonde) il personaggio del commissario che ha interpretato a lungo ma ora è stato stroncato dai produttori; poi parla Daniele, che di quella serie è stato il regista, ma si è ammalato gravemente ed ora lotta per la sopravvivenza; poi parla Elena, la moglie oblativa e forte nel sostenerlo e altrettanto tenera con le figlie a cui alleviare la comune sofferenza per Daniele; poi è la volta di Beppe e Giulia, anziani genitori che assistono- l’uno con struggimento e l’altra con livore- al funerale del matrimonio di Franco e quindi alla inevitabile dipartita dalla loro quotidianità della adorata nipotina.
E poi ci sono gli altri: quel gruppo di persone belle, in forma, eleganti, organizzatissime, che piombano nella loro vita quasi per caso, o per miracolo, e la stravolgono in una sciarada continua di azioni, reazioni, inseguimenti, stragi, sangue, soldi, paura, adrenalina. In una parola, vita.
La scaturigine di questa esplosione di avventure mozzafiato è, come spesso accade, un evento banale: l’anziano Beppe viene investito da un buzzurro che non gli presta neppure soccorso ma lui riesce ad annotarne qualche dato da cui il figlio Franco potrà identificare dove ritrovarlo e ottenerne almeno la constatazione amichevole del sinistro. Ma lì l’uomo non c’è, o meglio, non è in grado di firmare nulla. In compenso l’ex commissario Cardone, e il suo regista che lo ha accompagnato, troveranno una montagna di soldi e l’inizio di una girandola di emozioni.
Ecco la chiamata all’avventura: due uomini in bilico sull’orlo del proprio fallimento esistenziale – l’uno per ragioni di salute e l’altro di coniugio ormai agli sgoccioli- acciuffati da un rovesciamento di ruoli, inghiottiti da una spirale di eventi trascinante come un tifone, che si riscoprono non solo forti e determinati, ma addirittura violenti, rudi, senza remore.
Si chiederanno a lungo chi siano Nina, Carlo, la algida Monica e tutte le altre figure apparse dal nulla che, silenziosamente ma con un’efficienza sbalorditiva, salvano, nascondono, confortano e uccidono. Poi fanno pulizia.
Angelo Longoni scrive da sempre per teatro, televisione ed editoria. Ha una penna sceneggiante, che dipinge persone ed azioni come montandone i migliori fotogrammi dopo un ciak. Ci ha donato un romanzo ponderalmente importante, ma che si legge davvero bene, senza sforzo. È un autore che non vuole primeggiare sui suoi spettatori/lettori, ma accompagnarli, sequenza dopo sequenza, in una storia trucida e profumata, che evoca Lo chiamavano Jeeg Robot e Romanzo Criminale, ma strizza l’occhio a Dan Brown.
Un grazie sentito all’editore, che ci ha regalato un’altra magistrale squadra di Giunti-zieri, di cui prevedo presto di leggere il seguito.
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