Sull’onda del gradimento di The Nest e di A Classic Horror Story, film realizzati dalle penne incrociate di Besana e De Feo, esce in libreria questo romanzo che risulta curioso sin dalle fattezze: copertina rigida, costa rossa. In copertina un’immagine da graphic novel distinta cromaticamente: in basso, sfondo blu, i piedi di almeno quattro persone, sicuramente giovani, ma ambiguamente calzati in modo identico. Che siano in divisa? La parte alta, di un acceso color red clay, mostra quattro ragazzi di varia età, dal volto in ombra, in giacca e cravattino (allora sono proprio irregimentati!) e dietro di loro, accese come a festa, le ogive delle finestre di un maniero.
Questa è la storia di Miriam, Matteo, Kevin ed Erica. Quattro giovani disadattati, che non riescono a trovare posto nel mondo, continuamente stimolati dai ricordi di un castello dove sentono di aver vissuto. E vogliono tornare. Un Professore (personaggio sempre più ricorrente nelle narrazioni attuali), forse per riprendersi da un tonfo mediatico che lo ha messo alla berlina del mondo scientifico, intuisce le potenzialità immense di un progetto che, non solo li riunisca, ma li riporti lì, a Vona.
Appena vi arrivano, i quattro iniziano a ricordare maggiori dettagli, altri volti, situazioni comuni, e il ritrovare alcuni oggetti posseduti nel passato li sdogana dal presente a cent’anni prima, quando stavano in quelle stesse stanze, tetre e colme di mistero, solo che si chiamavano Chiara, Ennio, Gabriele e Irina.
Questo romanzo è un horror.
Non andate via, aspettate un attimo, ne vale la pena.
È vero, qui si parla di gialli, di noir e di thriller. E’ la missione di Thriller Cafe. Ma leggere questo libro, e incontrare Lucio a Risolto Giallo (potete rivedere la puntata qui), ha convinto persino una purista come me che non solo le contaminazioni fanno bene, ma che questa, il meltin’pot tra generi apparentemente diversi, produce un’amalgama avvincente. La suspence li accomuna, il mistero da svelare anche. Ci sono anche i topoi della ferita esistenziale nei personaggi e qui persino l’enigma della stanza chiusa, visto che ben poche sono le scene ambientate fuori dal castello.
Ma merita. Davvero. Anche solo per cultura personale, per allargare la visuale, per sperimentare paradigmi e ventagli narrativi diversi, a tratti molto scomodi, come fronteggiare la paura. Perché – come ricordava proprio il maestro King – l’horror ci riporta allo status di uomo preistorico, seduto in gruppo attorno al fuoco, che scruta le tenebre temendo ne esca una belva. Solo che, con un libro del genere in mano, le fiere escono dalla nostra testa, messa a confronto con le parti più raccapriccianti, meno rassicuranti del fantastico.
E se converrete con me che sia una sperimentazione da – quanto meno- tentare, allora forse vi pungerà vaghezza di leggere anche le Storie della serie cremisi di Lucio Besana, che è un’antologia di racconti weird – ove per esso si intende un genere che mette in discussione il nostro rapporto con la realtà e indaga sul senso di angoscia e sconcerto nati dal capirci inferiori a qualcosa di immensamente più grande (il cosmo, la realtà), che non conosciamo, non vediamo o non vogliamo vedere.
L’horror e il weird sono generi che hanno conosciuto penne raffinate come Edgar Allan Poe, H.P. Lovecraft e, più recentemente, Stephen King (i cui romanzi erano esposti a Santa maria Novella a fianco a questo, visto coi miei occhi, con gran sollucchero di Besana). Ma ancora ritenuti di nicchia, di una fetta popolare che – mentre non esita a vedere al cinema film del genere – fa fatica in libreria, forse anche perché “bisogna sapere in quali cripte scendere” per trovare questa letteratura (cito Lucio, che non solo ha una scrittura immaginifica, ma anche un modo di esprimersi a voce molto autorevole).
E se da queste brevi note avrete tratto un’immagine di Besana oscura, tetra, mugugnante e lungagnona, sappiate che di persona è tutt’altro. È un ragazzo certamente nero vestito, ma capace di esplodere in risate cristalline quando lo si punzecchia (oh, come ama i vocaboli tipo aracnoide, uncinato, frattale il Lucio…) o di tratteggiare vignette tenerissime quando descrive se stesso, piccolo, col naso schiacciato sulla vetrina della videoteca, a sognare sulla trama di un film horror di cui contemplava la locandina senza avere il permesso dei genitori ad entrare al cinema.
In fondo, poi, a dirla tutta, l’Innocenza del buio ha anche un finale luminoso, dove tutti hanno l’opportunità di imparare dagli errori e la coscienza umana può sopravvivere alla morte.
Buoni jump-scares, con Lucio, Roberto e i quattro ragazzini del castello di Vona.
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