Per gli amanti dei thriller scuola Harris, oggi su ThrillerCafé recensiamo L’ombra, fragoroso esordio di Cody McFadyen, qualche anno fa.
Titolo: L’ombra
Autore: Cody McFadyen
Editore: Piemme
Traduttore: Alfredo Colitto
Anno di pubblicazione: 2006
Pagine: 395
Trama in sintesi:
Smoky non può dimenticare quella notte. L’orrore l’ha segnata con tratti indelebili e i incubi continuano a riaccenderne il ricordo. Tutto quanto amava è morto. Suo marito, sua figlia. E dopo averle tagliato l’anima, la lama che l’assassino ha usato si è accanita sul suo volto, donandole una maschera che ora non può più togliere. L’agente speciale Smoky Barrett ancora non è in grado di tornare al suo lavoro nell’FBI, non riesce a impugnare di nuovo la pistola. Necessita di tempo Ma un nuovo killer accelera le cose: lui ha bisogno di confrontarsi con lei, il miglior avversario possibile. E sa che per farla tornare in caccia deve ferirla ancora, fare del male alle persone a cui vuole bene. Allora, la sfida sarà finalmente aperta.
Uno dei tanti thriller che prevedono un feroce serial killer all’opera, L’ombra si fa notare tra la massa sicuramente per un inizio affatto soft. A narrare è una protagonista sfigurata, che ha visto morire la sua famiglia, ha trovato la forza per uccidere l’assassino, e adesso è incerta se tornare a dare la caccia ai mostri, o abbandonarsi alla depressione e suicidarsi. McFadyen non dà certo il tempo al lettore di abituarsi a escalation (prefigurabili) di orrore e tasso di gore, ma colpisce duro fin dalle prime pagine, continuando poi nel corso del romanzo sulla stessa linea rossa, incisa col bisturi, netta, diritta senza esitazioni. Ma benché le descrizioni in più punti siano molto forti, l’autore non cade nell’errore di giocare al rialzo a ogni delitto, scordandosi del resto e puntando soltanto a inorridire sempre più. McFadyen si mostra capace anche di addentrarsi nell’accidentato campo del sentimento, indugiando su toni melensi e attrattori di empatia non più del dovuto. Utilizza bene gli elementi tipici del genere, pagando un ovvio tributo alle sue pietre miliari (Drago rosso su tutti), e alla fine confeziona un’opera in cui, nonostante i tratti di originalità siano pochi e il serial killer individuabile molto presto, i tasselli sono collocati tutti al posto giusto, il ritmo è sempre alto e la lettura avanza con grande facilità. All’epoca della pubblicazione del romanzo si parlò molto e con toni entusiastici, ma, un po’ come è accaduto a Il suggeritore di Carrisi recentemente, ai giudizi positivi si contrapposero molte voci fuori dal coro. Il mio parere tardivo è piuttosto semplice: L’ombra non è di sicuro un capolavoro, tuttavia resta un libro superiore alla media se collocato tra altri dello stesso tipo. In generale, mi sento di consigliarlo.
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