Qual è la perfetta combinazione per un thriller mozzafiato, quali i trucchi per garantirsi l’attenzione del lettore fino all’ultima di oltre 400 pagine?
Se incontri Giulia Nebbia, in una sera d’estate, appena arrivata da Londra – dove si è trasferita dopo anni vissuti a Singapore – non ti viene da porle queste domande. Magari ti viene più spontaneo chiederle di favole per l’infanzia, dato che lei di bimbe ne ha ben due e sembra lei stessa un Peter pan, così esile e fanciullesca, mentre ti sorride anche con gli occhioni.
Invece London blood, suo romanzo di esordio pubblicato da SEM, è un romanzo breathless, giocato a colpi di scena, con una scrittura ritmata come il battere di un cuore tachicardico.
Lo scenario è per l’appunto Londra, tra Fulham, il parco Christian palace dei dinosauri di gesso e la periferia, che dilaga umida e deviante dopo il ponte di Hammersmith, e la vicenda vede in azione un serial killer in progressione criminosa che, prima, quasi per allenarsi, fa fuori una serie di innocenti cagnolini, e poi passa agli esseri umani.
In quegli stessi giorni scompare il padre di Gillian Moore, ventiduenne trasferitasi da anni a Roma la quale, ricevuto uno stranissimo messaggio audio dal genitore, prende il primo aereo disponibile e si ricatapulta nell’ambiente dove è nata, con tutte le conseguenze emotive che ne derivano.
Gillian è un personaggio ben costruito, tra atteggiamenti tipici del conflitto adolescenziale e tratti quasi marveliani dell’eroina guerriera senza macchia ma soprattutto senza paura. Non mangia e non beve quasi mai, di dormire non si accenna, in compenso piange poco anche quando si fa male. È ben allenata alle tecniche dell’aikido, insegnatole proprio da quel papà sparito, ma è soprattutto avvezza alla sofferenza psicologica, dalla quale si è mitridatizzata per non soccombervi.
Ma chi è il mostro che terrorizza Londra coi suoi omicidi sempre più scenici e la sua insensibilità perfino di fronte al dramma della scomparsa anche di una bimba?
C’è un collegamento tra le morti e i rapimenti e, soprattutto, Gillian riuscirà a trovare suo padre vivo?
Azione e reazione, fuga ed inseguimento, colpi di scena e indugi romance tipici di chi, come Giulia Nebbia, prima di scrivere ha letto molto e ne ha tratto quel che predilige trovare sulla pagina.
E se, come lei stessa scrive, il suo esempio carismatico sono autori come Jim Thompson e Joe Lansdale, il ritmo veloce che Giulia ha impresso al suo romanzo, dove la trama progredisce soprattutto attraverso immagini e dialoghi, evoca certe serie tv e un capolavoro cinematografico come Seven, spargendo cliffhangers e sequenze adrenaliniche in un soggetto il cui nucleo va identificato nel rapporto difficile tra padre e figlia e nei sensi di colpa che entrambi covano.
Gillian è un’eroina dolente, ferita, al limite della sociopatia ma ci piace molto perché è colta (lavora in un museo per pagarsi gli studi), a suo modo solida, no-frills e riesce ad entrare in empatia persino col nemico. Io mi auguro di leggere ancora di lei.
Recensione di Alessia Sorgato.
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