Se oggi capitate al Thriller Café mi trovate letteralmente entusiasta: sedetevi comodi perché vi preparo subito un Prosecco DOCG che vi accompagni nella lettura delle prossime righe. Il libro Lontano da casa di Enrico Pandiani mi ha colpita, commossa, mi ha fatto arrabbiare, intenerire, mi ha – tanto – emozionata. La storia è dura, difficile, ma la scrittura è sensibile e poetica e l’alchimia che c’è tra i protagonisti ci porta, alla fine, al di là del bene e del male. Approfondiamo insieme partendo dalla trama.
La trama
Al rientro da una lunga giornata di lavoro, Jasmina Nazeri, una ragazza italiana, di origine iraniana e di etnia Curda, non può immaginare che ad aspettarla ci siano dei poliziotti. C’è stato un omicidio e un uomo nigeriano è stato ucciso e abbandonato nudo in un parco e senza documenti. Un fonte anonima ha suggerito alla polizia che forse l’unica persona in grado di identificarlo è proprio lei, che in quel quartiere di periferia conosce tutti. Sul luogo del ritrovamento, quando vede il corpo martoriato, la sorpresa è scioccante, perché Jasmina riconosce Taiwo. Cosa è successo all’uomo e come può essergli capitato un destino tanto orribile? Se dapprima Jasmina non vuole farsi coinvolgere, dall’altro vuole aiutare a rendere giustizia a qualcuno che per la società sembra non esistere. A seguire le indagini c’è anche Pandora, poliziotta che appare come l’antitesi esatta di Jasmina, col suo odio nei confronti del mondo. Anche se le due donne sono mosse da motivazioni differenti, si trovano a dover collaborare in un caso complesso e doloroso.
Il mio pensiero sul romanzo
La storia raccontata in Lontano da casa è dura e ci sono delle situazioni che mi hanno travolta per la crudeltà delle descrizioni. A bilanciare questo c’è la penna di Pandiani, però, che è delicata, una scrittura gentile e che ci porta una nuova speranza con il personaggio di Jasmina. Anche se ogni personaggio è differente, imperfetto, in questo libro c’è il bene e il male. E il male non è né in quello che spesso ritroviamo nei romanzi che trattano il concetto di “banalità del male” né un male che deriva dalla malattia come accade sovente nei thriller. Qui il male è quello che fa più paura di tutti, perché è il male generato dall’odio, generato dal razzismo, generato da chi vuole avere potere sugli altri. Il male in questo libro è quello che ferisce noi lettori nel ricordarci che personaggi come questi esistono davvero, nella vita di tutti i giorni, vicino a casa (parafrasando il titolo del libro).
In egual modo, il bene che incontriamo è quello dell’empatia, della bellezza di un gesto disinteressato, del prendersi cura degli altri, è il bene del sentirsi parte dell’umanità. È il bene di un abbraccio, di un tè offerto, quello del riconoscere e riconoscersi negli altri. E il bene che tutti noi ogni giorno possiamo compiere per fare la differenza.
Tra contrapposizioni e ambiguità, con dialoghi bellissimi e colpi di scena, Lontano da casa ci porta a guardare alla ricchezza della multiculturalità, in un inno universale alla diversità, che tuttavia non ha pretesa di fornire delle risposte, ma piuttosto di darci l’opportunità di interrogarci.
Se arrivando a queste ultime parole avete anche finito il vostro Prosecco, vi propongo di lasciarne uno “sospeso” al bancone del Thriller Café. Il gesto – anche se solo col pensiero – farà felice il prossimo cliente che verrà a trovarci. Sono sicura che anche il Barman Giuseppe è d’accordo con me!
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