Non è frequente leggere un noir di un autore plurinominato al Premio Nobel, ma grazie alla sempre raffinata casa editrice Iperborea, arriva in Italia L’uccello nero di Gunnar Gunnarson, affascinante romanzo scritto nel 1928, amato pare da Ernest Hemingway e progenitore della letteratura nordic noir.
Ispirato a un fatto di cronaca che nel XIX secolo scosse l’opinione pubblica, il romanzo è ambientato in una remota area dei fiordi Nord Occidentali, nella fattoria di Syvendeaa: lì vivono Bjarni con Guðrun, lui forte ed energico, lei malaticcia e lamentosa, dall’altra l’insignificante Jón con la bellissima Steinunn. Due coppie malassortite, che diventano presto oggetto di pettegolezzi quando Jon scompare, probabilmente precipintando da una scogliera: si dice che Bjarni e Steinunn abbiamo una relazione, che Jon sia stato ucciso dai due amanti. Quando il corpo di Jon viene ritrovato senza alcun osso rotto e anche Guðrun muore le voci si fanno più insistenti e i due presunti amanti saranno accusati di omicidio.
Il romanzo, che adotta il punto di vista del giovane e inesperto Pastore Eiúlvur, nominato cancelliere dal Giudice Schewing nel processo, diventa man mano un racconto profondo e complesso sul significato della colpa, sulla giustizia: alterna di dubbi morali di Eiúlvur ai pettegolezzi e alle invidie dei testimoni, ricostruendo i fatti – o una versione dei fatti – in un processo che si tiene in un’aula di fortuna dove – più che una vecchia stufa – a riscaldare i presenti ci pensa l’acquavite.
L’uccello nero ha una bellezza cristallina: la prosa di Gunnarson è splendidamente essenziale, e non deve spaventare il lettore che questo romanzo sia un classico letterario scritto quasi un secolo fa. Se nelle primissime pagine il tono è quello addolorato e dolente di un uomo che ha perso il figlio, e che in questa perdita teme il riflesso di una colpa che lo affligge da molti anni, ben presto Gunnarson trascina il lettore in un mondo cristallizzato nel tempo e bellissimo – fatto di cavalli, fiordi, vita semplice – che non ha però nulla di bucolico, anzi. L’Islanda di Gunnarson è un mondo estremo, dov’è difficile vivere, e dove la durezza della quotidianità ha forgiato il carattere dei suoi abitanti, adattandone il carattere. Bellezza e durezza sembrano essere le cifre stilistiche di questo romanzo a tratti enigmatico, che ricostruisce la vicenda criminale attraverso i racconti di testimoni a volte invidiosi, rabbiosi o meschini. C’è un senso di ineluttabilità che attraversa il romanzo sin dal momento in cui l’uccello nero ha solcato il cielo come segno di sventura: il processo ricostruisce i rapporti tesi tra i quattro protagonisti della vicenda, ma sono soprattutto i dubbi morali che angosciano il Pastore Eiúlvur a dare tensione alla vicenda. E nei sentimenti raccontati, nei dubbi del protagonista, nei rapporti che vengono descritti c’è comunque una modernità nella quale il lettore può riconoscere e riconoscersi: Gunnarson racconta una storia criminale per raccontare l’essere umano, ed è forse proprio questa la chiave di un romanzo che – pur tratteggiando un mondo lontano vivido come un affresco – è estremamente contemporaneo e universale: Gunnarson ci parla di amanti e presunti omicidi per parlarci di altro, e lo fa con grazia e talento.Gunnar Gunnarsson (1889-1975), plurinominato al Nobel, è uno dei grandi nomi della letteratura islandese. Nato in una famiglia povera ma deciso a seguire la sua vocazione di scrittore, si trasferisce in Danimarca dove riesce a terminare gli studi e comincia a scrivere romanzi che presto gli procurano fama internazionale e i più prestigiosi riconoscimenti. Tra le sue opere consigliatissimo Il pastore d’Islanda, sempre edito da Iperborea, un vero gioiello poetico sulla natura dell’uomo e il legame tra gli esseri viventi.
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