Poco più di venti anni prima, con il colpo di pistola esploso da Gavrilo Princip nei confronti dell’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria, è cambiata l’Europa, è cambiato il mondo. Il gigante tedesco, nel 1918, alla fine della Grande Guerra, è caduto, sottoposto a condizioni durissime dal trattato di Versailles.
Inghilterra e Francia hanno vinto la guerra, ma perso le proprie certezze, mentre al di là dell’Atlantico, gli Stati Uniti non sembrano (o non sembrano ancora) intenzionati a farsi carico di un nuovo ordine mondiale. E così, negli anni venti di quello che sarà ribattezzato “il secolo breve”, Mussolini prende il potere in Italia.
Nel 1933, Adolf Hitler diventa cancelliere tedesco ed è tre anni dopo, nel 1936, che Arturo Pérez-Reverte, giornalista e scrittore spagnolo già autore de “Il club Dumas”, “La tavola fiamminga” e “Il maestro di scherma” ambienta il suo ultimo romanzo “L’ultima carta è la morte”. Si tratta dell’anno in cui scoppia la guerra di Spagna. Il Caudillo, generale Francisco Franco, è intenzionato a sovvertire l’ordine democratico, instaurando una dittatura di stampo fascista.
Ma questo a Falcò, protagonista del romanzo, tutto sommato importa poco: anche se influenza profondamente le sue azioni, in qualità di agente segreto sui generis della fazione franchista. Falcò però non è un militante, è un mercenario: dovendo scegliere tra due parti, si assicura soltanto di essere schierato dalla propria, di trarre cioè il maggior vantaggio dalla situazione o, nei rari casi in cui gli è concesso questo lusso, di ridurre i rischi.
La sua missione, questa volta, è particolarmente delicata. Dovrà recarsi a Tangeri, porto neutrale, e assicurarsi di mettere le mani sulla Mount Castle, nave mercantile con più di 30 tonnellate di oro spagnolo nella stiva, che i repubblicani stanno cercando di portare lontano da Franco e dai suoi, che si avvicinano pericolosamente alla presa del potere in patria.
Ma c’è di più. A Tangeri, lo informano, incontrerà una sua vecchia conoscenza: Eva Neretva, che aveva salvato dalla morte, quasi per caso, solo qualche tempo prima, e che ora si presenta come agente bolscevico. Come nemico, nemico che potrebbe essere mortale. È possibile, si domanda forse Falcò, ma senza la forza di confessare questo dubbio neppure a se stesso, innamorarsi del proprio nemico?
Meglio non pensare, meglio annegare l’angoscia in un bicchiere, scacciare mal di testa e cattivi pensieri con una delle sue immancabili cafiaspirine. Meglio restare al di là dell’ideologia e al di qua dell’umanità: per citare De André, “dove un attimo vale un altro”.
Oltre alle mutevoli leggi della politica e alla spietata legge della sopravvivenza, si impone in questo romanzo anche un altro genere di regola, non scritta: la legge del mare. Lo si percepisce chiaramente nei momenti in cui si incontrano il capitano Navia, cui è affidata la Mount Castle, con il suo carico d’oro, e il capitano Quiròs, incaricato dai franchisti di inseguire e, se necessario, attaccare la Monut Castle non appena sarà stata costretta a lasciare Tangeri.
Dai dialoghi asciutti e ben curati tra i due, tra i passaggi più intensi del romanzo, capiamo come, da prospettive opposte, entrambi i capitani si preoccupano del proprio equipaggio prima che dei propri ordini, prima ancora che di se stessi. E questa scintilla di umanità finisce per impressionare persino Falcò, malgrado la sua dura scorza di avventuriero. E, forse ricordando proprio quelle parole coraggiose, anche Falcò riuscirà a spingersi più lontano del solito, correndo gravi rischi quando, proprio a conclusione della propria avventura, dovrà affrontare una scelta dolorosa e cruciale.
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