Questo Romanzo ha due grandi protagonisti: La miseria e l’innocenza, e inoltre fornisce lo stimolo per una riflessione sul tema sempre attuale dell’istituto della pena di morte.
La prima protagonista, la miseria, è strettamente legata alla storia che si svolge nel 1945 a Villarbasse, un piccolo paese in provincia di Torino, proprio all’indomani della fine della seconda guerra mondiale, scelto dall’autore quale specchio fedele di un’Italia uscita in ginocchio e malconcia dal conflitto bellico. Un’Italia abbisognevole di tutto e, in particolare, dei cosiddetti “Bisogni primari” che arrivano anche a decuplicarsi nelle zone rurali, storicamente depresse al sud come al nord del paese. Bisogni essenziali, dunque, che scandiscono i ritmi della sopravvivenza stessa d’intere comunità contadine. Bisogni basilari, forse oggi desueti, come pane e lavoro, ma fondamentali per uscire dalla miseria in una nazione ancora governata dal patriarcato e dai pregiudizi. La famiglia degli Odasso di Villarbasse, protagonista del romanzo ad iniziare dal suo patriarca, racchiude in sè tutte le caratteristiche socio-ambientali e psicologiche sopra spiegate che sono il teatro dove Roberto Gandus ambienta il suo romanzo, riuscendo a rappresentarle così bene e ad incollarle addosso al lettore, soffocandolo con quella aria di miseria e di rassegnata devastante desolazione, fino a dare l’impressione di sentire con mano il degrado morale e culturale che non è solo di Villarbasse, o di un pezzo di Piemonte, ma storicamente è di tutta un’Italia contadina, unita e cementata dalla miseria. Una miseria senza speranza, grottesca e realistica al tempo stesso, dalle antiche pulsioni Verghiane.
Miseria, dunque, contrapposta all’altra protagonista del romanzo: L’innocenza. Innocenza nella sua più grande accezione del termine e violata senza alcuno scrupolo, sia se questa è fresca e pura come quella di una giovinetta, o libera di spirito come quella di una madre, o peggio ancora inconsapevole come quella di un ragazzo malato di mente. In questo climax perfetto, Gandus costruisce personaggi psicologicamente compiuti e in piena sintonia con il luogo, il contesto storico e il degrado culturale, giocando molto su figure contrapposte, opponendo personaggi, gretti, meschini e bigotti a personaggi, semplici, sinceri e soprattutto puri. Dove, sotto la brace di pulsioni ancestrali e ataviche cova una violenza sorda alimentata dalla miseria umana. Il risultato finale è indubbiamente ottimo.
Infine la condanna a morte di un innocente innesca la riflessione sull’opportunità o meno della pena capitale in tema di grandi delitti. Considerazione lasciata al libero discernimento del lettore, perché Roberto Gandus fornisce solo i giusti stimoli per un dibattito, narrando con distacco sempre scevro da un suo qualsiasi pensiero, soprattutto innanzi alla possibilità, seppur remota, di essere applicata su un innocente. In genere questo lo fanno il grandi narratori.
Concludendo, ed a mio avviso, “L’ultima esecuzione” è un gran bel romanzo che gode di una perfetta ambientazione storico culturale e di un’altrettanto perfetta costruzione psicologica dei suoi personaggi, in grado di sollevare discussioni su tematiche sempre attuali.
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