La recensione odierna, cari appassionati di giallo e frequentatori di Thriller Café, non vi farà valicare i confini nazionali e non vi cullerà verso lidi esotici. Nella più ferrea tradizione del ciò-che abbiamo-a-casa-nostra-non-è-da-meno, oggi vi aprirò una finestra sulle Langhe, il territorio piemontese di magnifiche colline e rigogliosi vigneti, a cavallo tra le province di Cuneo e Asti e a un tiro di schioppo dalla Liguria. E per giocare completamente a carte scoperte, ultimo ma non meno importante, sito riconosciuto Patrimonio Mondiale dell’Umanità.
Certo è, ahinoi, che la malvagità dell’uomo non guarda in faccia a niente. Il male, perfettamente in linea con la celebre frase di Via col vento pronunciata da Clark Gable alias Rhett Butler, se ne infischia, non si fa impietosire o intimorire, va per la sua strada, serpeggia e infierisce ovunque.
Di tutto ciò, e di molto altro, ci parla lo scrittore ospedalettese Orso Tosco con il suo romanzo “L’ultimo pinguino delle Langhe“, e lo fa per voce del protagonista, il Commissario Gualtiero Bova, il quale non ha ancora ben chiaro se il suo trasferimento nel piccolo borgo di Clavesana, dalla natia Liguria, è stata una promozione o una retrocessione.
A Bova vengono assegnate le indagini dell’assassinio di una donna il cui corpo nudo e con una misteriosa scritta su una natica viene rinvenuto da un jogger ai margini di una strada, in un’area boschiva della zona. A rendere ancor più inspiegabile il ritrovamento è il fatto che sul cadavere è stato scritto, con il sangue della vittima, proprio il nome dell’ignaro ed esterrefatto patito di corsa. È necessario aggiungere che non saranno indagini per niente scontate, che il Commissario e la sua squadra di bislacchi e simpatici collaboratori incontreranno bastoni di ogni tipo tra le ruote?
La risposta è no. L’investigazione si snoda come da consuetudine, tra interrogatori, elucubrazioni, tortuosità varie, lampi intuitivi e colpi di scena, il tutto reso ancor più complicato dall’immancabile ostruzionismo di alcune personalità locali attaccate come cozze allo scoglio a poltrone, malcostume e affini.
Quello che rende originale e accattivante la lettura, e che consiglio vivamente, è in primis lo stile dell’autore, molto attento e preciso nel descrivere le ambientazioni, le atmosfere e i giudiziosi turbamenti esistenziali del protagonista. Il suo è un linguaggio forbito ma senza ridondanze, con la giusta dose di ironia e di quel malinconico fatalismo che spesso, alla fine, è ciò che contraddistingue una narrazione ordinaria da una non ordinaria.
Difatti, un atto sanguinoso è a tutti gli effetti l’antitesi di un posto come le Langhe, il cui skyline di colline e calanchi geometricamente frattali rimanda a un infinito mare ondoso, a una perpetua armonia fatta di pace e perfezione. Eppure Orso Tosco riesce con maestria a far convivere questi estremi, grazie anche e soprattutto al suo protagonista. Il Commissario Gualtiero Bova è detto Pinguino per la corporatura “a pera” e un’andatura apparentemente barcollante tipiche del bipede. Ma non fatevi fuorviare da facili conclusioni estetiche; Bova è dotato di uno spirito d’osservazione fuori dal comune e di un intelletto sopraffino che non ha nulla da invidiare a mostri sacri quali Sherlock Holmes e Nero Wolfe.
Il pinguino è l’animale per antonomasia simbolo dell’Antartide, pertanto, come habitat, non c’è niente di più lontano delle Langhe. Allo stesso modo il Pinguino Bova si sente sempre un po’ fuori luogo, in un persistente equilibrio instabile. La sua indole, però, gli consente di distaccarsi e di mimetizzarsi, e questa è la chiave per riuscire ad osservare con maggior cura, scevro da preconcetti, e cogliere il dettaglio, il tassello anomalo che un occhio poco diligente non è in grado di individuare e da cui parte la comprensione complessiva degli eventi. Una frase mi ha colpito molto: non c’è miglior posto per nascondere una foglia di un prato autunnale. Non solo nella finzione.
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