È in libreria dal 4 maggio scorso, per Einaudi Stile libero, L’uomo del porto di Cristina Cassar Scalia, il quarto, attesissimo capitolo della serie con protagonista il vicequestore Giovanna Guarrasi detta Vanina. Per chi non avesse ancora letto questa serie, l’ordine dei libri (che consigliamo caldamente di seguire) è Sabbia nera, La logica della lampara, La salita dei saponari e, appunto, L’uomo del porto.
La Guarrasi, palermitana d’istanza alla mobile di Catania, è una tipa tosta, decisa, intuitiva ed impulsiva: passo energico, penetrante sguardo grigio ferro, grande appassionata di cinema, assidua fumatrice di Gauloises e con un appetito tanto insaziabile quanto invidiabile, è amata e temuta dai suoi collaboratori e sottoposti che la stimano profondamente, ne assecondano gli umori e ne seguono le intuizioni. Per un tipo energico ed indomabile come Vanina è oltremodo difficile dover sottostare a regole e restrizioni, tuttavia da qualche giorno è sotto scorta (e chi ha letto La salita dei saponari immaginerà bene il perché), e fa molta fatica ad abituarsi alle limitazioni di movimento cui è sottoposta, sebbene sappia che c’è in ballo la sua incolumità. Ora che si ritrova con un caso per le mani, poi, il senso di costrizione e claustrofobia non può che peggiorare. In una grotta naturale nei pressi della quale scorre un fiume sotterraneo, è stato ritrovato il corpo di un uomo ucciso con un’arma da taglio.
“– Ma ‘sto fiume da dove salta fuori? – chiese Vanina.
– L’Amenano è. Sa, il fiume sotterraneo che scorre sotto la città. – Spanò indicò il soffitto. – La vede la lava che lo seppellí?
Vanina alzò gli occhi. Se la sentí quasi addosso, l’eruzione del 1669. – Perciò una colata lavica in teoria può arrivare fino a qua.
– In teoria sí, se si riapre qualche cratere più basso, – confermò l’ispettore, placido. Tipico del catanese purosangue, considerare l’Etna non come un vulcano capace di distruggerti casa, ma come una gigantessa iraconda con cui convivere e dalla quale lasciarsi ammaliare e dominare. Fatalisticamente. Vanina, che catanese non era, ma che anzi proveniva dalla città rivale, all’idea di vivere alle pendici della muntagna ancora non ci aveva fatto del tutto l’abitudine. Distolse gli occhi dalla lava e tornò a occuparsi del suo nuovo morto ammazzato che, così a sensazione, non pareva dei più ordinari”.
Nella grotta, usata come saletta sotterranea di un pub, stava passando la serata Vincenzo La Barbera, conosciuto e stimato professore di filosofia in un liceo cittadino. Mattia, il giovane cameriere, ricordava di avergli servito da bere poco prima di andar via, in anticipo rispetto al solito. Perciò la mattina successiva, rientrato nel pub per riordinare e completare il lavoro della sera prima, è sconvolto nel ritrovarlo cadavere proprio lì, nel locale.
La Barbera era un tipo solitario, viveva in una barca a vela posteggiata nel porto di Catania, da giovane, per via delle sue idee progressiste, era stato diseredato dalla famiglia con cui da decenni non aveva quasi più rapporti. Il professore era noto nel suo quartiere anche per il suo impegno nell’aiutare ragazzi tossicodipendenti ad uscire dal tunnel della droga. Un uomo integerrimo, dunque, che tuttavia è stato ucciso. Da chi? E perché? Non sarà facile, per Vanina e la sua squadra, scovare l’assassino. Tra false piste, vicoli ciechi ed impedimenti di sorta, sarà importante l’aiuto di tutti, dai parenti dell’ispettore Spanò all’impareggiabile – e spassosissimo – commissario in pensione Biagio Patanè, sempre pronto a reintegrarsi in un’indagine – con buona pace della gelosissima moglie Angelina – quando a capo c’è l’amica sua, la dottoressa Vanina Guarrasi.
“L’ispettore capo Carmelo Spanò si chiuse il portone alle spalle e andò a recuperare la Vespa, parcheggiata poco piú in là sul marciapiede, davanti al vecchio palazzo abitato per tre quarti dalla sua famiglia. Aveva perso la cognizione del tempo. Succedeva sempre cosí in quelle occasioni: pasto luculliano, dolci da applauso – sua zia Maricchia era la pasticcera piú famosa di Catania – poi liquore al mandarino, caffè, ammazzacaffè. Dulcis in fundo giocata a carte, rigorosamente a soldi, in cui Carmelo, che era il meno allenato di tutti, appizzava ogni volta almeno venti euro.
Trentacinque persone come minimo tra fratelli (due), sorelle (altre due), mariti, mogli, nipoti, zii materni, zii paterni e cugini. Detta cosí pareva una specie di gara di resistenza, e in parte probabilmente lo era, ma mai come in quei momenti l’ispettore si sentiva in pace con sé stesso, specie nell’ultimo periodo. A maggior ragione in quell’occasione, visto che si festeggiava sua madre: ottant’anni e una grinta che avrebbe fatto mangiare la polvere a una trentenne. Di sicuro la faceva mangiare a lui, che di anni ne aveva cinquantasei ma si sentiva piú decrepito di un fossile.
Senza contare la riserva aurea di notizie che ciascuno dei suoi parenti, a turno, riusciva a procurargli ogni volta che l’ispettore si trovava a indagare su qualcuno che sfiorasse anche da lontano il giro, sconfinato, delle loro conoscenze. Curtigghi, indiscrezioni, intrecci parentali. Tutto sapevano, quei gazzettini viventi.
Poteva mai il professore Vincenzo Maria La Barbera essere sfuggito alla loro attenzione? Difficile gli pareva.
E infatti”.
Ma per quanto sia complesso raggiungerla, per quanto si debba scavare nel passato, la soluzione arriva, con tanta intelligenza, impegno, ragionamento e lavoro di squadra. E in questa, più che nelle indagini precedenti, la squadra si stringe alla sua guida in difficoltà: Vanina non può muoversi come vorrebbe, ma sono gli altri – che lo voglia o no, che se l’aspetti o no – a stringersi attorno a lei, sia gli agenti che gli amici che i conoscenti… dalla sempre presente e premurosa vicina Bettina al proprietario del bar, a Nino della trattoria, a Sebastiano della bottega… tutte presenze fisse che negli altri romanzi della serie abbiamo imparato a conoscere ed apprezzare, ma che qui si fanno famiglia per la nostra sbirra impavida ma più che mai bisognosa di protezione.
L’indagine, di per sé, è complessa, serrata e rivela delle sorprese; i personaggi sono, come sempre, ben caratterizzati, sia quelli introdotti per quest’indagine, sia quelli stabili che vengono approfonditi un po’ di più in ogni episodio; la trama orizzontale inerente la storia personale di Vanina e degli altri personaggi procede mantenendo vivo l’interesse, tanto che già non vediamo l’ora di avere fra le mani il prossimo capitolo della serie.
Quel che è certo è che Vanina Guarrasi conquista il lettore con la sua sobrietà, il suo carattere retto, impulsivo, a tratti spigoloso, il suo vissuto, la sua storia familiare e il suo presente così particolari, l’attaccamento alla sua terra (tutta, sia che si trovi a Palermo sua città natale o a Catania che l’ha accolta per lavoro), il colore tutto speciale delle sue giornate fatte di cibo, ironia e tanta, tantissima umanità.
L’autrice, Cristina Cassar Scalia, è nata nel 1977 ed è originaria di Noto, ma – come la sua Vanina – vive e lavora a Catania. Ha pubblicato con Sperling & Kupfer La seconda estate (premio Internazionale Capalbio Opera prima) e Le stanze dello scirocco (2015). Per Einaudi ha pubblicato i romanzi Sabbia nera (2018), La logica della lampara (2019) e La Salita dei Saponari (2020) che hanno come protagonista il vicequestore Vanina Guarrasi; da questi libri, venduti anche all’estero, è in progetto la realizzazione di una serie tv. Con Giancarlo De Cataldo e Maurizio de Giovanni ha scritto il romanzo a sei mani Tre passi per un delitto (Einaudi Stile Libero 2020).
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Articolo protocollato da Rossella Lazzari
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