Cari Avventori del nostro bar virtuale, oggi ho l’onore – e la responsabilità – di recensire per la prima volta su Thriller Cafè un thriller dello scrittore svedese Anders de la Motte: L’uomo di vetro, edito da Neri Pozza, seconda investigazione dell’ispettrice Leonor Asker dopo Il respiro della farfalla. Ve ne parlo subito, con molto piacere!
Voci soffocate, suoni provenienti da vari dispositivi. E poi l’assenza di gravità, che si perde man mano che lui viene richiamato in superficie.
Man mano che viene costretto a rientrare nel proprio corpo.
Odia quella sensazione più di ogni altra cosa al mondo.
Sa cosa implica.
Disagio, tormento, dolore.
La famiglia Irving in Svezia è molto potente e rispettata. Bernhard Irving, il patriarca, ha guadagnato una fortuna con l’ossidiana estratta dalla miniera di Stjärn, sull’ìsola di Blockön, che assieme a svariati ettari di bosco che circondano il lago Miresjön, costituisce il territorio della grande tenuta di famiglia. Il figlio Gunnar, invece, ha aggiunto puntato sulla tecnologia biomedica e la sua Alfacent è al vertice di quel settore, operando a più svariati livelli.
Ma non sempre gli Irving sono balzati agli onori della cronaca per le loro prodezze finanziarie. Circolano strane leggende intorno alla tenuta degli Irving e della loro miniera, un misto di apparizioni aliene, incidenti inspiegabili avvenuti in miniera e sparizioni di persone nelle zone limitrofe.
Quando viene casualmente ritrovato il cadavere di un uomo, sepolto sotto un cumulo di rifiuti al limitare della tenuta Irving, la polizia inizia ad indagare per ricostruire l’identità dello sconosciuto, ma una poliziotta in particolare ha un tuffo al cuore e un presentimento terribile: Leonor (Leo) Asker, ispettrice che coordina la divisione Anticrimine di Malmö, a cui arriva una strana telefonata.
Per l’Apocalittico.
Suo padre, il pazzoide che costruisce bunker e accumula armi, esplosivo e generi di prima necessità mentre si prepara per il giorno dell’Apocalisse. L’uomo con il quale fino a pochi istanti fa, credeva non avrebbe mai avuto contatti.
Per le intima di indagare anche se non è lei che segue il caso, perché è certo che la polizia lo accuserebbe immediatamente, date le sue stranezze e i precedenti di violenza che Leo ricorda molto bene, essendo scampata ad un’aggressione che poteva costarle la vita proprio per mano del padre.
Leo in cuor suo sa che il padre ha ragione di temere un’inchiesta e si mette all’opera, secondo un codice gioco perverso che fin da bambina le ha inculcato: dimmi cinque cose. L’abitudine ad analizzare freddamente cosa le accadeva e sintetizzarlo in cinque punti ha forgiato il carattere di Leo, divenendo anche la sua grande abilità di poliziotta.
Martin Hill, trentun anni, cresciuto in una serie di località diverse in Svezia, ora docente presso l’Università di Lund, dove tiene il corso di Architettura del degrado. Autore di best seller sull’urban exploration, l’esplorazione di edifici e luoghi abbandonati.
Mentre Leo comincia ad indagare per conto del padre, il suo amico di infanzia Martin viene ingaggiato da Nora Irving per scrivere un libro che esalti la grande epopea industriale della famiglia e, come da contratto, sarà ospitato nella grande casa nei boschi.
La curiosità di Martin porterà i due amici a mettere in luce – a rischio della vita – il più grande segreto, quello racchiuso nella miniera e a fare la conoscenza con lo sconcertante uomo di vetro.
Diventerò un’altra persona, più alta, più vigorosa, migliore.
Non più un giovane insicuro, ma un essere forte, dotato di potere.
Di un potere vero.
L’unico che in realtà conti qualcosa.
Il potere di vita e di morte.
Anders de la Motte è oramai una delle voci più autorevoli del panorama del giallo scandinavo e ritengo si sia guadagnato tale fama per via delle trame molto accurate e le ambientazioni al limite del fantascientifico, inseguendo la moda del momento dello urban exploration, ossia l’esplorazione delle costruzioni in rovina.
Anche nella precedente investigazione di Leo Asker e Martin Hill – Il respiro della farfalla – c’è un’ambientazione molto connotata: una grotta sotterranea, nascosta da un vecchio bunker di cemento, nella quale avvengono fenomeni straordinari.
Fascinazione e tecnica narrativa, quindi, due elementi solidi che fanno de L’uomo di vetro un thriller affascinante, costruito sull’alternanza delle voci dei tre protagonisti principali – Leo, Martin e l’uomo di vetro – con l’aggiunta di qualche indispensabile flashback per riallacciare i fili sospesi delle vite dei tre.
Quello che mi è piaciuto e che non è così evidenziato dalle sinossi o dalle altre recensioni che mi è capitato di leggere, è che l’argomento sotterraneo di tutto il libro è di tipo esistenziale molto terreno e per niente metafisico: fino a che punto si deve compiacere un genitore ossessivo o pretenzioso, a scapito della propria vita?
Trovo l’interrogativo molto più affascinante dei presunti avvistamenti di alieni o della rana del legno che, per sua struttura biologica, può restare mesi in uno stato simile alla morte per poi rinvenire a contatto col calore.
Per chi è preda di un genitore narcisista fin dalla tenera età non c’è calore che tenga.
Veglia e sonno.
Luce e tenebre.
Vita e morte.
Gli occhi sono la guida dell’anima.
Anders de la Motte è nato nel 1971. Ex ufficiale di polizia ed ex capo della sicurezza di una delle più grandi compagnie di informatica del mondo, esordisce nella narrativa nel 2010 con il thriller Il gioco, prima parte di una trilogia da 200.000 copie vendute nella sola Svezia con protagonisti la detective Rebecca Normén dei Servizi Segreti Svedesi e il giovane immaturo Henrick (HP) Pettersson alle prese con trame intrise di fantapolitica e cyberspionaggio con riflessioni sulla privacy e la condivisione dei dati.
Nel 2015, per il romanzo UltiMatum è stato nominato dalla Swedish Academy of Crime Writers vincitore del Best Swedish Crime Novel of 2015.
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