Arrivato in libreria ad aprile, oggi recensiamo Macbeth, il nuovo titolo di Jo Nesbø la cui stesura fu annunciata già nel 2014 e che vede la luce dopo quattro anni e dopo un 2017 che ci ha regalato, per quel che riguarda il grande autore norvegese, Sete.
Fra le due serie, quella principale dedicata ad Harry Hole e la secondaria avente come protagonista Olav Johansen, e altri romanzi e progetti, non passa anno senza almeno un volume di Jo Nesbø, ma con Macbeth, come potete già immaginare dal titolo, siamo di fronte a un progetto particolarmente ambizioso.
Nesbo si dimostra narratore di razza, riuscendo in uno dei compiti più difficili di sempre: instillare nuova linfa in un Genere, prendendo spunto da varie zone letterarie.
In questo caso assistiamo alla elevazione del noir a romanzo d’autore, grazie all’innesto della tragedia shakespeariana. Un’operazione che porta dentro di se’ molti rischi. Il primo dei quali sarebbe stato quello di un semplice remake con qualche citazione qua e là. Pericolo evitato invece dalla maestria del nostro Autore. Qui dobbiamo capire che la trama dell’omonima tragedia non serve solo da vuoto fondale per il noir. Essa struttura invece tutta la vicenda, i personaggi e la loro evoluzione. Il romanzo non esisterebbe senza il continuo riferimento al sostrato citazionale. Siamo nell’ambito della postmodernita’ più spinta. Il libro sarà pienamente fruibile al suo massimo grado solo da coloro che padroneggiano pienamente la tragedia del grande bardo. Esso infatti ricalca, sia nella trama che nella creazione dei caratteri e delle azioni dei personaggi, la storia come tutti la conoscono. Mc Beth , la sua ascesa al potere, basata sul terribile omicidio iniziale, lady Mc Beth e la sua istigazione continua.
La corruzione dell’animo umano, la sete di potere divorante, ma anche i dubbi e i tormenti, gli incubi folli, la dimensione esistenziale tipica di Shakespeare.
L’altro grande pericolo poteva essere il rendere il noir piatto e stereotipato. E anche in questo caso si nota la completa padronanza della materia. Nesbo estrae il meglio del genere e lo immerge, lo intreccia, nella tragedia. Di questa sintesi fanno parte sicuramente i grandi stralci realistici. Prima di tutto la città, protagonista assoluta, di cui viene descritta, in alcuni magistrali pezzi di bravura, che ricordano il Franzen delle Correzioni, persino il barocco percorso di una goccia d’acqua. Poi un secondo livello ancor più realistico e tipico del noir. La droga per esempio la fa da padrona, tutti ne fanno uso, i drogati, i poliziotti, i politici, è uno strato trasversale alla storia.
Poi la politica e i suoi intrighi di potere che formano un altro romanzo nel romanzo. Seguiamo esterrefatti le vicende intime anche di personaggi secondari, che assumono subito una corposita’ nelle nostre menti, grazie alla forte relazione che ognuno di loro ha con la trama principale. E poi la scrittura: la vera protagonista assoluta. Asciutta, secca, precisa nei sommari come nelle descrizioni. I dialoghi: il massimo che si possa fare, paragonabile forse solo al miglior Ellroy. In più il tutto punta ad una drammaticità alta, costantemente in aumento, dall’inizio alla fine. Tutti sappiamo come andrà a finire ma non vediamo l’ora di vederlo accadere davanti ai nostri occhi. E alla fine ricorderemo per sempre questa storia e i suoi protagonisti, buoni e cattivi. Come era già successo tante volte col sommo Shakespeare.
Recensione di Raffaele Izzo
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