Se Anna Vera Viva, l’autrice del romanzo Malammore – Una chimera tra i vicoli di Napoli, fosse un oggetto sarebbe senz’altro un navigatore GPS.
Grazie a una scrittura coinvolgente e a descrizioni particolareggiate è come se avessimo costantemente davanti a noi la ricostruzione tridimensionale del Rione Sanità di Napoli, con la sua tipica e inconfondibile corografia di viuzze e maestosi palazzi storici assiepati l’uno accanto all’altro.
E’ in questi scorci che al calar delle tenebre Antonio Capasso mostra il suo io, la sua anima più vera, e diventa Brunella, una bellezza mozzafiato tra le drag queen più famose e richieste, un’assoluta chimera del Rione Sanità. Quando però viene ritrovato senza vita nel suo alloggio, è subito lampante che si tratti di un omicidio, e tutto conduce a una particolare frequentazione di Brunella, a un uomo che ha fatto letteralmente invaghire. La persona sbagliata.
Sarà il parroco Don Raffaele, alla sua terza apparizione dopo Questioni di sangue e L’artiglio del tempo, aiutato dalla preziosissima perpetua Assuntina, a fare luce sull’accaduto e a sciogliere il mistero, malgrado l’incombente presenza del fratello Peppino, il boss incontrastato del quartiere.
Sono diverse le tematiche che dalla lettura di questo romanzo si impongono all’attenzione, tutte importanti e niente affatto banali. C’è la diversità, e non tanto vista con gli occhi dell’altro, bensì quella vissuta in prima persona, perché alcune di esse sono prima di tutto condanne, con cui è molto complicato convivere in maniera serena e libera. C’è l’onnipresente malavita organizzata, manco a dirlo uno Stato nello Stato, il bello e il cattivo tempo, giudice e giurato di qualsiasi vicenda economica e sociale del luogo.
Secondo la mia opinione, l’elemento più incalzante e doveroso da sottolineare, attorno al quale alla fine ruotano spirito e sostanza del romanzo, è senza dubbio Don Raffaele, e non tanto per il classico ruolo manicheo nella storia.
Lui non è protagonista di azioni roboanti, e non fa a gara a chi alza di più la voce per vincere la cacofonia del chiacchiericcio dei potenti. Ciò nonostante, non agisce come un suo lontano predecessore letterario, che paragonò la propria condizione, divenuta proverbiale, a un vaso di terracotta tra vasi di ferro; o comunque non vive tale disposizione alla stregua di un handicap. Don Raffaele porta avanti il suo impegno sociale senza particolari echi, senza ostentazioni, senza artificiosità, ma professando quotidianamente il senso di giustizia, di lealtà, di correttezza e di solidarietà, come una goccia d’acqua che con pazienza logora e consuma la roccia.
Accade di sovente che un personaggio fittizio, se rappresentato con la giusta dose di attendibilità e verosimiglianza, porti inevitabilmente ad evocare un personaggio reale che più gli si avvicina, e per quanto mi riguarda è senz’altro la figura di Don Giuseppe Diana, il prete assassinato dalla camorra ormai trent’anni orsono. Trovo molti aspetti in comune con Don Raffaele, e credo che non siano solo coincidenze.
A un certo punto di questa storia viene da chiedersi dove stia l’esile confine tra diversità e normalità. Se questo confine esista davvero, oppure sia solo nelle nostre teste. Mi piace pensare che una bellissima e potentissima riflessione di Brunella, che racchiude la sua essenza dolce amara, sia una specie di ponte proteso verso Don Giuseppe Diana: il lieto fine certe vite non lo prevedono, e non lo consentono.
E come in una sorta di collegamento ipertestuale, una frase chiama l’altra, e mi torna alla mente il verso di una famosa canzone di Tracy Chapman: molte rivoluzioni cominciano con un sussurro.
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Articolo protocollato da Damiano Del Dotto
Libri della serie "Don Raffaele"
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