Appena edito da Nord, recensiamo su Thriller Café Il manoscritto delle anime perdute, nuovo romanzo di Giulio Leoni con protagonista Dante Alighieri.
Anno domini 1304. Nella fortezza dei Guidi si sta discutendo di come assediare Firenze per toglierla dalle mani dei Neri, la fazione guelfa che la domina. Dante Alighieri, impossibilitato a tornare nella sua città natale a causa dell’esilio, viene incaricato di cercare nel settentrione alleanze con le forze imperiali. A Verona si imbatte casualmente in un manoscritto misterioso, che racchiude un segreto dirompente e dunque pericolosissimo; quelle pagine custodiscono infatti un segreto capace di far crollare le fondamenta stesse della fede.
La sua ricerca sembrava essere giunta al termine, dopo anni lunghissimi di peregrinazioni ai quattro angoli del mondo conosciuto. In quelle pagine era racchiuso il segreto che aveva tanto cercato. La prova che la battaglia tra il Bene e il Male, la grande battaglia che per prima aveva fissato i confini dell’inferno, e di cui solo al termine dei tempi si sarebbe vista l’eguale, era stata effettivamente combattuta.
Gli Spirituali sono la corrente di francescani più ligia all’ortodossia del santo fondatore dell’ordine e rispettano rigidamente il suo voto di povertà, venendo perseguiti per questo dal pontefice, difensore dello sfarzoso potere temporale romano; uno di loro afferma di esser stato nel luogo di cui Dante sta scrivendo, l’inferno, e di aver rinvenuto la Prima Lingua, quella con cui Dio si rivolse agli angeli; tale idioma sarebbe ancora capace di evocare i demoni, gli angeli caduti.
Si pone quindi un quesito che nelle sue varie declinazioni ha sempre interrogato l’uomo: la verità dev’essere rivelata o è meglio per l’uomo non conoscerla? Gli schieramenti sono netti: i difensori del potere, dello status quo, si oppongono alla divulgazione, mentre in pochi vorrebbero lasciare il popolo libero di scegliere il proprio destino in base a quanto dovrebbe essere annunciato. E Dante, uomo religioso ma anche letterato affamato di sapere, da che parte starà? Per un figlio dei suoi tempi è un dilemma interessante: è giusto cercare di scoprire cose che forse Dio nella sua infinita saggezza ha precluso all’uomo?
Alighieri non è l’unico a voler impadronirsi del manoscritto: l’Inquisizione vuole impedire la diffusione di quelle scoperte. D’altronde, non è stato forse proprio il Signore a punire il desiderio di conoscenza di Adamo ed Eva? Eppure l’insaziabile desiderio di vedere e conoscere, conoscere tutto, anche l’orrendo, spinge Dante a proseguire la sua indagine; il “drago della curiosità” lo lacera anche perché da una parte vuole incontrare il francescano e dall’altra le notizie che giungono da Firenze (il conflitto tra guelfi bianchi e guelfi neri) lo spingono ad occuparsi della sua città. Come conciliare le due cose?
Il protagonista soffre la sua condizione di esiliato, che ha comportato discredito sociale e che lo obbliga a confrontarsi con situazioni difficili che si confanno al suo nuovo status. D’altronde il poeta non si tira indietro quando c’è da sporcarsi le vesti, se ciò serve a dipanare gli intrighi di questa storia. Nei bassifondi della città scaligera o in una locanda sugli Appennini, si imbatterà in cadaveri, riti demoniaci, una strana santona che metterà a dura prova la sua razionalità e molte altre stranezze. Tornato a Firenze parteciperà ad un disperato tentativo di togliere la città ai Neri, dando prova di essere un abile combattente oltre che un sommo letterato. L’autore ci restituisce un Dante inedito: accanto alla mente speculativa, che ama riflettere non solo sui casi che gli presentano davanti ma anche su questioni filosofiche e sui massimi sistemi, troviamo infatti un uomo dalle azioni più prosaiche e quotidiane (fino alla frequentazione di un bordello).
Leoni sceglie una lingua che rievoca il passato, non solo nei discorsi diretti dei personaggi che utilizzano termini e strutture desuete, ma anche nelle descrizioni, che senza sfociare nell’arcaismo e sempre mantenendo uno stile scorrevole (nonostante qualche ripetizione di troppo), si distinguono per una certa ricercatezza. Particolarmente riusciti i passaggi che utilizzano metafore o altre figure retoriche poetiche instaurando parallelismi tra situazioni e concetti differenti.
Oltre alla battaglia tra la Verità è la Menzogna, nella quale Dante si erge a paladino della conoscenza come somma virtù umana, c’è qualcos’altro, più oscuro e arcano, che chiama il poeta alla sfida finale.
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