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Un rappresentante delle forze dell’ordine, il cui lavoro è quello di indagare su un omicidio, di scavare nei meandri più contorti e maligni della mente umana, può considerarsi alla stregua di un artista, di un pittore, di uno scultore o di uno scrittore?
E’ quello che si chiede il Commissario Franco Bordelli, personaggio nato dalla fantasia dell’autore Marco Vichi, nello splendido incipit del suo ultimo romanzo (il sedicesimo) che lo vede protagonista, dal titolo Meglio di niente, presente oggi nella sempre fornita e allettante vetrina di Thriller Café.
E la risposta è sì perché, come un’artista, colui che indaga non fa altro che iniziare da una scintilla, da uno spunto, un’idea, una parola, un personaggio, e indizio dopo indizio costruisce una storia, una vera e propria opera d’arte, che lo condurrà all’epilogo, ovvero alla soluzione del caso.
Sono ormai 23 anni che il Commissario ci fa compagnia, trasportandoci nella Firenze degli anni ’60, in un’Italia nel pieno del boom economico ma con ancora troppo vivide le immagini delle atrocità lasciate in eredità dal secondo conflitto mondiale.
Siamo nel Maggio del 1970. Franco Bordelli è fresco di pensione, ciò nonostante non riesce proprio a vedere se stesso in questa veste, e non gli va nemmeno particolarmente a genio la premessa “ex” davanti alla qualifica professionale di Commissario che lo ha accompagnato per una lunga carriera. Non è che aneli a una società dove i reati siano commessi a ciclo continuo, tuttavia sa fin troppo bene che un mondo immune da illeciti è pura utopia, e che volenti o nolenti commettere crimini e perpetrare violenza e sopraffazioni fa parte della natura umana. Ecco la ragione per cui non appena gli pare di avere per le mani un qualsiasi genere di abuso, e il suo fiuto è infallibile, ci si butta a capofitto, che si tratti, come in questo romanzo, di un apparente furto di quadri di valore, di un testamento ereditario non del tutto chiaro e di una faida che ha radici nel passato. Aiutato in incognito dal fidato Vicecommissario Piras, Franco Bordelli non si arrende al proverbiale chiodo che attende per l’eternità la sua divisa, e come sempre tenterà di far trionfare la giustizia.
Sono 23 anni che il Commissario Franco Bordelli ci tiene compagnia, e chi vi parla, anche se non ha letto tutte le precedenti avventure, è pronto a scommettere che Meglio di niente sia probabilmente la più malinconica. Il susseguirsi delle vicende investigative infatti lasceranno di frequente il passo alla retrospezione, all’evocare quei ricordi lieti e meno lieti che hanno segnato una vita, al rivivere decisioni prese e scelte abbandonate, più con nostalgia e un velo di tristezza per il tempo ormai andato che con sincero rammarico riguardo alle loro conseguenze.
Sono struggenti le prime pagine in cui Bordelli è al cospetto della tomba della madre, in una sorta di dialogo con la foto che la ritrae. Come spesso accade il cimitero, diversamente da preconcetti e stereotipi, si rivela in realtà un luogo di pace ed equilibrio, dove l’animo, lontano dalle frenesie e dalle cacofonie del vivere quotidiano, è in grado di elevarsi a una dimensione quasi ultraterrena di vicinanza e comprensione più pura nei confronti della natura umana.
Franco Bordelli adora leggere classici come Remarque e Levi, persone che, come lui, hanno vissuto la guerra nei suoi aspetti più aberranti e ne portano addosso indelebilmente le cicatrici. Ma è anche la voglia di rimanere ancorato a un passato che, per quanto negativo, è ciò che ci ha reso quello che siamo. Come detto non conosco tutte le avventure del Commissario ma mi piace credere che qua e là Bordelli abbia letto una frase di un altro grande classico, Victor Hugo: La malinconia è la felicità di essere tristi.
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Articolo protocollato da Damiano Del Dotto
Libri della serie "Commissario Bordelli"
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Meglio di niente – Marco Vichi
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