Sarà colpa sicuramente della nebbia (che ormai è sparita). Oppure del fatto che qui di lavoro ce n’è sempre stato tanto, e di conseguenza tanti daneè e parecchie opportunità (legali e non). E, come dice il personaggio di un mio romanzo, “i pesci si accalcano dove c’è la pastura”. Tant’è che le colpe, se così possiamo chiamarle, sono molteplici e tutte indirizzate verso un unico obiettivo: fare di Milano la capitale noir d’Italia.
Chi di voi ha visto “Milano Calibro 9“, il film che diede inizio al filone poliziottesco italiano, non può dimenticare il fatto che la scena di apertura si svolge proprio in piazza Duomo, sotto gli occhi benevoli di una Madonnina che ne ha viste di cotte e di crude. E da lì, da quel punto nevralgico, il nero si è allargato a macchia d’olio, raggiungendo le immense periferie della città meneghina.
Milano, a dispetto della sua canzone più popolare, più che il cuore in mano spesso ha tenuto la pistola. Reale, come nei casi della banda di via Osoppo, del ladro gentiluomo Luciano Lutring, del boss Francis Turatello, del bandito Renato Vallanzasca e del reggente della mafia Angelo Epamindonda. Ma ancora più spesso questa pistola è stata soltanto immaginata, perché si è trattato di un’arma letteraria: il noir milanese. L’uomo che per primo seppe fotografare l’anima sporca, nera e crudele di Milano fu uno scrittore di origini russe, cresciuto a Roma e che nella vita faceva il direttore di giornaletti rosa. Un uomo definito da Oreste del Buono come “una macchina per scrivere storie”. Quest’uomo è Giorgio Scerbanenco. Il suo cognome ormai è diventato un classico, ripetuto talmente tanto da renderlo sinonimo di noir italiano. Chissà se il buon Giorgio, quando diede alle stampe il suo “Venere Privata“, nel lontano 1966, si aspettava di diventare l’uomo simbolo del poliziesco all’italiana, copiato, imitato e preso in prestito da centinaia di autori, registi e sceneggiatori?
Il romanzo racconta la storia di un medico radiato dall’ordine per aver somministrato un’eutanasia, Duca Lamberti, che per sopravvivere si mette a curare il figlio di un industriale brianzolo caduto in una spirale di alcol e distruzione fisica. Finirà così per scoprire un giro di prostituzione parecchio articolato.
Cos’ha questo Scerbanenco, rispetto agli scrittori gialli che l’hanno preceduto? Semplice, nei suoi romanzi e racconti Milano non è uno sfondo. Milano è la protagonista, con le sue vie, i personaggi che la animano e abitano, gli oscuri intrecci della malavita organizzata. Milano è l’inizio e la fine di ogni paragrafo di Scerbanenco. Come nel racconto “Stazione Centrale Ammazzare Subito“, un pugno nello stomaco di poche pagine, che si svolge per intero all’interno della fastosa Stazione Centrale e che ruota attorno al commercio di diamanti. E poi, per citare le parole di Riccardo Besola, promettente autore della “nouvelle vague” milanese: “Nelle opere di Scerbanenco ho ritrovato questa stessa autenticità, questa promiscuità tra bene e male. Nei suoi romanzi il bene non è mai del tutto bene e il male non è mai del tutto male.” Anche Duca Lamberti, il protagonista, compie atti che sconvolgono il lettore.
Milano, quella del boom, quella di Giorgio Scerbanenco, si è spenta presto. Sono arrivati gli anni ’70, le contestazioni giovanili, le lotte di classe, i giorni delle bombe e delle piogge di piombo. In poche parole, è arrivata la strage di Piazza Fontana. E così, anche il noir (che per sua stessa definizione è il racconto della realtà) si è trasformato. Sono gli anni del poliziottesco, di film come “Milano trema, la polizia non può sparare” o “Milano a mano armata“. Storie poco edificanti di malavitosi, commissari grintosi, bande armate e dell’incapacità delle forze dell’ordine di far fronte all’emergenza sociale. Sullo sfondo di una città cattiva e prigioniera della violenza. Ma i cicli sono fatti per concludersi e così anche il decennio più violento dal dopoguerra ha lasciato il passo agli anni ’80, quelli della Milano da bere. Giunta socialista, yuppies, televisioni commerciali e voglia di divertimento e di spensieratezza. C’è un commissario di polizia che in quegli anni gira lungo le strade della città. Ha un carattere malinconico, amaro eppure sa anche essere estroverso. Ama il bello, in ogni sua forma (dalle donne all’arte) e colleziona acquerelli e stampe nel suo appartamento di via Solferino. E’ il commissario Ambrosio, creazione dell’autore Renato Olivieri, anch’egli milanese di adozione, come Scerbanenco. Sono gli stessi anni in cui si muove (anche se i romanzi sono stati scritti in un’epoca “futura”) il maresciallo Binda, personaggio creato dagli autori Piero Colaprico e Pietro Valpreda.
Ma anche gli anni ’80 finisco e lo fanno in maniera poco onorevole. Le luci della Milano da bere si spengono nella notte tenebrosa di Tangentopoli, dello scandalo del Pio Albergo Trivulzio e del “mariuolo” Chiesa. Mazzette, tangenti, appalti truccati, connivenza dilagante. Milano è in ginocchio. Niente è più come prima. E il noir, come la città stessa, si adatta. Fa la sua comparsa uno sbirro poco convenzionale. Perché prima di diventare un pulè (termine dialettale che indica i poliziotti) faceva il terrorista. Poi ha sentito che il vento stava per cambiare e ha venduto tutti i suoi ex compari. Ma l’anarchia interiore gli è rimasta, tanto da svolgere un doppio lavoro. Da una parte sbirro milanese e dall’altra volenteroso aiutante delle cosche, che gli chiedono di recuperare una prostituta albanese scappata dal protettore o di consegnare dieci chili di “bamba” a un tizio. Questo sbirro è Guido Lopez, anch’egli, come tutti gli altri, personaggio di fantasia, creato dallo scrittore Giuseppe Genna. La scrittura di Genna è onirica, a volte referenziale e delinea come in un affresco la realtà della città, dalle periferie alle sfavillanti luci del centro.
E le donne? Ci sono, ci sono sempre state, sin dai tempi di Livia Ussaro, amante e braccio destro del Duca Lamberti di Scerbanenco. Ce n’è una che di mestiere fa l’ispettrice di polizia. Si chiama Maria Dolores Vergani e lavora alla Questura di via Fatebenefratelli. Una donna divisa tra carriera e amore, che subisce purtroppo, le immancabili discriminazioni che la società italiana riserva alle donne grintose. Un personaggio contrastato e difficile da capire, frutto della fantasia dell’autrice Elisabetta Bucciarelli.
E ora, in questi anni bui della crisi economica e del malcontento generale, il noir milanese come si pone nei confronti della sua stessa città? Ci sono autori che denunciano il dilagare dell’infiltrazione mafiosa nella città, soprattutto per spartirsi la gonfia torta dell’Expo. Lo fanno anche i non milanesi, come Roberto Riccardi o il magistrato Michele Giuttari. Altri invece volgono lo sguardo con nostalgia a un passato che non tornerà più, come i giovani Riccardo Besola, Francesco Gallone oppure il non più giovanissimo Dario Crapanzano, che ambienta i suoi romanzi nei primi anni ’50.
E Milano, quella con il cuore in mano, da a tutti un’opportunità. Sbirri, delinquenti e scrittori. E la Madonnina, sempre da lassù, osserva come la sua città cambi continuamente senza mai smettere di essere la città più noir d’Italia.
Omar Gatti
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