Nuovo appuntamento con libri thriller disponibili per ora solo in inglese, parliamo oggi di The Minotaur’s Head di Marek Krajewski.
Dagli anni 20 dello scorso secolo si è affermata la figura dell’investigatore privato geniale (H. Poirot) e/o dilettante (Philo Vance), alle prese con crimini aventi sullo sfondo il mondo della ricca borghesia e dell’aristocrazia. L’innovatività del mio autore preferito, G. Simenon, è stata quella di spostare il tiro su crimini di ordinaria malvagità (iniziando con “Piotr il Lettone” nel 1931), in cui malviventi di mezza tacca e varia umanità senza arte né parte si scontrano con poliziotti straordinariamente ‘normali’ come Maigret.
L’autore polacco contemporaneo Marek Krajewski ha ricreato atmosfere simili a quelle di Simenon, pur con uno stile molto diverso. La sua serie più fortunata segue le indagini del commissario Eberhard Mock della polizia prussiana a partire dagli anni 20. Mock, spregiudicato, godereccio ma con un forte senso della giustizia, lavora a Breslau (Breslavia), oggi città della Polonia (Wroclaw) ed allora parte dell’impero germanico-prussiano. Una ricca città industriale e commerciale, scintillante con le luci della Belle Epoque e melting pot multi-etnica animata dalla presenza di tedeschi, polacchi, ebrei, russi e slavi.
Insieme sofisticato (è un erudito latinista e amante della buona cucina) e rude, con pochi scrupoli e metodi sbrigativi, Mock fa carriera molto rapidamente risolvendo casi eclatanti e sanguinosi nei primi due romanzi della serie, “Morte a Breslavia” e “La fine del mondo a Breslavia“. In particolare il secondo mi è piaciuto per l’intrigante tratteggio della ricca società tedesca a cavallo fra le due guerre, in bilico fra modernità e decadenza, edonismo e violenza.
In “The Minotaur’s Head“, ambientato nel 1937, in piena era nazista, sesto romanzo della serie e non ancora pubblicato in Italia, Mock è passato alla Abwehr (il controspionaggio militare) causa il suo disprezzo per la Gestapo, con cui però è costretto a convivere. E si trova ad investigare una serie di raccapriccianti omicidi con violenze sessuali ai danni di giovani prostitute, cui l’assassino letteralmente divora parte della guancia. E’ proprio l’odiata Gestapo, a seguito di un omicidio a Breslau, a spedire Mock ai margini dell’impero, a Lwow/Lemberg (allora in Polonia, oggi L’viv, in Ucraina), dove il serial killer aveva colpito in passato. Mock è fuori dal suo ambiente ma non cambia i suoi metodi spicci, e per arrivare alla soluzione, affiancato ad un idiosincratico poliziotto polacco affetto da epilessia, Edward Popielski, dovrà districarsi fra direttrici di manicomio, omosessuali, prostitute, finte agenzie matrimoniali, nobili decaduti e l’ostilità delle autorità di Lwow, che lo vedono come un disturbatore straniero. Che però lavora con il consueto robusto amore per la giustizia, condito da quello per la buona tavola, le donne ed i metodi investigativi… anticonvenzionali.
Rispetto ai primi due romanzi, “The Minotaur’s Head” è di minore qualità. Situazioni e personaggi (Mock a parte) non sono sempre credibili, e la traduzione dal polacco, di qualità inferiore a quella in italiano degli altri romanzi che ho letto, è a tratti poco scorrevole. La trama è comunque interessante, con colpi di scena frequenti, e Mock, con il suo continuo compromesso fra essere ortodosso ed iconoclasta (investigativamente parlando), è un detective convincente che si fa apprezzare per la sua tenacia, intuito e per l’essere, nel suo modo prussiano, scanzonato.
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