Appena edito da Rizzoli (con traduzione di A. Cristofori), recensiamo oggi al Thriller Café Mio assoluto amore, di Gabriel Tallent.
Un padre e una figlia: cosa c’è di più normale?
Turtle ha quattordici anni e vive col suo papà, Martin. A scuola sono preoccupati per lei: ha brutti voti, fatica a stare al passo coi compagni e soprattutto sembra avere difficoltà a relazionarsi con gli altri, specie con le ragazze.
Il genitore è un uomo duro, con una concezione granitica del mondo, che giudica impazzito, spietato, pronto all’apocalisse. I suoi pensieri lambiscono il complottismo e di certo l’esterno costituisce una minaccia alla sua persona e ai suoi valori. Ecco perché vuole educare la figlia personalmente, perché solo lui ha le idee chiare su cosa le sia utile. Non le stupidaggini che ti insegnano a scuola, convincendoti che la realtà sia quella che costruiscono coi loro libri di grammatica. Stronzate. Le fa maneggiare le armi e quella è solo la punta dell’iceberg di un addestramento alla vita severo oltre ogni ragionevolezza. È difficile dire se sia più dolorosa la violenza psicologica che forma ogni giornata di Turtle o quella fisica, che esplode raramente ma con un impeto estremo.
L’amore di Martin per la figlia si esprime in maniera distorta. Ma è un sentimento autentico. Carico di aspettative. Troppo. Semplicemente, una ragazzina non dovrebbe avere sulle spalle tutta quella responsabilità. Turtle si odia perché non è all’altezza di ciò che vuole Martin, perché lo mette in difficoltà di fronte ad altri adulti, gli insegnanti e il preside che vorrebbero aiutarla.
Poi, proprio alla fine del primo capitolo, lo shock. Di notte Martin prende Turtle e ha un rapporto sessuale con lei. Tallent è magistrale nel descrivere l’atto con poesia, rendendoci partecipi delle emozioni dei due personaggi. Sì, anche del padre. L’apparente assenza di violenza rende ancora più forte la scena, colpisce il lettore, lo costringe ad affrontare di petto la questione. Per quanto lo stupro sia il momento più apertamente disturbante, sarebbe troppo semplicistico ridurre Martin al ruolo del padre stupratore, e Mio assoluto amore ha invece ambizioni maggiori.
Siamo infatti di fronte ad un romanzo che, come tutta la grande letteratura, sa dare profondità umana ai personaggi più controversi. In generale tutti i protagonisti son ben delineati, dal nonno di Turtle, ubriacone inane ma consapevole, all’insegnante Anna, ritratta in maniera molto realistica nei suoi tentativi impacciati di aiutare la protagonista; ma è la figura di Martin a spiccare con forza. Non è un bifolco, tutt’altro: ha una proprietà di linguaggio invidiabile ed è lucido nella paranoia. Questa sua purezza non mitiga la crudeltà, che è invece abissale, vertiginosa. Egli è capace di perorare la tesi del dolore come porta inaccessibile all’interiorità altrui, con tanto di citazioni filosofiche e termini ricercati, di fronte ad una ragazzina che ha appena perso parte di un dito per un colpo di pistola. Le pagine dedicate alle lezioni che sceglie di impartire alla figlia sono strazianti. L’affetto può esprimersi in maniera estremamente patologica.
Turtle alza la testa e muscoli tra il monte di Venere e lo sterno si evidenziano come le sezioni di una pagnotta. Lo guarda, poi lascia andare indietro la testa, chiude gli occhi e sente che la sua anima è uno stelo di menta selvatica cresciuto nel buio delle fondamenta, proteso verso una lama di luce fra le assi del pavimento, avido e affamato di sole.
Lo sbocciare della figlia adolescente mette in crisi il padre: come potrà proteggerla dal mondo? Emerge con sempre più prepotenza la sua gelosia. Lei vaga nei boschi, descritti minuziosamente dall’autore con precisione tassonomica, cerca la solitudine e si imbatte invece in due ragazzi dall’eloquio così eccentrico rispetto al suo umore taciturno. Lega in particolare con Jacob, dalla fantasia entusiasta e sterminata. Una promessa di cosa la attenderebbe se riuscisse a staccarsi da un padre che odia e ama allo stesso tempo. È doloroso leggere le emozioni di Turtle, consapevole quanto basta per capire l’orrore nel quale è costretta a vivere, desiderosa di spezzare le catene che la tengono avvinta ma allo stesso tempo altrettanto ferocemente legata al padre, al punto da desiderarlo. “Una mente gigantesca, elevata, a volte generosa, a volte terrificante”, ecco chi è per lei, che alterna continuamente sentimenti di rancore per Martin e di disprezzo per se stessa, forgiata dalla considerazione che il padre ha per le donne. Tallent rende alla perfezione le tensioni e le debolezze della protagonista, una ragazzina costretta a vivere un rapporto malato col genitore, isolata da tutto e da tutti.
Ci sono alcuni capitoli, quando Turtle e il suo amico Jacob si trovano bloccati su una minuscola isola a causa di una marea che oltretutto li ha travolti mettendo seriamente a rischio le loro vite, che portano il racconto su toni da romanzo d’avventura e per un po’ ci si chiede se era proprio necessario questo cambio. Poi l’attenzione si concentra di nuovo su Turtle e si leggono pagine estremamente limpide sulla sua psicologia, raggiungendo quegli apici di verità che sono la vera forza del libro.
C’è, in Mio assoluto amore, qualcosa di sfuggente: anche una volta che si accetta il viaggio nelle tenebre proposto dal racconto, esso non si fa racchiudere dalle aspettative, tiene sempre in una condizione di disagio privando il lettore anche della soddisfazione di trovare ciò che pensava.
Avevo deciso di leggere questo libro dopo averne letto una recensione, nella quale veniva definito noir. Se del genere ha senza dubbio l’ambizione di sondare il lato oscuro dell’essere umano (operazione svolta con talento dallo scrittore), è innegabile che l’iscrizione al noir è forzata (qualche anno fa lo si sarebbe chiamato semplicemente romanzo) e forse è dettata dalla fortuna che sta avendo il genere. In ogni caso è interessante notare che, proprio in virtù della presa che questo tipo di narrazioni ha sul pubblico e del valore che diamo a questi racconti, oggi la categoria del noir va ad assorbire tutta la letteratura che si impegna a portare alla luce il cuore nero dell’animo umano.
Un padre e una figlia: cosa c’è di più morboso?
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