Ogni tanto mi scoccia fare la solita recensione o intervista allo scrittore su un romanzo che mi è piaciuto, e purtroppo oggi la vittima illustre di questa mia lagnusìa (dal siciliano – stato di pigrizia costituzionalizzato) è questo Il mondo non mi deve nulla di Massimo Carlotto.
L’opera mi è piaciuta molto, anche se all’inizio ho indubbiamente sbagliato l’approccio, perché mi aspettavo il solito Carlotto dell’Alligatore e non procedevo soddisfatto. Infatti, non capivo certi paradossi e soprattutto, il clima irreale dell’opera, ma quando ho messo Il Punto, interrompendo la lettura ricominciando dall’inizio con la predisposizione a leggere una commedia amara di teatro noir, ho potuto apprezzare l’ultima fatica del grande scrittore padovano.
E meno male che ho letto il testo sotto quest’ottica perché ho goduto di qualche ora di puro piacere letterario.
Ora, nella mia attuale condizione di lagnusìa, recensire questo romanzo senza scrivere del finale decisamente a sorpresa, è molto difficile. Penserei per ore rompendomi la testa a cercare frasi ed espressioni atte a sostituire quello che molto facilmente potrei dire parlando del finale che è la logica quadratura di tutta l’opera. E prenderebbe logica il comportamento dei protagonisti, con le proprie vite presenti, passate e future. Con le loro aspirazioni puerili e a volte terribili, ma forse meglio definire ordinarie. Dovrei perdermi nel descrivere la felicità della penna di Carlotto in un breve romanzo dal ritmo veloce, ricco di humour, e molto introspettivo. Dovrei scrivere di teatro sperimentale o sperimentazione linguistica. Dovrei pormi e risolvere il problema se mi trovo innanzi a un romanzo breve o a un testo teatrale. Dovrei scrivere del giusto equilibrio trovato dal narratore nell’antiteticità dei personaggi. Dovrei scrivere della felicità dell’effimero, innanzi ai bisogni quotidiani. Dovrei scrivere del senso della vita, del non volersi rassegnare al destino già scritto, e magari scrivere pure delle ipotesi di affrancamento da una vita deludente. E scrivere della malinconia dei personaggi. Delle loro sofferenze o peggio, della retorica degli affetti. Dovrei scrivere della tensione erotica che governa il romanzo e anche delle sue illusioni d’amore. Dovrei scrivere del cinismo dell’opera riguardo ai personaggi vittime della vita con le sue fallaci promesse. Dovrei scrivere del substrato sociale del romanzo, ricco di decadimento con i soliti contenuti sul malessere di vivere. Dovrei scrivere dell’arbitrio delle nostre coscienze, e quindi paroloni su paroloni. Dovrei scrivere della crisi economica e sociale a ridosso dell’anno 2000 fino ai nostri giorni. Dovrei scrivere della località, dove è ambientato il romanzo. Dovrei accennare alle precedenti opere di Massimo Carlotto, in particolar modo di quelle teatrali e fra queste Niente, più niente al mondo, e soprattutto dovrei, senza far trapelare il finale, descrivere la trama.
Ecco! Dovrei…, ma ho la lagnusìa e non lo faccio, quindi procediamo così. Vi allego subito la trama che è riportata dalla casa editrice E/O nella bandella del libro, così vi fate un’idea:
Rimini. Adelmo, un ladro stanco e sfortunato, nota una finestra aperta sulla facciata di una ricca palazzina. La tentazione è irresistibile e conduce l’uomo a trovarsi faccia a faccia con Lise, la stravagante padrona di casa, una croupier tedesca che si gode la pensione al mare. Nessuno dei due corrisponde al ruolo che dovrebbero ricoprire e tra violenza e comicità si sviluppa un rapporto strano, bizzarro ma allo stesso tempo complesso e intenso sul piano dei sentimenti. Adelmo cerca di arginare la precarietà che lo sta allontanando da un’esistenza normale, Lise invece è convinta di non avere più crediti da riscuotere dal mondo intero. Sono infinitamente lontani, nulla li accomuna, eppure entrambi cercano il modo di essere compresi e amati dall’altro. Ma l’amore, anche se si regge su ineluttabili fragilità, può essere in grado di soddisfare desideri, salvare esistenze, rimettere a posto le cose. Il cuore di Rimini pulsa tranquillo in attesa dell’arrivo chiassoso dei turisti. Adelmo è felice quando gira in bicicletta nelle vie della sua città cantando a squarciagola. Lise invece sogna che Rimini si stacchi dalla terra e vada alla deriva per l’eternità.
In conclusione vi dico che Massimo Carlotto in modo strabiliante parla con naturale maestria di tutte quelle cose che avrei dovuto scrivere, e soprattutto vi consiglio di leggervi questo libro, perché è semplicemente bello. E poi all’autore che adesso intervisto gli pongo ventuno domande quante sono le lettere dell’alfabeto facendo rispondere a lui su tutto quello di cui avrei dovuto scrivere nella recensione.
Troverete l‘intervista a Massimo Carlotto online il 16 settembre 2014.
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