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C’è una cosa che il commissario Dupin detesta più di ogni altra: essere disturbato mentre beve il caffè. Da qualche tempo – cioè da quando è stato trasferito dalla capitale in Bretagna, in seguito a “certe controversie” – associa quel rito mattutino alla lettura dei quotidiani locali: fonti preziose per studiare l’animo bretone e i costumi insoliti di quella gente ai confini del mondo (e della civiltà, per i suoi standard di parigino fino al midollo).Ma è proprio mentre si gode una generosa dose di caffeina che il più zelante dei suoi ispettori lo disturba per comunicargli una notizia che ha dell’inaudito: un omicidio a Pont-Aven, il pittoresco borgo di pescatori che sta per riempirsi di villeggianti in quell’estate insolitamente calda. E la vittima è nientemeno che Pierre-Louis Pennec, novantunenne proprietario del mitico Hotel Central, segnalato su tutte le guide come luogo di soggiorno di celebri artisti, tra cui Paul Gauguin. Il commissario Dupin dovrà districarsi tra le pressioni delle autorità locali, che temono di veder compromessa la stagione turistica, e l’ostinato silenzio degli autoctoni, seguendo una pista che sembra condurre proprio a una tela del famoso pittore.
Dal sito dell’editore vi riportiamo l’incipit:
Era una magnifica giornata d’estate, quel 7 luglio. Una di quelle grandiose giornate atlantiche che mettevano solitamente di buonumore il commissario Dupin. Il blu sembrava regnare dappertutto, l’aria era molto calda già di prima mattina, a dispetto del consueto clima bretone, e al tempo stesso limpida: ogni cosa possedeva un’aura chiara e nitida. Solo la sera prima era parsa la fine del mondo: una massa densa e minacciosa di nuvole nere aveva attraversato il cielo, scaricando con violente raffiche di vento una pioggia torrenziale.
Concarneau – la maestosa “città blu”, com’è chiamata ancora oggi per via delle reti da pesca color azzurro intenso che orlavano le banchine nel secolo scorso – risplendeva. Il commissario Georges Dupin sedeva all’Amiral, all’estremità del bancone, il giornale spiegato come d’abitudine davanti a sé. L’orologio rotondo in cima al bell’edificio antico del Mercato coperto – dove tutti i giorni era possibile comprare, appena pescato, quanto era finito nelle reti dei pescatori del posto nelle primissime ore del mattino – segnava le 7.30. Lo storico bar ristorante, che in passato era stato anche un albergo, sorgeva direttamente sul lungomare, di fronte alla celebre città vecchia. La ville close, protetta da possenti mura e torri difensive, era stata edificata su un piccolo isolotto, che si allungava come dipinto nell’ampio bacino del porto, nel quale sfociava fiaccamente il Moros. Da quando, due anni e sette mesi prima, era stato “trasferito” in seguito a “certe controversie” da Parigi alla remota provincia (dopo aver trascorso tutta la vita nell’affascinante capitale), Dupin beveva ogni mattina il suo petit café all’Amiral: un rituale rigido e al tempo stesso piacevole.
Gli interni dell’Amiral possedevano ancora lo stesso incantevole fascino di fine Ottocento: lì avevano alloggiato artisti di fama mondiale e, qualche anno più tardi, un personaggio altrettanto noto, il commissario Maigret. Gauguin si era battuto in un’energica rissa proprio davanti al ristorante: dei rudi marinai avevano offeso la sua giovanissima amica giavanese. Per decenni il leggendario Amiral era stato abbandonato a se stesso, poi, dodici anni prima, era stato preso in carico da Lily e Philippe Basset, che, entrambi di concarneau, si erano conosciuti per vie traverse a Parigi con tutt’altri progetti. E, grazie a loro, era tornato alla grandezza di un tempo. così pieno d’atmosfera, autentico, privo di ornamenti folcloristici, era senza dubbio il cuore segreto della città. La maggior parte dei turisti preferiva i più idilliaci bar della piazza principale, perciò lì si stava decisamente tranquilli.
«Un altro caffè. E un croissant.»
Dallo sguardo e dai pochi gesti del commissario, Lily indovinò cosa volesse il suo ospite, il quale più che parlare aveva borbottato. Era il terzo caffè di Dupin.
Potete leggere l’intero primo capitolo qui (PDF).
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Articolo protocollato da Giuseppe Pastore
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